La transizione ecologica deve puntare anche sulla bioeconomia e l'economia circolare per raggiungere da un lato gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050 e dall'altro la difesa e il ripristino della biodiversità. In questo filone è impegnata l'ISPRA che ha recentemente tenuto un seminario sulle diverse pratiche che possano garantire un vero sviluppo sostenibile. A partire dalla lotta allo spreco e l'agroecologia. Immagine tratta dal report EEA The circular economy end the bioeconomy. Partners in sustainability, 2018.
La crescita economica dipende dall’aumento di produzione e consumo di risorse, generando effetti dannosi oltre i limiti naturali e sociali, erodendo la biodiversità, la stabilità climatica, la salute e il benessere. Le evidenze scientifiche dimostrano che né il disaccoppiamento completo tra crescita e impatti, né un’economia circolare al 100% (specie se legata alla crescita) sono possibili. Sono i messaggi chiave che emergono nel 2021 dal rapporto "Crescita senza crescita economica" dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) e dai suoi studi prospettici di scienze complesse.
Secondo l’EEA, la post-crescita, l'economia della ciambella, la decrescita sono alternative che offrono preziose intuizioni per ripensare e riorganizzare il progresso. Le politiche per un futuro sostenibile e giusto richiedono non tanto soluzioni tecnologiche e digitali quanto profondi cambiamenti nelle pratiche sociali, nell’immaginazione e nei modi di produzione e consumo. La crescita è radicata culturalmente e istituzionalmente, perciò le barriere al cambiamento vanno affrontate in modo conviviale.
Questi risultati dell’EEA sono in sintonia con gli studi olistici che ISPRA sta conducendo dal 2017 sugli sprechi dei sistemi alimentari e la resilienza socioecologica. Entrambi sono presentati, discussi e aperti alla partecipazione del pubblico italiano nel seminario online ISPRA dello scorso 5 novembre 2021, di cui è disponibile anche la registrazione.
La bioeconomia accorda produzione e biodiversità
I sistemi alimentari guidati dai modelli economici prevalenti, soprattutto quelli intensivi e zootecnici, sono le maggiori cause dell’allarmante superamento dei limiti planetari ecologici e sociali, in particolare quelli di alterazione della biodiversità, fondamentale poiché da essa dipende la stessa sicurezza alimentare della popolazione. Alcune importanti istituzioni internazionali riconoscono che le politiche e le misure di protezione, rigenerazione e valorizzazione della biodiversità dovrebbero andare oltre il paradigma della crescita. Ciò comporta preferire l’uso di lessico e metriche biofisiche e di benessere tutelando l’esistenza di valori e benefici incommensurabili, non intercambiabili, altamente dipendenti dal contesto e a uso non esclusivo. Si tratta di elaborare scenari condivisi per azioni a protezione della biodiversità che siano integrate con attività umane socioecologiche. Le attuali pratiche di conservazione della biodiversità possono essere arricchite dalla diffusione di metodi agroecologici, quali per esempio la valorizzazione dei margini dei campi, i sistemi agroforestali, la connettività di siepi e stagni, le sinergie microbiologiche dei suoli e una gestione in equilibrio con la rinnovabilità di pascoli e praterie.
Se resta inalterato il modello di crescita i processi economici che utilizzano la biodiversità (“bioeconomia”), pur tendendo alla “circolarità”, continueranno ad aumentare i loro impatti negativi. Come nel caso del recupero e riciclo alimentari che possono essere utili, ma non sono sistemicamente efficaci se si basano sulla continua sovrapproduzione e sovraofferta di eccedenze per svilupparsi, accelerando così il medesimo paradigma economico. Un modello che si concentra sul miglioramento dell’efficienza unitaria, ma che nel complesso comporta enormi importazioni di risorse, impatti ambientali e sociali anche delocalizzati e paradossali amplificazioni dei consumi, dell’uso di risorse, inquinamenti e fragilità.
Le attività bioeconomiche possono invece essere quasi-circolari, sostituendosi e non sommandosi ai processi non circolari, secondo principi e condizioni di coerenza, equità, efficacia, autosufficienza e rinnovabilità delle risorse. Nel sistema alimentare ciò comporta ridurre l’enorme sovrapproduzione di eccedenze e la densità dei fabbisogni demografici a limiti “fisiologici” in equilibrio con le capacità naturali locali. Ciò basandosi su metodi agroecologici di rigenerazione dei territori che, in connessione con reti mutualistiche e solidali, usano più parsimoniosamente le risorse, liberando le potenzialità della diversità biologica e della pluralità culturale. Questi metodi mostrano, già dal breve periodo, numerosi vantaggi socio-ecologici e rese comparabili ai modi industriali, che invece a fronte di elevate rese immediate tendono a depauperare velocemente le risorse necessarie; invece nel medio-lungo periodo o già in situazioni critiche le rese agroecologiche possono essere maggiori. Inoltre i bassi tassi attuali di circolarità dovuti all’impiego di complesse infrastrutture industriali confermano che minore è la scala e maggiore è l’efficacia dei processi di riciclo/rigenerazione e delle connesse reti di innovazione sociale.
Oltre lo spreco
Rispetto ai sistemi convenzionali si osserva una riduzione media degli sprechi del 67% nel caso di sistemi alimentari regionali, biologici e di medio-piccola scala (per esempio: mercati degli agricoltori) e addirittura fino al 90% in media nel caso di reti locali, agroecologiche, solidali e di micro-piccola scala, per esesempio nei Gruppi di Acquisto Solidali o nelle CSA (agricolture supportate da comunità).
In Italia lo spreco alimentare sistemico è stimato ad almeno il 60% della produzione in calorie, impegnando da solo circa il 50% delle capacità naturali di rigenerazione delle risorse e assorbimento degli scarti (biocapacità). Di conseguenza, per tornare in condizioni di stabilità ecologica si stima sia necessario ridurlo ad almeno un quarto di quello attuale (-75%). Questa urgente resilienza dovrebbe fondarsi più che sugli attuali dubbi riformismi incrementali, prima di tutto su reali obiettivi di equilibrio ecologico, giustizia sociale e su percorsi partecipativi di profonda trasformazione strutturale del sistema alimentare.
La transizione agroecologica
Sviluppando gli studi scientifici internazionali più avveduti (alcuni in ambito ONU), si possono delineare strategie di resilienza alimentare e scenari alternativi al tradizionale proseguimento dell’incremento di produzione, che pur avendo aumentato nel breve periodo le rese per unità di superficie, ha prodotto esternalità negative durature e non ha risolto le questioni fondamentali. Questi scenari dovrebbero sperimentare in modo condiviso principalmente:
- riduzione assoluta dei consumi di prodotti/servizi e di risorse fondamentali come acqua e suolo agricolo/naturale, soprattutto per il Nord globale e la popolazione ad alto reddito
- reale democratizzazione ed equità dei valori e dei rapporti tra i diversi soggetti coinvolti nei sistemi alimentari, evitando spettacolarizzazioni, mercificazioni e dipendenza dai mercati finanziari
- sviluppo di un “ecosistema” autorganizzato di reti alimentari locali, agroecologiche, solidali e di piccola scala, in grado di prevenire strutturalmente gli sprechi e gli impatti negativi
- diete sane per la salute e per il pianeta privilegiando prodotti vegetali e non iperprocessati (grassi insalubri, sali, zuccheri, ecc.)
- transizione verso una riduzione consapevole dei fabbisogni demografici, soprattutto nel Nord globale, con maggior diffusione della salute riproduttiva e sessuale
- riduzione degli usi non alimentari dei prodotti edibili (per combustili, energia, industria, ecc.)
- riconsiderazione del valore delle produzioni indigene, delle varietà locali, tradizionali e di quelle selvatiche
È quindi urgente riconvertire le strutture esistenti preservando e permettendo la replicazione orizzontale (senza ingrandirle) delle piccole comunità virtuose che vivono in modo semplice e armonioso con l’ambiente naturale. Esse offrono ispirazione per diffondere l'innovazione sociale locale e organizzare la cooperazione globale (per approfondire si veda qui e qui).