fbpx Xenobot, il robot fatto di cellule | Scienza in rete

Xenobot, il robot fatto di cellule

Dal computer (anzi, supercomputer) alle cellule viventi: il lavoro pubblicato questa settimana su PNAS descrive la creazione di un nuovo sistema di vita, un robot nato dal riassembramento di alcune cellule staminali di X. laevis e basato sui modelli proposti da un supercomputer. Questi nuovi robot, chiamati xenobot, sono quindi cellule epiteliali e cardiache artficialmente "montate" dai ricercatori per poter svolgere alcune azioni, come muoversi o spostare piccoli oggetti. Oltre a fornire un'importante possibilità di studio sulla base di forma e funzione degli organismi viventi, è possibile pensare per gli xenobot una vasta gamma di applicazioni.
Nll'immagine: la manipolazione dei ricercatori sulle cellule. Crediti: Douglas Blackiston, Tufts University

Tempo di lettura: 3 mins

«Non sono robot tradizionali e neppure una specie nota di animali. Sono una nuova classe di artefatti: organismi viventi e programmabili». Così Joshua Bongard, informatico ed esperto di robotica dell'Università del Vermont, descrive quanto lui e i suoi colleghi hanno realizzato: sono gli xenobot, cellule staminali provenienti da embrioni di Xenopus laevis e assemblate, su istruzioni di un supercomputer, in una forma di vita completamente nuova. Il loro lavoro è stato pubblicato questa settimana sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

Dall'in silico all'in vitro

Non è facile imporre a un sistema vivente di attuare un comportamento dettato dall'esterno: è per questa ragione che la maggior parte delle tecnologie attuali sono fatte di materiali sintetici. Eppure, scrivono gli autori del nuovo studio, se i sistemi viventi potessero essere rapidamente progettati e impiegati per svolgere determinate funzioni, la loro innata resistenza potrebbe consentire loro di superare rapidamente le potenzialità delle nostre tecnologie più promettenti. Da qui, gli xenobot.

I ricercatori hanno fatto girare sul supercomputer DeepGreen un algoritmo per la creazione di una diversa forma di vita con determinate caratteristiche, come la capacità di spostarsi in una direzione. Durante i mesi di processamento, il Deep Green ha simulato l'aggregazione e il riaggregazione di qualche centinaio di cellule, basandosi su alcuni semplici principi biofisici forniti dagli scienziati e riguardanti le proprietà delle cellule epiteliali e cardiache. Alla fine, sono state selezionate le opzioni migliori, impiegate per i test sulle cellule reali. Queste ultime sono staminali prelevate da embrioni della rana africana Xenopus laevis, un organismo modello ampiamente impiegato in ricerca (dalla specie deriva anche il nome dei nuovi robot).

Dopo aver separato e lasciato incubare le singole cellule, i ricercatori le hanno tagliate e "rimontate" secondo le istruzioni fornite dal supercomputer, ossia cercando di attuare gli obiettivi previsti. Un micro-lavoro (immaginate la dimensione degli strumenti necessari per lavorare sulle singole cellule) che ha portato a un macro-risultato: le cellule hanno effettivamente iniziato a lavorare insieme, muovendosi in modo coerente per esplorare l'ambiente circostante grazie alle contrazioni delle cellule cardiache. Le cellule hanno mostrato proprietà di auto-organizzazione e perfino la capacità di manipolazione, spostando piccolissime palline. Inoltre, «Abbiamo tagliato il robot quasi a metà e lui si è rimesso insieme e ha ripreso a funzionare», racconta Bongard.

Crediti: University of Vermont/YouTube

Ricerca di base e applicazioni degli xenobot

Da una parte, gli xenobot possono insegnare molto sui sistemi viventi. «La grande questione, in biologia, è capire quali algoritmi determinano forma e funzione degli organismi», spiega il co-autore Michael Levin. «Abbiamo mostrato che cellule di rana possono essere usate per creare forme di vita completamente diverse da quelle iscritte nel loro programma di default». E questo potrebbe fornire informazioni più approfondite su come sono organizzati gli organismi, e su come immagazzinano e processano le informazioni. Dall'altra parte, gli xenobot potrebbero avere importanti applicazioni in diversi campi. Ad esempio, la loro capacità di manipolare o trasportare piccoli oggetti potrebbe essere la base per pensarli, per esempio, impiegati nel drug delivery intelligente. «Possiamo immaginare per questi robot molte applicazioni che per altre macchine sono impossibili, come cercare inquinanti o contaminanti radioattivi, raccogliere le microplastiche negli oceani, viaggiare nelle arterie per ripulirle dalle placche ateriosclerotiche», aggiunge Levin.

A tutto ciò, sottolineano i ricercatori, si aggiunge il fatto che gli xenobot sono biodegradabili, essendo interamente composti da cellule. «Quando dopo sette giorni hanno terminato il loro lavoro, sono semplicemente cellule morte», commenta Bongard. E le loro capacità rigenerative le rendono particolarmente interessanti: nessuno smartphone si ripara da solo se proviamo a tagliarlo in due.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Discovered a New Carbon-Carbon Chemical Bond

A group of researchers from Hokkaido University has provided the first experimental evidence of the existence of a new type of chemical bond: the single-electron covalent bond, theorized by Linus Pauling in 1931 but never verified until now. Using derivatives of hexaarylethane (HPE), the scientists were able to stabilize this unusual bond between two carbon atoms and study it with spectroscopic techniques and X-ray diffraction. This discovery opens new perspectives in understanding bond chemistry and could lead to the development of new materials with innovative applications.

In the cover image: study of the sigma bond with X-ray diffraction. Credits: Yusuke Ishigaki

After nearly a year of review, on September 25, a study was published in Nature that has sparked a lot of discussion, especially among chemists. A group of researchers from Hokkaido University synthesized a molecule that experimentally demonstrated the existence of a new type of chemical bond, something that does not happen very often.