Come ogni anno, ai primi di gennaio cogliamo l’occasione
per fare il punto sull’anno appena trascorso, soprattutto, ma non solo, dal
punto di vista dell’andamento termico. Come di consuetudine, ci avvaliamo dei
principali dataset climatici disponibili sul web: il NASA GISS
(NASA Goddard Institute for Space Studies), il NOAA NCDC
(NOAA National Climate Data Center) e l’HadCRU
(Hadley Centre/Climate Research Unit), a cui aggiungiamo il database NOAA/NCEP
che ci permette di avere a disposizione soltanto due giorni dopo i dati grezzi
rielaborati (ricordo ancora che vengono mediati su un grigliato di 2,5 gradi in
longitudine e latitudine, il che equivale, alle nostre latitudini, ad un
quadrato di circa 300 x 300 km2).
Gli altri centri effettuano invece delle elaborazioni e dei controlli sulla
qualità dei dati, e talora può succedere che i dati stessi vengano ricalibrati
anche nel passato; ad esempio, per quanto riguarda i dati HadCRU, le
elaborazioni effettuate sono discusse molto bene qui; qui
invece è descritta in dettaglio la problematica della rappresentatività dei
dati stessi, commentando questo studio
di Kevin e Way, apparso sul Quarterly Journal of the Royal Meteorological
Society, una delle riviste più prestigiose nel campo delle scienze
dell’atmosfera.
Come risultato di queste elaborazioni, i dati vengono diffusi un po’ di tempo
(da alcuni giorni ad un mese circa) dopo la loro acquisizione. È tuttavia
possibile farsi un’idea abbastanza attendibile dell’andamento dell’anno in
corso prendendo le medie relative al periodo Dicembre 2012 – Novembre 2013
(D-N), i cui dati sono già disponibili.
Infatti, come si può facilmente vedere
facendosi due calcoli, la media annua convenzionale e la media D-N differiscono
al massimo di 0.02 °C.
Cominciamo dunque ad esaminare i valori medi delle anomalie globali di
temperatura calcolate dai vari centri. Il NASA GISS (il database è scaricabile qui)
fornisce per il 2013 (D-N) un’anomalia di 0,59°C rispetto al periodo di
riferimento 1951-1980, ovvero di 0,68°C rispetto al periodo classico 1961-1990.
Il valore assoluto di temperatura media globale del 2013 (D-N) per questo
centro risulta pertanto di 14,99°C. Tali valori si collocano a poca distanza
dall’anno più caldo, che secondo il NASA GISS è il 2010, di 0,07°C più caldo.
Per gli amanti della statistica, il 2013 (D-N), stante l’incertezza di 0,02°C
relativa al calcolo della media usando il mese di dicembre dell’anno scorso, si
collocherebbe tra la quarta e la sesta posizione.
Il NOAA NCDC (il database è scaricabile qui)
mostra, per il 2013 (D-N), un’anomalia di 0,60°C rispetto al periodo di
riferimento 1961-90, che farebbe posizionare il 2013 addirittura al primo
posto, con 0,08°C in più del 1998 e del 2003.
Infine, l’HadCRU (il database è scaricabile qui)
mostra, per il 2013 (D-N), un’anomalia di 0,47°C rispetto al periodo di
riferimento 1961-90, che collocherebbe il 2013 in ottava posizione, a 0,12°C di
distanza dal 2007, l’anno più caldo secondo questo database. Mediando le informazioni di questi tre centri, si ottiene per il 2013 (D-N)
un’anomalia di 0,69°C, a 0,03°C dal 2010 e 0,02 dal 2005, e leggermente
superiore, di 0,01°C, al 2007. Al di là delle classifiche, che secondo me
lasciano il tempo che trovano, giova ricordare che continua la serie degli anni
caldi, con anomalie superiori di 0,5°C rispetto alle medie del 1961-90.
Il NOAA/NCEP fornisce per il 2013 (questa volta anno
vero G-D, non D-N) un’anomalia di 0,58°C rispetto al periodo 1961-90. Secondo
il database di questo centro, pertanto, il 2013 si collocherebbe in terza
posizione, a 0,05°C dal 2005, l’anno più caldo, ed a 0,04°C dal 2010, il
secondo anno più caldo. La tabella seguente riassume le anomalie discusse fino
ad adesso.
Tabella 1 – Anomalie di temperatura rispetto a un periodo di riferimento. Per GISS il periodo di riferimento è il 1951-1980, mentre per tutti gli altri è il 1961-1990 (tra i due periodi vi è una differenza di 0,09°C).
Per chi si fosse perso per quanto riguarda i periodi di media, che talora
differiscono tra centro e centro, o comunque possono variare nei database,
abbiamo creato un’apposita tabella che li riassume. Tale tabella è anche utile
per evidenziare due aspetti: in primo luogo, che, a livello di media, i dataset
sono allineati tra loro e forniscono la stessa informazione; secondariamente,
nei tre trentenni analizzati, la differenza tra la temperatura di un trentennio
e quella del trentennio successivo formato da venti anni in comune e da dieci
nuovi anni è in aumento.
Di nuovo, altro che arresto del global warming: magari! Non solo le temperature
continuano ad aumentare, ma anche la loro derivata sta ancora crescendo…
Tabella 2 – Anomalie tra i diversi periodi climatici di riferimento nei diversi database
Andando a curiosare nei valori mensili e stagionali, ad
esempio sul sito del GISS,
che è più facile da visualizzare, si può scoprire anche che nel 2013 si è
verificato il più caldo novembre di sempre, confermando la consuetudine, ormai
in vigore da diversi anni, che in ogni anno venga uguagliato o battuto un
record termico globale in almeno un mese dell’anno. Ad esempio, nel 2012 fu
maggio a uguagliare il 2010, nel 2011 fu luglio a battere il record, nel 2010
successe addirittura in tre mesi (aprile, maggio e novembre), nel 2009 furono
luglio e novembre, e così via. Se si guardano gli altri database, magari i
singoli valori possono variare di qualche decimo o centesimo di grado, ma non
varia la sostanza.
Passiamo ora a vedere come si è distribuita questa
anomalia termica sul globo terrestre. Per fare questo ricorriamo al database NOAA/NCEP,
a cui si riferiscono tutte le figure successive. La Figura 1 mostra le
anomalie relative al periodo più recente 1981-2010. Notiamo subito alcune
grosse aree caratterizzate da deboli anomalie negative: sull’Europa
occidentale; sul nord America, tra gli Stati Uniti ed il Canada; su una
porzione di Asia orientale; su una porzione di oceano Pacifico; e sull’India.
La più intensa tuttavia la si registra su un’area in realtà ristretta
geograficamente (anche se appare ingigantita dalla distorsione dell’immagine) a
ridosso delle coste antartiche prospicienti il sud America. Al contrario, le
anomalie positive ricoprono la quasi totalità dell’oceano Atlantico e la
maggioranza degli altri due; gran parte dell’Eurasia, il nord America
orientale, l’Oceania e la quasi totalità delle zone polari (in tali luoghi le
anomalie sono le maggiori, con punte fino a 4°C che, per essere un’anomalia su
base annua e riferita al periodo climatico più recente, ovvero il 1981-2010, è
gigantesca).
Forse qualcuno si trova, a questo punto, a disagio nel
vedere una mappa in cui, visivamente, non è così evidente la presenza di
un’anomalia positiva sul globo. Questo succede perché la Figura 1 si riferisce
al periodo 1981-2010 e non al 1961-90, che è di 0,3°C più freddo. Se vogliamo vedere
come apparirebbe la stessa mappa riferita al periodo 1961-90, osserviamo la
Figura 2: l’informazione è la stessa, ma qui appare decisamente più evidente
come il 2013 sia stato decisamente più caldo della media del trentennio
1961-90.
Zoomando sull’Europa (Figura 3), si
nota come il continente sia stato praticamente diviso in due: mentre la
porzione occidentale ha registrato un’anomalia debolmente negativa o al limite
nulla, la parte orientale ha registrato una forte anomalia positiva. Anche il
nostro paese ha risentito di valori leggermente più freschi della media nella
parte nordoccidentale e più caldi della media nella parte meridionale.
Figura 1 – Anomalie della temperatura media globale del 2013
Figura 2 – Anomalia di temperatura del 2013 rispetto al trentennio di riferimento 1961-90
Figura 3 – Anomalia di temperatura sull’Europa rispetto al riferimento 1981-2010
Mappe stagionali
L’inverno (DJF) mostra il forte dipolo che ha caratterizzato l’emisfero nord, con una grossa anomalia fredda su Siberia, Asia occidentale e Canada occidentale, e con una lingua estesa sulla Scandinavia, e l’altrettanto forte anomalia positiva estesa dal Canada e gli States orientali alla Siberia settentrionale ed all’Artico, con valori altissimi anche se localizzati. L’emisfero sud ha invece visto prevalere valori positivi, in particolare sull’Antartide. (vedi mappa)
In primavera (MAM), un arco freddo ha avviluppato la fascia dal Mediterraneo occidentale al nord Europa, alla Siberia, per poi scendere sull’Asia orientale; sul nord America, una fascia diagonale ha tagliato in due il continente, dall’Alaska alla Florida. Nell’emisfero sud, prevalenza di anomalie positive, anche in Antartide, malgrado alcuni spot negativi.(vedi mappa)
L’estate (JJA) ha visto la prevalenza di anomalie positive su Eurasia, nord America, Australia e soprattutto Antartide (dove si è registrata l’anomalia maggiore), mentre le aree più fresche sono state l’estremo nord America e le coste antartiche ad ovest del sud America, dove si sono registrati i valori minimi.(vedi mappa)
L’autunno (SON), infine, ha fatto registrare vistose anomalie positive alle alte latitudini dell’emisfero nord e su tutto il continente antartico, mentre l’unica zona con anomalia negativa degna di nota è stata quella delle coste antartiche ad ovest del sud America.(vedi mappa)
Quest’anno vogliamo provare a mostrare anche la mappa delle anomalie di precipitazione, una grandezza molto più variabile sul territorio. Una mappa a grande scala come questa tratta dal database NCEP non può che far rilevare i segnali principali ed a maggiore scala, non riflettendo pertanto le variazioni a scale più piccole. Anche in questo caso, vediamo le anomalie di precipitazione, ovvero la differenza tra il valore medio annuo e quello medio relativo al periodo 1981-2010. La grandezza visualizzata non è la precipitazione accumulata in un anno, ma il rateo di precipitazione, in mm al giorno (per ottenere il dato accumulato annuo, occorre dunque moltiplicare il numero per 365, i giorni di un anno).
Pur nella complessità dell’immagine, si identifica abbastanza bene il segnale di un incremento delle piogge su un’area che avviluppa buona parte del bacino occidentale del Mediterraneo e dell’Europa sudoccidentale. Il segnale più evidente, globalmente, è l’incremento della piovosità sull’Indonesia, sull’Africa equatoriale e sulle parti occidentali tropicali dell’America, ed il deficit di pioggia sulle altre aree equatoriali: questi andamenti sono legati alla fase della teleconnessione ENSO, più nota come El Niño, che nello scorso anno è transito da una fase negativa (La Niña) ad una lievemente positiva (El Niño).
Figura 5 – anomalie del rateo di precipitazione (in mm al giorno) rispetto al riferimento 1981-2010. 2012
L’ultima analisi che voglio mostrare è l’anomalia termica del mese di dicembre 2013 appena terminato. Trattandosi di una media su un solo mese, naturalmente, non ci si deve stupire di vedere anomalie molto più marcate rispetto alle medie stagionali o annue sopra mostrate. Ho riportato due immagini: l’anomalia rispetto al trentennio di riferimento (vedi mappa) e rispetto al dicembre 2012 (vedi mappa).
Notiamo che i due segnali più evidenti sono presenti in entrambe le mappe, anche se con intensità diverse: la vistosa anomalia negativa presente dalla Groenlandia al Canada ed agli Stati Uniti orientali, e l’enorme ed intensa anomalia positiva presente sull’Eurasia, che si estende fino a ricoprire tutta la regione polare artica e culmina sulla Mongolia. Rispetto alla media, entrambe culminano in valori di 6°C. Rispetto ad un anno fa, quando gran parte dell’Eurasia fu colpita da un’intensa ondata di freddo per la gran parte del mese di dicembre (si veda qui), le anomalie positive arrivano a culminare sulla Mongolia a +12°C, mentre quelle negative si estendono anche agli Stati Uniti orientali e risparmiano invece l’Alaska, che un anno prima aveva sperimentato temperature inferiori.
Il confronto di queste due mappe spiega molto bene il significato del termine “variabilità interannuale”, mostrando come su alcune zone, ad un anno di distanza, si possano verificare situazioni meteorologiche diverse (è il caso dell’Europa e degli Stati uniti), mentre in alcune zone (bacino orientale del Mediterraneo, Argentina) si sono ripetute più o meno le stesse condizioni. Si nota anche come, d’inverno, generalmente le variazioni termiche nel nostro emisfero sono maggiori, e le anomalie sono conseguentemente vistose.
Ebbene, anomalie termiche positive ampie e aumento della variabilità interannuale sono proprio due delle caratteristiche del clima futuro che ci attende, almeno stando a quanto prevedono gli Earth System Models (per esempio quelli dell’esperimento CMIP5) usati per il 5° rapporto dell’IPCC, che sarà disponibile nella versione finale tra pochissimo.
La conclusione è che, al momento, i dati non mostrano alcun segnale che possa far ipotizzare che il global warming stia fermandosi.
CLAUDIO CASSARDO
Tratto da Climalteranti.it