Gentile Presidente, gentili colleghi, è
la prima volta che parlo all’Assemblea e per arrivare all’argomento in
discussione oggi io sento di dovervi spiegare il percorso, le ragioni e le
modalita` con cui vorrei mettere le mie competenze e il mio ruolo a disposizione
di quest’Aula e del Paese.
Probabilmente alcuni di voi conoscono la mia storia e sanno come è accaduto che
mi sia trovata a essere qui con voi dopo una per me inaspettata nomina giunta
lo scorso anno.
Quel giorno ho avuto di fronte un uomo di straordinaria caratura intellettuale
ed etica, che ringrazio dal più profondo del cuore per aver deciso che la
rappresentanza del mondo della cultura e quindi della scienza in quest’Aula
dovesse essere rafforzata anche da senatori di nomina presidenziale.
Ho più volte detto e ho sempre pensato che il mio nome in questa storia fosse
la parte meno rilevante.
Quel giorno è stato come se una luce
avesse illuminato i laboratori d’Italia di chimica, di fisica, di biologia,
dove lavorano giovani studiosi nei quali brucia dentro il sacro fuoco della
passione per la conoscenza, perché vogliono prima di tutto capire come stanno
le cose che oggi non si conoscono. Si tratta di giovani e meno giovani ai
quali da troppe legislature si fa di tutto per cancellare orizzonte e futuro.
E io non me lo spiego perché la scienza è nata nel nostro Paese, e negli
ultimi 153 anni è stata perseguita da scienziati che tanto lustro hanno dato
all’Italia, che hanno fatto scuola nel mondo.
Mi riferisco a quei grandi nomi che hanno alimentato le nostre prestigiose
scuole di fisica – e in quest’Aula abbiamo un Premio Nobel per la Fisica – le
scuole di chimica, matematica, istologia, biologia e genetica. E come non
citare la formidabile scuola di neuroscienze che è anche il mio ambito di lavoro.
Una scuola che ha lasciato il segno nel
mondo ed è nata tra Pavia, Torino e Pisa. A Pavia ha lavorato il primo Nobel
Italiano, cioè Camillo Golgi. A Pisa
c’era Giuseppe Moruzzi. A Torino
c’era Giuseppe Levi, un professore universitario
che ebbe tra i suoi giovani e brillanti allievi Salvador Luria, Renato Dulbecco
e Rita Levi Montalcini.
E’ una storia che ogni volta emoziona tanto da far venire la pelle d’oca. E’ la
storia di un maestro e di tre suoi allievi, tutti insigniti con il Nobel. Non
era mai successo prima al mondo, chissà quanti secoli dovranno passare prima
che accada ancora, se mai accadrà.
Questo è successo con un maestro italiano. Avere dei bravi maestri è molto
importante, ad ogni livello.
Tra gli allievi di Giuseppe Levi c’era
Rita, una donna che a tutti i costi volle studiare medicina quando alle donne
non era consigliato di studiare. Era un’ebrea nell’Italia delle leggi
razziali. Quando emigrò negli Stati Uniti divenne famosa per essere l’italiana
che studiava gli embrioni di pollo per capire come si forma il sistema nervoso.
Tutto qui uno direbbe.
Ma la sua scoperta ci ha spiegato come
si formano i nostri tessuti, il tessuto cerebrale, e ci ha aperto mondi
immensi. Rita ha seduto a lungo in quest’Aula. In quel giorno d’agosto dello scorso
anno il presidente Napolitano, nel manifestarmi le sue intenzioni, citò la
professoressa Rita Levi Montalcini, deceduta pochi mesi prima.
Mi disse che aveva deciso di nominare dei nuovi senatori a vita e che tra loro
voleva includere una scienziata che fosse ancora attiva dentro e fuori il
laboratorio. Non è stato per me semplice capire come
potesse concretizzarsi l’impegno verso il mio Paese in questa veste. Ma ho
capito subito che poteva solo essere un impegno serio, anzi serissimo.
Ho subito inteso il nuovo ruolo
soprattutto come una responsabilità verso di voi, un obbligo a cercare il
dialogo con tutti voi, mettendomi a disposizione di chiunque voglia verificare
anche con me fatti e condizioni nelle discussioni sulle materie scientifiche,
medico-sanitarie, dell’istruzione e della ricerca.
Ma, contemporaneamente, avverto anche
una responsabilità verso gli studiosi di oggi, giovani e meno giovani perché le buone idee non hanno età, studiosi appartenenti a qualunque ente di ricerca
e a ogni disciplina scientifica che tutte le mattine varcano la porta dei
laboratori di ricerca italiani e iniziano la giornata come se stessero partendo
ogni volta per un luogo sempre nuovo e sconosciuto, senza mai avere paura di
farlo, puntando a raggiungere un obiettivo per poi vederlo svanire e infine
conquistarlo solo per non avere mai ceduto nell’assiduità di conquistarlo.
Il mio lavoro in quest’Aula è quindi
anche per tutti coloro di ogni età che studiano con serietà e con onestà, senza
mai prescindere nel proprio lavoro da una solida struttura etica, rendendo
conto ogni giorno di ciò che fanno spendendo soldi pubblici e spiegando perché lo
fanno, quindi rispettando sempre l’onere della
verifica delle fonti e l’accettazione dei fatti controllati.
Anche questi giovani e meno giovani studiano, ricercano, scoprono in tutte le
discipline per il proprio Paese.
E’ un lavoro che ritengo capace ogni giorno di
far risvegliare la parte più autentica, disinteressata, appassionata e
appassionante delle persone.
E’ con questo serio impegno che vengo in Senato ogni settimana, per sedermi qui
con voi, per imparare e per capire come si possa contribuire a ricostruire una
Nazione dove i cittadini siano soddisfatti e chiamati a partecipare alla vita
del Paese.
Per contribuire a capire come costruire una Nazione che sia intellettualmente
preparata e rispettata nel confronto internazionale su tutti i piani e con una
classe politica sempre più capace di parlare a tutte le forme di intelligenza e
in grado di stimolare le immense capacità insite nella natura umana.
Con i miei collaboratori qui in Senato,
uno storico della medicina e un esperto di diritto costituzionale, abbiamo
creato una densa reti di colleghi e intellettuali italiani e stranieri in
diverse discipline incluso la filosofia, la sociologia, il diritto, la storia –
per me importantissima, fondamentale riferimento in ogni cosa che facciamo – ma
anche l’agraria e la veterinaria, l’ingegneria perché mi aiutino a capire, a
trovare e verificare fonti e fatti da consegnare a voi.
Sono consapevole che l’ultima parola va
alla politica. Su questo non si discute. Ma io voglio fare la mia parte affinché la politica, nel decidere, sia informata al meglio possibile.
E’ ovvio che i fatti che indago e che
verifico, con l’unico metodo che conosco e che nel tempo ha dimostrato di
funzionare regolarmente, cioè il metodo scientifico, mi portano ad avere delle
posizioni che esprimo anche io pubblicamente.
Ma sono comunque sempre pronta a
cambiarle, se qualcuno mi dimostra che sono sbagliate, e mi piacerebbe che
così fosse per tutti.
Il mio lavoro mi ha insegnato che
qualunque mia idea, per quanto io l’ami o l’abbia ben pensata, può essere
sbagliata. Per questo, chi fa lo scienziato in modo serio apre tante strade ed
esamina analiticamente tutti i pensieri che i nostri circuiti mentali ci
permettono di disegnare, sempre con il timore di tralasciarne qualcuno.
Ho
imparato sulla mia pelle cosa significhi veder fallire un’idea che sulla carta
sembrava giusta, ma che poi non ha retto alla prova sperimentale. Ma ho anche
provato la gioia che viene dalla conquista di territori nuovi dove nessuno era
mai stato prima, trasformandoti nel primo uomo al mondo a vedere quel risultato
per poi consegnarlo a tutti.
Se poi lavori nell’ambito della biomedicina capisci anche cosa significhi
essere di aiuto per contribuire a crescere le speranze di coloro che quelle
speranze non riescono a darsele da soli.
Ecco nell’essere in quest’Aula io non
posso prescindere da questa mia formazione per quello che vale. Lavoro così anche
a Milano con una squadra. Non potrei mai farne a meno. Quando non sono in
Senato tutto il mio tempo va esclusivamente e
ripeto esclusivamente nella ricerca pubblica, che porto avanti come professore
in aspettativa, a vita, per accrescere la nostra possibilità di scoprire di più
della malattia che studiamo, affrontando continue sfide mondiali. Nel mio
laboratorio siamo in 20.
Come per tanti altri laboratori sono 20
stipendi ogni mese da trovare con la sola forza delle idee, che vengono messe
in competizione con le idee di chiunque altro nel mondo. E come altri colleghi
italiani riusciamo pure a vincere, lavorando in e dall’Italia e sfidando
scienziati che stanno ad Harvard o a Caltech.
Questa è l’Italia che conosco, frequento,
ancora sopravvive, credo di poter portare qui per lavorare insieme a voi. Ecco,
credo di poter essere utile a quest’Aula come senatore solo se continuerò ad
essere una scienziata attiva e da sempre orgogliosamente parte di
un’istituzione pubblica italiana, luogo di studio e formazione
delle generazioni future: l’università.
Anzi, quella nomina ha dato ancora più
significato a questi scopi, avendo sempre ritenuto che la scienza non possa
bastare a se stessa e credendo insufficiente una scienza che si esaurisce
dentro i laboratori. Viceversa, credo che la scienza possa dirsi compiuta solo
nel momento in cui si spiega anche magari con quanto di conflittuale pone sul
tavolo, e cosı` facendo diventa parte del confronto e della crescita civile di
una società mettendo a disposizione non solo i risultati, ma ancora di più
l’immenso valore del coraggio che cresce in ogni mente che non teme di
esplorare l’ignoto, di svolgere nuovi pensieri e vergini azioni.
Per via di questa mia storia
professionale e come senatore a vita ho pensato che il mio ruolo in quest’Aula
non debba quindi essere quello di entrare nell’agone politico quotidiano, che
rispetto profondamente, quanto piuttosto quello di fornire, con ogni mezzo a me
accessibile, informazioni relativamente agli ambiti che meglio conosco, per
aiutare a legiferare consapevolmente, per evitare tragiche scelte legislative,
alcune anche recenti, che confondono i cittadini e che tutti noi, presto o
tardi, pagheremo in termini di libertà, conoscenza, sviluppo.
Aggiungo anche che sono tendenzialmente
pronta alla fiducia al Governo perché un Paese governato è un Paese che può
progettare un futuro.
Ma la presenza di un’effettiva
appropriatezza delle decisioni e di una praticabilità democratica sono per me
le pre-condizioni perché io possa esprimermi favorevolmente sulle questioni
attinenti la governabilità.
E’ con questi pensieri che affronto
ogni giorno il significato della mia nomina, sancita con norma costituzionale e
priva di appartenenza politica. E’ con questi pensieri che svolgo
questo primo intervento in Aula nel contesto di una discussione che riguarda un
momento storico che percepisco bene essere importantissimo.
Ho letto e ascoltato e continuerò a
farlo. Da più parti si dice che dopo anni di discussione è l’ora di passare ai
fatti, di licenziare un testo ovvero di attuare una riforma costituzionale che
corrisponda agli impegni che l’Italia ha assunto in sede internazionale e in
ogni caso di corrispondere alle aspettative dei cittadini. Ho studiato con l’aiuto di colleghi:
della proposta di riforma giunta in Aula in una versione rivista rispetto
all’ipotesi iniziale ci sono importanti punti e importanti cambiamenti. Mi pare
ci siano anche punti controversi.
Vorrei richiamarne alcuni, sono quattro
punti, perché credo debbano essere chiariti in quest’Aula essendo questo il
luogo deputato a farlo di fronte a tutti gli italiani: il primo punto tocca un
aspetto serissimo che credo di avere percepito e che riguarda la questione
relativa alla legittimazione indiretta dei nuovi senatori espressi su base
regionale. Si tratta di una questione che non penso possa
essere liquidata con l’obiezione semplicistica che altrimenti vi sarebbero indennità
da corrispondere, violando il dogma populistico che predica oggi solo tagli
alla politica come se fossero l’unica ragione, i costi della politica, del
disamoramento dei cittadini per la nostra democrazia. Sto quindi cercando di
capire meglio i ragionamenti che sostengono questa proposta.
Come secondo punto, non ho ben capito
l’obiezione, espressa da alcuni costituzionalisti, per cui un Senato i cui
membri fossero eletti direttamente dai cittadini non lo si potrebbe privare del
rapporto di fiducia con il Governo; penso di aver capito anche che è molto
importante prevedere un modello costituzionale che si concili – soprattutto
sotto l’aspetto delle garanzie e del pluralismo – con la riforma elettorale in
corso di realizzazione.
Infine, come ultimo punto, mi sembra
anche di capire che le direttrici fondamentali, i miglioramenti possibili non
possono essere rinviati alle successive letture. Mi sembra di capire che ove il
nostro testo fosse approvato alla Camera senza modifiche, le successive letture
sarebbero del genere «o tutto o niente». Questo ci porrebbe
di fronte alla grave scelta del «prendere o lasciare» dolorosa, pesante,
importante perché, se sbagliata, può pregiudicare gli interessi del Paese, dei
cittadini, della qualità della nostra futura democrazia.
Di tutto questo discuteremo nelle
prossime ore, ci confronteremo sugli emendamenti. Sopra qualsiasi cosa auspico
che continueremo a farlo sfruttando appieno la procedura di revisione
costituzionale prevista dai nostri Padri costituenti che ci mette al riparo,
nell’immediato, da semplificazioni pericolose per il Paese.
L’aspetto su cui vorrei ora
concentrarmi, e sul quale chiedo la vostra attenzione, riguarda quello che in più
occasioni ho descritto come la proposta di un Senato che includa anche delle
competenze specialistiche, utili a costruire e rafforzare il nostro rapporto
con il mondo moderno.
Gentili colleghi, sono decenni che
parole come scienza, ricerca, tecnologia e innovazione sono usate nelle
discussioni politiche secondo me a fini retorici, per essere subito escluse dal
vocabolario e dal circuito legislativo italiano. Negli ultimi vent’anni si è,
purtroppo, fatto spesso scempio delle competenze scientifiche e tecniche in
queste Aule. Eppure io non so su cosa si possa costruire il futuro di una
Nazione se non su una solida, informata, consapevole e partecipata democrazia,
anche su questi temi.
Più volte sono rimasta stupita di come
competenze che conosco, che frequento, che ci vengono sottratte da altri Paesi,
non siano nemmeno riconosciute dal Parlamento, quando non addirittura
disconosciute e umiliate, confondendole e mescolandole con le parole di
improvvisatori, di ciarlatani e di incompetenti.
Perché succede questo? Facciamo studiare nelle nostre università
i nostri figli e nipoti perchè si specializzino ad esempio in ingegneria. E
siamo felici e sono felice quando sento il nostro Presidente del Consiglio
citare con orgoglio il suo incontro con l’amministratore delegato di General
Electrics, il quale gli riferiva della bravura degli ingegneri italiani. Sarei
ancora più felice se questi ingegneri venissero ascoltati e inclusi, invece che
essere messi da parte.
Gli scienziati italiani raggiungono obiettivi straordinari in tanti campi. Lo
sanno tutti, oltre le Alpi. Nel loro Paese invece sono spesso ignorati e
fagocitati dalle teorie dei complotti. Insomma li perdiamo ogni giorno. Sono
competenze tralasciate, trascurate, raggiungimenti che sembrano non entrare mai
nel tessuto legislativo affinché possano diventare patrimonio utile al Paese.
Io sento che la politica diffida della
scienza. Con tutto il rispetto, a me però pare che buona parte della politica
non sappia nemmeno cosa sia la scienza. Anche la scienza diffida ormai della
politica per gli stessi motivi. Eppure dovrebbero essere alleate, scienza e
politica, l’una a cercare i fatti; l’altra, la politica, ad acquisirli per poi
partire per discutere dei valori sociali, economici o etici associati a quei
fatti e quindi legiferare e rendere i cittadini consapevoli e informati a fare
da sentinella e a controllare la validità di quelle scelte.
Questa è, per me, l’ultima parola della
politica, non quella di prescindere dalla verifica dei fatti della scienza o
peggio ancora di inventarsi o manipolare i fatti per sostenere delle mere
preferenze o opinioni non sostenute dalle evidenze. Le audizioni come strumento
informativo della politica sono uno strumento importante e l’ho visto come
membro della Commissione igiene e sanità, ma temo non bastino quando gli
argomenti diventano complessi.
Ecco, credo che per affrontare ambiti
disciplinari complessi come quelli che riguardano scienza e innovazione si
debba agire diversamente, creando prima di tutto fiducia ovvero innanzitutto
abbandonando la fantasia che dall’altra parte ci siano solo dei dottor
Frankestein o scienziati che vogliono fare solo i loro interessi (come ho
sentito dire spesso) o ricercatori piegati agli interessi delle tanto
vituperate multinazionali. Mentre in queste Aule, come pensano molti cittadini
(che facciano ricerca o che insegnino o che si occupino di altro) ci sarebbero
solo dei politici corrotti o nullafacenti. Non è così. Non può
essere così.
E allora, gentili colleghi, si può e si
deve distinguere, e lo si può fare solo studiando e cercando la differenza,
pretendendo che ciascuno si carichi delle proprie responsabilità o paghi per
gli errori. Questo vale per tutti, senza fare alcuno sconto per chi abusa del
proprio ruolo che sia di scienziato, di intellettuale o di politico.
Ho più volte detto che non è certo una colpa per un politico non sapere di
terapia genica o di come si irradiava il grano per ottenere una nuova specie
geneticamente modificata che consumiamo da decenni.
Anzi, i temi della scienza e
dell’innovazione sono così complessi e il tasso di rinnovamento è così rapido
che mi sembra di percepire che solo coloro che si cimentano continuamente e a
livello internazionale su sfide di frontiera, che sono cioè di casa e continui
protagonisti nei percorsi della scienza e dell’innovazione, solo loro possono
tempestivamente modellare le politiche legislative in grado di trasformare le
conquiste scientifiche in miglioramenti sociali.
Come non far perdere al Paese tutto ciò? Ecco il perché della proposta che in
Senato vengano reclutate anche delle competenze specialistiche nei settori
chiave della ricerca e dell’innovazione.
Prendendo spunto da una proposta nata
sulle pagine del supplemento culturale della domenica del Il Sole 24ore,
avevo immaginato e proposto una riforma della Camera alta che riarticolasse il
Senato, oltre che come sede di composizione degli interessi territoriali sulla
cui pertinenza e efficacia non mi pronuncio, anche quale luogo istituzionale di
elaborazione di proposte e indirizzi politico-legislativi cui potessero
contribuire le eccellenze scientifiche e culturali di cui il Paese dispone.
La proposta era di includere nei circuito democratico della rappresentanza quel
patrimonio conoscitivo spesso disperso e limitato agli ambiti professionali di
provenienza. Oggi una scoperta o un innovazione e il percorso che l’ha sorretta
torna a vantaggio del ricercatore che l’ha realizzata, del suo gruppo di
studio, del suo ente di ricerca ma ho l’impressione che non entri mai nei
circuiti legislativi in modo da essere utile al Paese.
La prima formulazione del disegno di
legge del Governo, conteneva la norma che avrebbe conferito al Presidente della
Repubblica la possibilità di nominare 21 cittadini che avessero «illustrato il
Paese per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e
letterario». Mi pare che su questa norma si sia subito innescato un processo di
banalizzazione – che è stata la premessa dell’inevitabile eliminazione. La
norma, benché´ tutta da esplorare, mi pare sia stata subito mal interpretata
come una stravaganza legata all’etereo concetto della società civile, o ancor
peggio come potenziale «partito del Presidente», o addirittura la presenza di
questi senatori competenti in ambito della scienza e dell’innovazione in senso
lato, l’ho vista liquidare come un «inquinamento della democrazia».
Io non so se è così ma credo che i Padri fondatori del pensiero democratico
moderno, da Locke, Spinoza e Montesquieu, per non citare gli estensori della
Costituzione americana, si rivolterebbero se potessero ascoltare questi
ragionamenti.
Dopo il passaggio in Commissione affari
costituzionali, molto dello slancio iniziale si è cosı` perso e la norma, da
subito senza Padri, è scomparsa, trascinando con se´ per alcune settimane
l’intera categoria dei soggetti di nomina presidenziale. Da ultimo negli
emendamenti dei relatori onorevoli Calderoli e Finocchiaro, che ringrazio per
il lavoro svolto anche nell’avere affrontato questo aspetto, si è coltivato un
sentiero mediano ora presente nel testo in Aula.
Si è quindi lasciato l’attuale numero dei senatori nominati, senza specificare
come saranno selezionati, per straordinari meriti culturali, artistici,
scientifici, sociali ma se ne è temperata la durata nel tempo prevedendo che
durino sette anni, non siano rieleggibili e chiarendo che essi possono essere
al massimo cinque e non di più. Alcune di queste rifiniture a me sembrano
condivisibili e razionali.
Ma pongo a voi la riflessione su se e
come meglio esplicitare il profilo di competenze di queste figure, affinché´
quelle nomine si rivolgano preferibilmente a persone che hanno perseguito una
vita professionale nell’ambito dell’innovazione.
Al riguardo e prendendo atto
dell’orientamento che mi sembra prevalente nell’Assemblea sul punto, ho
presentato alcuni emendamenti volti a rilanciare il peso della componente
numerica di questi senatori proponendo di portarli a 7 o a 9 e emendamenti
anche volti a discutere la sopracitata riflessione circa i criteri e le modalità
di scelta dei nominati pur rimanendo questo nella disponibilità del Presidente
della Repubblica.
Questa proposta, come tutte
perfettibile, è il tentativo di non rinunciare del tutto all’idea di un Senato
che sia anche un po’ il luogo di quelle competenze specialistiche innovative,
rinviando a un successivo momento la riflessione più profonda sul merito,
magari nel contesto di una fase storico-politica più consapevole delle
complesse sfide scientifiche e tecniche con cui le democrazie parlamentari sono
destinate a cimentarsi con sempre maggior frequenza.
Sono alla conclusione, signor
Presidente e gentili colleghi.
Prima che il Presidente della Repubblica mi onorasse della nomina di senatrice
a vita, mai avrei immaginato che alla passione civile per le istituzioni che
coltivavo come comune cittadina, avrei aggiunto l’opportunità e l’onore di
confrontarmi con voi e con le decisioni più delicate che la vita repubblicana pone nelle mani di un
parlamentare, cioè decidere sull’assetto costituzionale dello Stato.
Ed è con la dedizione della neofita, ma
anche della persona che non può essere ascritta ad alcun partito e a calcoli
politici, che lavorerò insieme a voi per valorizzare nella discussione politica
e a beneficio del Paese l’uso delle prove, delle fonti,
della logica, il richiamo ai fatti e alle esperienze. Con questo spirito continuerò
ad ascoltare i pareri e le proposte dei tanti autorevoli colleghi che in questi
giorni e da molto tempo sono impegnati a confrontarsi
sulla riforma costituzionale.
Alla fine il mio voto manifesterà,
nelle modalità che riterrò appropriate, il mio punto di vista di scienziata,
prescindendo da aspettative di parte politica e della popolarità delle scelte
che saranno fatte. La mia valutazione sarà basata unicamente su un’analisi
obiettiva dei fatti cercando di attrezzarmi al meglio per ricercarli e
studiarli, e anche di come saranno coerentemente inclusi nel testo della legge.
Il tutto con l’intento e la speranza di ben interpretare quale sia la scelta
migliore per il Paese e in generale per la qualità della vita delle
persone.
E` con questa disposizione d’animo che seguirò
con voi i lavori dei prossimi giorni.
Legislatura 17ª - Senato - Resoconto stenografico della seduta n. 281 del 16/07/2014