Inflammaging è la crasi, possibile solo in inglese, tra le parole "inflammation" e "aging" e si riferisce alla relazione tra i processi dell’invecchiamento e l’infiammazione basale cronica, a bassa intensità, spesso presente nelle persone anziane, che è caratterizzata da un’elevata concentrazione sierica di proteina C reattiva e di citochine, comprese le interleuchine 6 (IL-6) e 8 (IL-8).
Arne N. Akbar e Derek W. Gilroy della divisione di Medicinas dell’University College di Londra, ne parlano in un articolo su Science, definendo questa infiammazione “sterile”, dal momento che non è elicitata da patogeni: le sue cause possono essere l’accumulo di proteine “mal ripiegate”, una barriera intestinale compromessa, l’obesità o, non ultimo, il venir meno dell’eliminazione da parte dei linfociti killer (per probabile invecchiamento del sistema di sorveglianza immunitaria) delle cellule morte o morenti che così si accumulano in ogni organo e nei siti stessi deputati all’immunità. È stato visto che le cellule senescenti sono incapaci di riprodursi per erosione dei telomeri, danni al DNA, mutazioni epigenetiche o disfunzione dei mitocondri, ma sono in grado di secernere citochine, chemochine, fattori di crescita e metalloproteinasi della matrice, tutte molecole infiammatorie con effetti di deterioramento organico multiplo. Inoltre, gli addetti ai lavori le chiamano “zombie”, perché hanno anche la capacità di trasformare le cellule vicine da vitali in senescenti, diffondendo l’infiammazione.
A peggiorare la situazione, la presenza di uno stato infiammatorio cronico riduce l’efficienza delle difese immunitarie e lo si è visto nella risposta diminuita o assente a vaccini come quello antinfluenzale, nei pazienti che hanno un’infiammazione in atto. Proprio per eliminare le cellule senescenti, sono attualmente in sperimentazione sia su topi sia sull’uomo alcuni farmaci detti senolitici o geroprotettori. Uno studio preclinico condotto nel 2018 alla Mayo Clinic di Rochester (Senolytics improve physical function and increase lifespan in old age) ha dimostrato che l’eliminazione delle cellule senescenti in topi anziani inverte alcuni degli effetti dell’invecchiamento e aumenta la durata della vita.
Tra i farmaci senolitici si è dimostrato efficace il sirolimus, un antibiotico macrolide detto anche rapamicina, perché prodotto da un microrganismo (Streptomyces hygroscopicus) scoperto nel terreno di Rapa Nui, l’Isola di Pasqua. La rapamicina, la cui attuale indicazione è la prevenzione del rigetto dei trapianti d’organo, ha come bersaglio una serina treonina chinasi (mTOT, mammalian target of rapamycin) che regola la crescita, la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule. È ora in corso uno studio di fase 3 su un analogo della ripamicina che dovrebbe ringiovanire le cellule del sistema immunitario dell’anziano, dopo che è stato chiuso, nel 2018, lo studio di fase 2 (TORC1 inhibition enhances immune function and reduces infections in the elderly, Science translational medicine) che ha dimostrato che il farmaco diminuiva il tasso di infezioni delle vie respiratorie e aumentava la risposta alla vaccinazione antinfluenzale.
Molecole diverse, gli inibitori di p38 MAPK (protein chinasi mitogeno attivata), sono state, invece, testate con successo per attenuare l’infiammazione cutanea negli anziani con herpes zoster.
La ricerca di farmaci che contrastino l’invecchiamento (anche se il fine dichiarato di questi farmaci non è la longevità, ma una vecchiaia più libera da malattia) è cresciuta negli ultimi anni. Il grosso ostacolo della mancanza di un’indicazione precisa che consenta l’avvio dell’iter d’approvazione (dato che gli enti regolatori per ora non riconoscono la vecchiaia come una malattia) è stato aggirato con la dichiarazione d’intenti di cercare farmaci contro l’Alzheimer, il diabete, l’artrosi e le malattie cardiovascolari. Il vantaggio aggiuntivo è che valutare i risultati dei farmaci su queste malattie “senili” richiede un follow-up molto meno lungo che valutarli sull’invecchiamento.
La data di partenza dell’impennata dell’impegno e degli investimenti (vedi il rapporto del database CB Insights: The future of aging? The startups and innovations working to help us live longer and better) è il 2013, anno in cui uscì sulla rivista Cell l’articolo The Hallmarks of Aging, che elencava i nove principali processi implicati nella senilità: instabilità genomica, logoramento dei telomeri, alterazioni epigenetiche, perdita della proteostasi, deregolazione della sensibilità ai nutrienti, disfunzione mitocondriale, senescenza cellulare e alterata comunicazione tra le cellule. Attualmente, sono ai blocchi di partenza circa 200 composti geroprotettori, tra cui rientra a buon diritto anche la metformina, per la sua proprietà (oltre che di abbassare la glicemia) di ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione e che la Mayo Clinic di Rochester sta studiando per i suoi effetti sulla fragilità.
Altri senolitici allo studio del gruppo guidato da James Kirkland della Mayo Clinic sono l’antitumorale dasatinib, inibitore dell’enzima tirosin-chinasi, e il flavonoide quercetina.
In America, si sa, non è peccato coniugare ricerca e impresa a scopo di lucro e quindi non stupisce che proprio un professore di biochimica e biologia molecolare della Mayo Clinic, Jan van Deursen, abbia fondato con l’imprenditore biotech Nathaniel David, la Unity Biotechnology di San Francisco in California, molto attiva nel settore dei senolitici.
È noto che le cellule senescenti infiltrano in larga misura i polmoni e possono quindi essere la quinta colonna del virus nell’albero respiratorio, dandogli un aiuto, dalle retrovie, a scatenare la cascata infiammatoria. In caso d’infezione da SARS-CoV-2 in un anziano, potrebbe, quindi, risultare opportuna una strategia terapeutica per ridurre le cellule senescenti con questi farmaci innovativi (come non averci pensato!); intanto, forse, si potrebbe ridurre l’infiammazione, più economicamente, usando il desametasone.
Nell’ambito dell’inflammaging, che può essere una pesante ipoteca persino sull’efficacia di quella vaccinazione che soprattutto i soggetti più anziani stanno attendendo, vanno segnalati la somiglianza di comportamento, nel secernere molecole pro-infiammatorie, tra le cellule senescenti e gli adipociti, che darebbe un senso all’osservata prevalenza di obesi tra le vittime di SARS-CoV-2 e, ancora, il ruolo nella disfatta clinica della senescenza delle cellule T che, pur se danneggiate e mutate, continuano a essere citotossiche, ma a casaccio, spesso non contro le cellule infettate dal virus, ma contro i linfociti stessi.