Pollock's studio-floor in Springs, New York, the visual result of being his primary painting surface from 1946 until 1953. Wikipedia.
Jackson Pollock è probabilmente il pittore del Novecento che più ha sollevato reazioni opposte nel pubblico, oscillando tra apprezzamenti entusiastici ("il più grande pittore americano del Novecento"), al rigetto parziale o totale ("immagini che anche un bambino potrebbe produrre con successo"). Considerato che negli ultimi decenni i quadri di Pollock hanno raggiunto valori commerciali di milioni di dollari, la loro apparente facilità di realizzazione - si sa che essa consiste nel far sgocciolare con continuità la vernice dal pennello muovendo la mano in modo da tracciare seguendo certi criteri un intrico di linee convolute, eventualmente sovrapposte a macchie previamente depositate - ha attivato un gran numero di imitatori e ha fatto sbucare dal nulla presunti dipinti di Pollock relegati in angoli di cantine. Man mano che il valore commerciale dei dipinti saliva, grazie anche alle manovre interessate dei mercanti d'arte, cresceva l'esigenza di individuare criteri quantitativi che consentissero di separare l'autentico dal falso. Non era certo possibile giudicare la genuinità del dipinto dal maggiore o minore grado di apprezzamento da parte degli osservatori, giacché esistono copie dei quadri di Pollock che, a giudizio visivo, appaiono ineccepibili. Esempi di dipinti originali di crescente complessità sono mostrati in figura 1. Con l'intento di individuare un parametro di riconoscimento dell'autenticità di un Pollock, un professore dell'Università dell'Oregon, Richard Taylor, si chiese se per caso, data l'intricatezza dei tracciati pollockiani, non si potesse supporre che quelle trame avessero carattere frattale [1].
Figura 1
Prima di dare una risposta, è opportuno richiamare brevemente che cosa si intende per dimensione frattale. Un frattale consiste di un insieme di figure che si presentano in modo ricorrente su scala via via più ridotta, sfociando in forme di eccezionale complessità. In altre parole, un frattale ha una forma geometrica frammentata che può essere suddivisa in tante parti, ciascuna delle quali è una copia ridotta dell'insieme, una proprietà che si chiama autosimilarità. Sono frattali molti componenti dello scenario della natura, dalle nubi, ai fulmini, alle coste marine, al groviglio dei rami di un albero, alle felci (foto in figura 2), ai profili delle montagne, a molti vegetali quali i cavolfiori, alle colorazioni degli insetti, tutte figure che sono in forte contrasto con quelle tipiche tracciate dalla mano dell'uomo, ossia rette, cerchi, poligoni. A differenza dei frattali esatti, generabili matematicamente con equazioni iterative, nel caso della natura l'autosimilarità va intesa come approssimativa. Un noto esempio è quello delle coste dell'Inghilterra: non ci si può aspettare di trovare una microscopica Gran Bretagna, nemmeno distorta, se si esamina un piccolo tratto della costa con una lente d'ingrandimento.
Figura 2
Si possono avere infine dei frattali la cui autosimilarità è soltanto statistica. Si tratta per lo più di configurazioni aventi un alto tenore di casualità (generazione stocastica anziché deterministica dell'insieme frattale, tipico esempio le traiettorie dei moti browniani molecolari). Che la raffigurazione sia a carattere di frattale esatto, quasi-esatto, o solo statistico, in ogni caso essa deve presentare una struttura fina su scala arbitrariamente piccola e deve avere una complessità che non permette di descriverla in termini di dimensioni euclidee, cioè 1 per la retta e 2 per il piano. Ad essa deve invece essere associabile una precisa dimensionalità D compresa tra 1 e 2 [2]. Lo stesso discorso, naturalmente, va applicato all'arte, ove essa abbia un definito carattere frattale.
Ci sono diversi modi per stabilire se una data rappresentazione grafica ha natura frattale e, in caso positivo, per valutare il suo fattore dimensionale. Richard Taylor, nell'esaminare le opere di Pollock, utilizza il metodo del box counting (conteggio caselle). Se si sovrappone all'immagine un reticolo di caselle quadrate, talune di esse conterranno un tratto del dipinto, altre no. Eseguendo l'operazione con un passo del reticolo che viene gradualmente diminuito, a partire dalla larghezza del quadro intero per giungere a quella del dettaglio più sottile del disegno, si conta via via un numero sempre maggiore di caselle che contengono parti del dipinto. Se la raffigurazione ha carattere frattale, la relazione tra N(h), numero di caselle non vuote, e h, passo del reticolo, è di tipo esponenziale, ossia N(h)~h-D: perciò una rappresentazione del logaritmo del numero di caselle N non vuote, opportunamente normalizzato, in funzione del logaritmo del passo h del reticolo, deve sortire una retta la cui pendenza fornisce il valore di D.
Nel caso di un'opera d'arte, l'analisi non è difficile se il dipinto è monocromatico. Quando si hanno vari colori, la loro sovrapposizione porta sovente a un riempimento totale della tela, quindi per valutare la dimensione frattale occorre separare i contributi di ciascuna linea di un dato colore. Questo si fa interponendo tra dipinto e reticolo filtri ottici passabanda che permettano di vedere a una a una le varie tinte. La conclusione di Taylor è che le curve sgocciolate di Pollock hanno carattere di frattale statistico, com'è per gli scenari della natura. Taylor introduce il termine espressionismo frattale, affermando che la tecnica di Pollock riflette in modo diretto il processo generativo delle figurazioni naturali, senza tuttavia rappresentare le cose naturali stesse. Risultato, merita notarlo, ottenuto quando i frattali erano ancora quasi degli sconosciuti [3]. A detta di Taylor, la deviazione standard tra i dati e la retta ideale sarebbe molto piccola e permetterebbe di determinare D in modo preciso fino alla seconda cifra dopo la virgola.
È facile intuire che tale conclusione ebbe uno straordinario impatto sul pubblico, sugli artisti, sugli scienziati, sui mercanti d'arte. E tuttavia ebbe l'effetto di generare più interrogativi che risposte. La domande più ovvie: ma la frattalità è presente solo in Pollock? C'è una dimensione frattale da lui preferita? E qual è l'effetto estetico sul pubblico di una minore o maggiore frattalità? Taylor stesso, che con il suo gruppo ha proseguito gli studi fino ai giorni nostri, offre dati provenienti da esami sistematici di una dozzina di quadri di Pollock lungo l'arco della sua produzione, volti a confermare la tesi iniziale; altri studiosi non esitano ad attaccare apertamente la concezione di Taylor e negano che l'obiettivo primario di autenticare un Pollock sia stato in alcun modo raggiunto. Molti operatori del settore rifiutano che l'obiettività scientifica venga impiegata per la valutazione estetica di un'opera d'arte, un atteggiamento negativo che si ritrova negli artisti attraverso i secoli, presente oggi soprattutto nel settore dell'innovazione musicale. Infine, i mercanti d'arte non si lasciano sfuggire la suggestione dei frattali per accrescere la fama e soprattutto il valore dei ghirigori di Pollock. Ultimamente un suo dipinto è arrivato a toccare i duecento milioni di dollari!
Prima di sollevare dubbi sulla validità stessa del metodo di Taylor, è il caso di riferire notizie tratte dal suo stesso lavoro. Nell'articolo che è citato in Nota 1, si mostra che negli anni dal 1943 al 1952 la dimensione frattale dei quadri esaminati passa da un valore di circa 1,1 fino a un estremo di 1,9, suggerendo che in Pollock sia presente una continua ricerca di frattali di dimensione via via più elevata. Corrispondentemente, aumenta la complessità delle trame, che passano da tracce nitide a intrecci di elevata complessità. Un nutrito gruppo di dipinti attorno agli anni '50 ha dimensione D compresa tra 1,5 e 1,7, una dimensione evidentemente più congeniale a Pollock che non quella dei suoi quadri troppo "vuoti" o troppo "pieni". Secondo Taylor, una figurazione frattale potrebbe forse risultare piacevole in modo inconscio per la sua somiglianza con i meccanismi secondo cui la natura traccia i suoi profili. Diversi altri studiosi integrano con analisi supplementari il lavoro di Taylor e colleghi, e sembrano sostanzialmente confermarne il punto di vista [4].
Circa i valori delle dimensioni rilevate, Taylor porta altri argomenti a favore della sua tesi. Per esempio un sondaggio eseguito tra oltre duecento osservatori, richiesti di esprimere il loro apprezzamento di figure frattaliche generate da computer, aventi diversa dimensionalità, indica che il D preferito si aggira attorno a 1,4, mentre destano minor interesse le configurazioni con dimensione frattale più bassa, e scarsissimo per D da 1,7 in su. Un altro argomento di Taylor è che D=1,5 è la dimensione frattale delle tracce di esplorazione visiva delle suddette figure, che vengono "scansionate" secondo i movimenti microsaccadici del nostro occhio (media effettuata su sei osservatori). Un dipinto che ha dimensione D=1,5 - Alchemy, 1947 - è l'ultimo dei tre mostrati in figura 1. Rimane da capire quale meccanismo sarebbe responsabile di questa specie di gratificazione che il sistema occhio-cervello trarrebbe dall'osservare immagini frattali che hanno qualche corrispondenza con le proprie caratteristiche operative, per qualche verso "risonando con esse". Ma non è forse più semplice invocare l'antica filosofia che in medio stat virtus, nel senso che l'eccessiva semplicità da un lato e l'eccessiva complessità dall'altro non soddisfano le esigenze di un medio cervello acculturato, un po' come avviene nel campo musicale?
E veniamo ora a una voce discordante, quella di due giovani fisici - Katherine Jones-Smith and Harsh Mathur - il cui lavoro è stato pubblicato nel 2006 sulla prestigiosa rivista Nature.[5] Essi giungono alla conclusione che il procedimento per identificare aspetti frattalici usato da Taylor è difettoso e inaffidabile. Secondo i due, il comportamento rettilineo della funzione N in funzione del passo reticolare h non si osserva in una gamma sufficientemente ampia di h da permettere un sicuro riconoscimento del carattere frattale. Su un più ampio intervallo dei valori di h la retta non è più tale e la dimensione fratttale diventa discutibile o mal determinata. Di più, essi affermano di trovare (del tutto inaspettatamente, nelle loro parole) che, se ci si attiene all'intervallo di h considerato da Taylor, semplici disegni di natura infantile danno risultati analoghi a quelli dei dipinti di Pollock. La stessa Jones-Smith fornisce degli esempi che soddisfano tali requisiti, tipo il disegno a stelle rudimentali Untitled 5 mostrato in figura 3.
Figura 3. Disegno a stelle rudimental, Untitled 5
Se le cose stanno come affermano Jones-Smith e Mathur, nascono seri dubbi su almeno due punti essenziali: primo, il metodo del box-counting pionierizzato da Taylor non dà affidamento; secondo, la frattalità dei dipinti di Pollock è incerta e comunque non esclusiva dei suoi dipinti. Ne consegue che qualsiasi opera fatta a imitazione di quelle di Pollock darebbe responsi confrontabili all'originale. Non esisterebbero perciò elementi per ritenere il metodo di Taylor utile allo scopo per cui era stato ideato, ossia di stabilire in modo oggettivo l'autenticità di un Pollock.
Taylor naturalmente difende il suo lavoro e quello di molti altri studiosi del problema che concordano con lui, e afferma che, secondo una sua analisi, il disegno a stelle della Jones-Smith non risulta frattale. Il lettore potrà verificare in proprio, applicando il metodo del box counting, chi agisce correttamente e chi sbaglia. Gli argomenti di Taylor sono che "un'interpretazione in termini di frattale è appropriata perché è fisicamente ragionevole e perché si presta bene a condensare la descrizione di una geometria complessa". Tuttavia, da qui a causare tutto il clamore che in proposito è stato sollevato, e ancor più a far levitare i prezzi dei quadri di Pollock, corre una certa distanza.