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SARS-CoV-2 visto dal sistema immunitario

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Per capire l'epidemia, vale la pena capire innanzitutto il "punto di vista" del sistema immunitario: come interagisce con i virus, il lungo processo di coevoluzione tra i due, le basi della memoria immunologica.
Crediti immagine: Holger Langmaier/Pixabay. Licenza: Pixabay License

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Il comportamento dell’uomo, di fronte all’insorgere di epidemie o pandemie, è più o meno lo stesso dalla notte dei tempi: ogni volta, è sorpreso e angosciato della propria disperazione nel non comprendere il perché dell’avvento di una nuova calamità. Ci troviamo sempre e comunque impreparati ad affrontare le pandemie come se non fossero mai successe in passato, nonostante lo sviluppo delle tecnologie, dell’economia, del benessere, della cultura in genere: sembra come se favorissimo inconsciamente (?) il processo, attraverso cui l’evoluzione umana è fortemente condizionata dalle interazioni coi patogeni.

Il sistema immunitario è il principale sistema di difesa che interagisce con i virus, principalmente per annientarne le capacità patogenetiche. Conoscere il suo “punto di vista” è fondamentale per poter comprendere cosa aspettarsi da una epidemia come quella indotta dal coronavirus SARS-CoV-2, responsabile dell'infezione Covid-19.

La coevoluzione tra virus e sistema immunitario

I virus si sono co-evoluti con le altre specie (anche la nostra) attraverso la selezione darwiniana: in poche parole, si selezionano (geneticamente) i virus capaci di infettare le cellule eucariotiche come le nostre per poter sopravvivere e, dalla parte degli ospiti, si selezionano gli individui capaci di riconoscerli, difendersi, e/o di sfruttarli. In particolare, i virus e i patogeni in generale sono i principali determinanti che hanno permesso la generazione del nostro complesso sistema immunitario, il quale permette alle varie specie di proteggersi e sopravvivere. Molti virus vengono eliminati, altri si integrano nel nostro DNA esplicando funzioni essenziali, o costituiscono componenti delle nostre cellule, o coabitano in simbiosi a bilioni con noi (con altri tipi di patogeni come i microbi), esplicando funzioni necessarie.

L’equilibrio di tutto questo non è prevedibile: per esempio, non abbiamo idea di come un patogeno emergente (con cui l’uomo non era mai venuto in contatto prima) condizionerà la risposta immunitaria.Tutti i singoli mammiferi hanno preformati nel proprio corpo, centinai di bilioni di linfociti B che producono gli anticorpi specifici e di linfociti T che specificamente sopprimono o uccidono ogni singolo patogeno ostile (immunità adattativa). L’enorme repertorio di tali cellule è determinato dal fatto che i recettori di riconoscimento di ognuna di esse vengono generati dalla ricombinazione somatica di un ristretto numero di geni durante lo sviluppo individuale, principalmente durante la vita fetale/neonatale. D’altro canto, le cellule dell’immunità adattativa necessitano per attivarsi e funzionare di ulteriori cellule e molecole (immunità innata), i cui geni si selezionano secondo le regole darwiniane: questi ultimi continuamente mutano nella linea germinativa durante l’evoluzione delle varie specie (inclusa l’umana) e si selezionano in relazione all’emergenza di nuovi patogeni. Pertanto, non possiamo prevedere quanto tempo ci vorrà perché la risposta immunitaria contro un patogeno emergente (cioè, con il quale l’uomo non era mai stato esposto), come SARS-CoV-2, si generi o diventi protettiva nei singoli individui. È necessario qualche anno perché il sistema immunitario possa instaurare una immunità di gregge spontanea, la quale permette in genere la sopravvivenza soltanto di una parte della popolazione e quindi la sopravvivenza della specie (selezione naturale).

Attenti a fare previsioni impossibili

Il sistema immunitario si è evoluto principalmente per far sopravvivere la specie più che l’individuo. Predire gli effetti di questo straordinario e complesso viaggio interattivo tra virus ed ospiti è praticamente impossibile. È questo che gli epidemiologici, sociologi, filosofi, psicoanalisti (insomma l’uomo razionale) devono tenere in conto, affinchè le loro teorie o predizioni non risultino fallaci. Quindi, l’uomo si troverà sempre impreparato all’insorgenza di una nuova epidemia (e non solo di quella). Può tutt'al più limitare i danni con quarantene, mascherine, tamponi, mantenimento servizi sanitari nelle periferie delle varie regioni (importantissimi), implementazione di personale sanitario e letti nei reparti di terapia intensiva, monitoraggio degli spostamenti individuali, tests diagnostici a tappeto per tutti. Pertanto, dobbiamo adattarci alle “esigenze” del nuovo (per l’uomo) virus che cercherà coi tempi dell’evoluzione (quanto? imprevedibile: moltissimi anni…) di coabitare con noi, per sviluppare, alla lunga, un “contratto di non-belligeranza”, che sia vantaggioso per la sopravvivenza di entrambi gli attori (virus e ospiti).

È qui che interviene la straordinaria funzione del sistema immunitario, il quale si è evoluto condizionato da queste emergenze, ed è attrezzato per montare, in pochissimi anni, le risposte immunitarie protettive che permettano alle varie specie di sopravvivere ai nuovi virus emergenti, e di affrontare “immuni” il lungo percorso che porterà ad una interazione virus/ospite il meno dannosa possibile.

Vaccini e terapie antivirali

I vaccini, prodotti con tecnologie avanzate, sono l’unico strumento sicuro per accorciare i tempi di sviluppo della risposta immunitaria specifica e rendere l’immunità di gregge democratica (sopravvivenza di tutti). Quindi, anche se inutilizzati perché un data epidemia si è estinta (apparentemente) da sola, meglio averli perché non possiamo prevedere cosa sarebbe potuto succedere o cosa potrebbe ancora succedere, per i concetti di sopra. La comunità scientifica internazionale è impegnata massivamente per la generazione del vaccino contro SARS-Cov-2. Tutti speriamo che presto sia disponibile, ma anche in questo caso, è imprevedibile quando o se funzionerà.

I comitati etici di diverse nazioni (inclusa la nostra) hanno, recentemente, dato parere favorevole perché si sperimentino subito nell’uomo i vaccini anti-SARS-CoV-2 già disponibili, per cui potremmo avere le prime risposte entro pochi mesi: evocano o no risposte protettive? Dopo questa prima fase, sono però necessarie altre fasi che necessitano di almeno due-tre anni per provare che il vaccino abbia superato tutti checkpoint di qualità (dosaggi, efficacia su largo numero di soggetti a rischio, ecc). Parallelamente, la disponibilità di nuove terapie antivirali, su cui la comunità scientifica internazionale si sta focalizzando, è fondamentale: diverse di esse (anche in combinazione con vecchie terapie) sono già in sperimentazione sull’uomo con risultati assai incoraggianti.

Test e memoria immunologica

Fino a quando non avremo un vaccino contro SARS-CoV-2, come dovremo comportarci? Saremo costretti a seguire strettamente le misure atte a limitare i suoi danni durante le epidemie: quarantene, mascherine, servizi sanitari nelle periferie delle varie regioni, implementazione di personale sanitario e letti nei reparti di terapia intensiva, monitoraggio degli spostamenti individuali, test a tappeto per tutti coi tamponi per identificare l’RNA di SARS-CoV-2 a livello nasale o faringeo, e sierologici per identificare gli anticorpi specifici per il virus nel sangue (sia ai sintomatici, sia agli asintomatici).

Molto clamore è in corso per i kit che dosano gli anticorpi anti-SARS-CoV-2: oggi sono resi disponibili da diverse eccellenti aziende (incluse italiane), sono stati sperimentati dalle istituzioni competenti, e sono quindi affidabili (importante affidarsi solo a questi kit garantiti dai servizi sanitari internazionali). Tali kit dosano un cocktail di anticorpi contro tanti determinanti virali, che vengono prodotti dai singoli individui diversi giorni dopo l’inizio dell’infezione, e non discriminano quelli neutralizzanti e protettivi (anche se potenzialmente presenti nel cocktail anticorpale), cioè qli anticorpi capaci di inibire l’infezione delle nostre cellule, bloccando la parte del virus che nel caso di SARS-CoV2 usa il recettore ACE2 per entrare nelle cellule stesse: per questo sono necessari ulteriori test che si eseguono nei laboratori di molti centri. Pertanto, la sierologia positiva per tali anticorpi, testati con i kit disponibili, da sola non dice che sei protetto, ma indica soltanto che sei stato esposto al virus, se sono di classe IgG, ma che addirittura potresti essere portatore del virus, anche se asintomatico, se fossero di classe IgM: essi hanno un valore di marker anamnestico, e un grande valore dal punto di vista epidemiologico perché possono mappare la storia dell’infezione negli individui che sono stati infettati.

Guarigione e immunità

D’altro canto, per conoscenza generale, sappiamo che un individuo guarito da una data infezione (in questo caso, negativo al tampone), di regola se genera gli anticorpi contro il patogeno correlato, genera anche i neutralizzanti, non dovrebbe ammalarsi più con quel patogeno, e non sarebbe più infettante. Questo teorema (accertato da scienziati come Louis Pasteur, che spiegò quali fossero le basi scientifiche delle vaccinazioni, e poi da moltissimi immunologi, come i premi Nobel per la Medicina Rolf Martin Zinkernagel e Peter Charles Doherty) è noto fin dai tempi di Tucidide, il quale narrando la guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta (443-404 a.C.) e la peste che decimò principalmente gli ateniesi, descrive che chi guariva, non si ammalava più…

In considerazione di queste basi conoscitive, possiamo ragionevolmente pensare che i soggetti guariti da una infezione da SARS-CoV-2 e che risultano tampone negativo/anticorpi positivi, abbiano fra gli anticorpi anche i neutralizzanti, e potrebbero tornare in prima linea (con le mascherine) in posizioni di lavoro più a rischio, come gli operatori sanitari che sono esposti al virus o quelli delle industrie che necessitano lavoro di equipe.

Importante: monitorando questa classe di individui a forte rischio, con il dosaggio degli anticorpi e l’osservazione clinica, potremmo verificare se effettivamente essi sono protetti, in quanto non si riammalano nel corso di una successiva epidemia, e per quanto tempo (memoria immunologica). Al contrario, tutti gli altri di cui non possiamo sapere se sono stati esposti al virus e guariti, ma che comunque siano tampone negativo, anche se anticorpi positivi con i test attualmente disponibili, dovrebbero lavorare con più stringenti misure di sicurezza in reparti che assicurino la lontananza fra un lavoratore ed un altro: in questa maniera, si garantirebbe la la ripresa economica.

In una situazione di questo genere, bisognerà comunque programmare la possibilità che il virus ritorni e quindi il ripristino di tutte le misure di contenimento di una nuova possibile epidemia, elencate sopra. 

Rischi e vantaggi della strategia: la memoria immunologica

Sono dipendenti dalla memoria immunologica che si instaura in chi è stato esposto al virus, ha contratto una patologia più o meno sintomatica, e ha risolto l’infezione montando una risposta immunitaria efficace. Molteplici studi di immunologia molecolare, cellulare, sperimentale e clinica hanno ampiamente dimostrato che i linfociti B o T effettori (le cellule immunitarie che riconoscono specificamente e combattono il patogeno), dopo l'eradicazione del patogeno stesso, si spengono per morte programmata, in modo da non procurare danni inutili ai nostri organi e tessuti (attraverso tutta una serie di raffinati sistemi immunoregolatori). Ma non finisce qui, perché a questo meccanismo, segue la generazione di altri linfociti B o T, che sono fratelli di ogni singola cellula effettrice che si è spenta, e che hanno la funzione di ricordare il patogeno che ha evocato la risposta immunitaria primaria.

Per questa loro caratteristica, di cui oggi conosciamo molti dei meccanismi molecolari, queste cellule vengono chiamate linfociti della memoria, che rimangono quiescenti nei nostri tessuti linfatici, fino a quando non incontrano il patogeno primitivo. In questo caso, essi prontamente si attivano (evitando il famoso periodo di incubazione che caratterizza una infezione primaria), intervengono per neutralizzare il patogeno, senza che si instauri alcuna malattia, e possono mantenere una memoria immunologica duratura e protettiva per diversi anni (memoria a lungo-termine): questo è il principio delle vaccinazioni.

Il problema è se la memoria immunologica dura pochi mesi, memoria a breve-termine, che si genera per tutta una serie di motivi che coinvolgono soprattutto la capacità del virus di evadere la risposta immunitaria, e poi altre concause come la senescenza e varie co-morbilità (sindrome metabolica, gravi immunodeficienze generalizzate, tumori, cirrosi, abuso di alcol, tabacco, o di altre droghe…). In questo caso, l’individuo, non più coperto da una memoria immunologica efficiente, ridiventa potenzialmente suscettibile dell’infezione primaria.

A tutt’oggi, non sappiamo se SARS-CoV-2 evocherà una memoria immunologica a lungo termine, come SARS-CoV-1 (che è significativamente più mortale di SARS-CoV-2, ma la cui infezione è rimasta limitata), o a breve termine, come quella generata per esempio da altri due membri della famiglia dei coronavirus, HCoV-OC43 and HCoV-HKU1 (le seconde più importanti cause del comune raffreddore), i quali ogni inverno procurano il raffreddore anche a chi l’ha contratto l’anno prima. Questo lo potremo testare nei prossimi mesi, soprattutto monitorando i soggetti guariti, tampone negativo/anticorpi positivi per SARS-CoV-2 che sono ritornati nel mondo sociale.

Se essi dovessero mantenere una memoria a lungo-termine protettiva (perché la maggior parte di essi non si riammala in corso di una prossima epidemia), avremmo tutti i vantaggi del caso perché avremmo le premesse per l’instaurarsi della famosa immunità di gregge “pilotata”: man mano si farebbero uscire tutti i soggetti con queste caratteristiche ed il virus man mano verrebbe controllato a livello popolazionistico, con vantaggi anche per chi non fosse ancora immune.

Prepariamoci anche a una possibile convivenza con il nuovo virus

Ma la società civile deve prepararsi ad attrezzarsi subito per affrontare l’altra possibilità, e cioè che SARS-CoV-2 evochi una memoria immunologica a breve-termine. In questo caso, nessuno sarà protetto efficacemente contro il virus, che potrà ripresentarsi con i primi freddi, come il raffreddore, potrebbe procurare una nuova epidemia: per cui, è necessario che il governo allerti tutte le misure di sicurezza note (quarantene, mascherine, tamponi, monitoraggio degli spostamenti individuali, ecc), e incrementi il budget per la sanità, in modo che si riutilizzino i servizi sanitari nelle periferie regionali (chiusi per precedenti programmi sanitari scellerati), si aumentino il personale sanitario e i letti nelle reparti di terapia intensiva, i test diagnostici, già dal prossimo autunno.

È fondamentale che si ragioni in questa maniera e si pianifichino strategie adeguate, perché l'epidemia SARS-CoV-2 potrebbe comparire in maniera stagionale per alcuni anni. Questo significa programmare una fase 2 corretta per affrontare l’infezione SARS-CoV-2, per evitare possibili gravi conseguenze correlate a una nuova epidemia. Una speranza è che la memoria a breve termine possa rinforzarsi con l’esposizione ai ripetuti boost virali e trasformarsi in memoria a lungo termine, ma per ora è solo un'ipotesi.

Fino a quando non avremo un vaccino efficiente, dobbiamo abituarci all’idea che il nostro sistema immunitario “imparerà” a riconoscere e controllare SARS-CoV-2 attraverso ripetute epidemie. Come “poeticamente” descriveva il premio Nobel per la Medicina (1984) Niels Kaj Jerne, il sistema immunitario è come l’immagine allo specchio dell’universo. Pertanto, ogni piccolo frammento di qualunque patogeno o di qualunque elemento al di fuori di noi (antigeni non-self) è visto specularmente e possibilmente attaccato dal nostro sistema immunitario, il quale anche questa volta sarà all’altezza dei suoi compiti.

 


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