C’eravamo lasciati poco più di un anno fa, con la decisione di intraprendere la strada della politica: dai banconi di laboratorio ai banchi dell’aula di Montecitorio, ecco la nuova vita di Ilaria Capua.
A un anno dalla sua elezione come deputata nella lista “Con Monti per l’Italia”, non si è mai detta: “Chi me l'ha fatto fare”?
In questi mesi in Parlamento mi sono sentita a disagio, frustata, inorridita dalla maleducazione e dall’arroganza di alcuni miei colleghi. Continuo però per una forma di assunzione di responsabilità nei confronti del futuro dell’Italia.
In questo Paese, molti si lamentano ma nessuno prova mai a cambiare le cose. Io ho deciso di mettermi in gioco: basta al fatalismo protestatario. Attraverso sempre il Transatlantico per il lato corto, non sono dedita ai capannelli che gli altri deputati fanno. Fra i corridori di Montecitorio si susseguono umori, previsioni e pettegolezzi che molto spesso influenzano le scelte politiche. Il mio background non mi permette di agire sulla base di previsioni.
Ho la sensazione che in alcune scelte politiche non ci sia una logica oppure se c’è faccio fatica ancora a comprenderla.
A cosa sta lavorando l’Onorevole Capua?
Sto per depositare un progetto di legge per creare nel nostro Paese la figura del ricercatore indipendente. Uno scienziato che dopo aver vinto un proprio grant possa trovare una struttura ospitante per poter poi gestire in maniera indipendente il proprio budget. Dobbiamo dare la possibilità ai group leader di poter chiamare per le proprie ricerche i migliori giovani “sul mercato” senza costringerli alle lunghe trafile burocratiche.
Per migliorare la nostra ricerca c’è bisogno di tenere i più bravi ma di attirare, soprattutto, ricercatori dall’estero. Bisogna far circolare le intelligenze. Le parole d’ordine devono essere merito ed eccellenza. In Italia si può ancora fare ricerca ma c’è la necessità di un cambio di paradigma, che deve partire da una maggiore fiducia nei ricercatori e anche da una presenza più costante di donne nelle stanze dei bottoni, bisogna trasformare l’eccezione in normalità.
Perché la ricerca scientifica non hai mai il giusto spazio nel dibattito politico?
C’è una carenza di base di cultura scientifica, alla maggioranza dei parlamentari la scienza non interessa a meno che non ci siano interessi personali. In Parlamento ci sono pochissimi ricercatori, c’è il Ministro Carrozza ma ha ben altri problemi da affrontare come l’edilizia scolastica, i precari, gli stipendi degli insegnanti.
Se fossimo in 30 o 50 faremmo massa critica, sapremmo illustrare al meglio cosa significa fare ricerca e le necessità della ricerca. Potremmo incidere nelle commissioni, rendendo la ricerca una priorità per questo Paese. Per poter mandare avanti determinati progetti c’è bisogno di trovare persone che parlino la stessa lingua. Il nostro sistema politico è malato perché non vuole cambiare e questa gestione gattopardesca della cosa pubblica non vuole cambiare, anche perché l’Italia non vuole cambiare. O meglio il cambiamento urlato da tutti deve toccare qualcun altro.
Quando in Parlamento ho detto che è impensabile avere così tanti “fuori corso” nelle nostre università, perché sono un costo che non possiamo permetterci mi hanno guardato come una pazza, stessa cosa quando si è discusso sui corsi e gli atenei in eccesso. Molti parlamentari hanno paura di fare scelte difficili che possano sfavorire il rapporto col proprio elettorato. Quelle università con pochi iscritti che “succhiano” soldi alle nostre casse sono per alcuni miei colleghi fondamentali per ricevere nuovi voti ed essere così rieletti. Paradossalmente sarebbe più sano vietare la rielezione – ma così si perderebbe l’esperienza.
Politica lontana dalla scienza che però negli ultimi mesi ha dovuto decidere su due temi che hanno avuto molta presa sull’opinione pubblica: Stamina e la Sperimentazione animale. Partiamo da quest’ultimo, come mai si è deciso di rendere ancora più complessa la direttiva europea che è già molto rigida?
È il classico pasticcio all’italiana: la direttiva europea risale al 2010, dopo tre anni senza un solo dibattito sulla questione, siamo stati costretti, per evitare nuove sanzioni, ad approvare la legge in solo otto settimane.
Su questo tempo limitato si è mossa la lobby degli animalisti che sono un forza trasversale e ben organizzata fra i banchi delle nostre Camere. Durante il passaggio al Senato sono stati approvati emendamenti che sono risultati ancora più restrittivi della direttiva stessa (e che le direttiva vieta). Questo ha portato alla presentazione di 73 emendamenti durante la discussione alla Camera, con il rischio di ritardare l’iter di approvazione e di incappare in nuove procedure di infrazione. Il Governo, allora, ha risolto l’impasse assicurando di tenere in considerazione le criticità evidenziate durante la stesura della legge. L’azione del governo ha portato al ritiro degli emendamenti ma la frittata era ormai fatta. Siamo riusciti però a far passare un ordine del giorno da me proposto e sottoscritto da altri 22 parlamentari che impegna il nostro esecutivo a recepire la direttiva europea senza ulteriori restrizioni. Ora stiamo cercando di trovare una soluzione chiedendo una deroga di 3 anni. Ma non possiamo lavorare sempre e solo per mettere delle pezze.
Nei giorni della discussione alla Camera mi trovavo seduta accanto a un parlamentare di diverso schieramento che mi ha chiesto perché ero favorevole alla sperimentazione animale. Sono stata ben contenta di rispondere. Per quaranta minuti ho portato esempi e raccontato la mia esperienza da ricercatrice. Non volevo convincerlo ma solo dargli delle basi per una più corretta riflessione. Alla fine quel parlamentare mi ha risposto che mi sbagliavo e che non avevo capito niente della sperimentazione animale. Detto a me che da 30 anni faccio ricerca nel campo biomedico mi è sembrata un’affermazione alquanto singolare. Un altro aspetto che vorrei sottolineare sta nel fatto che quando si trattano questioni delicate come la sperimentazione animale o il caso Stamina prevale l’emotività delle persone.
Le associazioni animaliste fanno leva proprio su questo.
Emotività e mancanza di cultura scientifica sono ingredienti che si trovano sia fra i nostri rappresentanti politici sia nel Paese. Nei mesi scorsi è stata trasmessa una pubblicità orribile con una scimmia legata a una catena. Il messaggio dello spot definiva la sperimentazione sugli animali “crudeltà” e “un delitto senza firma”, cosa lontanissima dalla realtà. Ma questo tipo di campagna fa presa e convince la gente comune. Secondo me, grandi fondazioni che finanziano la ricerca come AIRC e Telethon dovrebbero adoperare lo stesso metodo. Usare l’emotività per far capire alle persone che la ricerca biomedica è necessaria e indispensabile per sconfiggere malattie ancora incurabili. Ma la responsabilità del poco interesse verso la gente è anche di noi scienziati che non sappiamo veicolare al meglio il nostro messaggio.
In questi giorni il Ministro della Salute ha comunicato i nomi dei componenti della nuova Commissione Scientifica per la valutazione del caso Stamina, cosa pensa di tutto questo?
Quando leggo su Nature o Science della vicenda Vannoni mi metto le mani nei capelli perché mi rendo conto che anche questa volta abbiamo perso in credibilità a livello internazionale. Gli ingredienti del caso Stamina sono gli stessi della sperimentazione animale: ignoranza, emotività e poco tempo per prendere una giusta decisione. Dare inizio alla sperimentazione doveva essere un punto di mediazione necessario. Ma al grande passo avanti fatto dallo Stato doveva corrispondere un altro da parte di Vannoni con la consegna dei protocolli. La questione della segretezza delle informazioni perché è sotto brevetto è una stupidaggine. Bastava firmare un secrecy agreement – un accordo che tutela la segretezza delle informazioni – è prassi consolidata in biomedicina. Per quanto concerne la querelle sulla commissione ministeriale, forse l’unico sbaglio del Ministro Lorenzin è stato quello di non mettere fin da subito almeno due scienziati stranieri nella commissione. Resta il fatto che la decisione della magistratura è stata comunque una scelta molto strana e discutibile.
Durante la cerimonia di consegna dei Premi Nobel 2013, Randy Schekman ha attaccato duramente le grandi vetrine della ricerca biomedica come Nature e Science, cosa pensa al riguardo?
Sono dei sistemi di potere e fanno di tutto per conservarlo. Anche in questo sistema c’è un cambiamento: l’open access, ma ci vorranno ancora anni per scardinare il sistema, e trovare una terza via
A luglio è stata pubblicata la prima valutazione della ricerca italiana, come giudica l’operato dell’Anvur?
E’ un sistema al primo giro ancora fragile ma è un primo passo. Adesso che stanno per uscire le abilitazioni a professore di prima e seconda fascia e sono curiosa di andare a vedere quanti esterni saranno chiamati a lavorare nelle nostre università.
Per concludere, è pronta a lasciare il laboratorio per diventare un politico di professione?
Sono alla ricerca del prossimo segmento della mia vita. E’ probabile che finita questa legislatura rindosserò il mio camice. Di certo questo sarà il mio primo e unico mandato da parlamentare. E’ ora che altri ricercatori si facciano avanti per portare le loro ragioni in parlamento. Io ho dato.