fbpx Status syndrome: chi comanda vive più a lungo | Science in the net

Status syndrome: chi comanda vive più a lungo

Primary tabs

Tempo di lettura: 6 mins

Gerarchie di dominanza esistono in numerose specie sociali e la percezione della propria posizione in queste gerarchie, che per gli esseri umani è tipicamente determinata dallo status socio-economico, può influire notevolmente sulla qualità della vita e sul livello di salute, in particolare per quanto riguarda le malattie legate alle reazioni fisiologiche allo stress.

Il primo a riconoscere nello sviluppo sociale ed economico distorto e nelle sue conseguenze sulla povertà una delle principali cause delle epidemie fu, nell'ottocento, Rudolf Virchow, tra i padri della patologia cellulare. Dopo Virchow e per tutto il XX secolo, i progressi della medicina e la focalizzazione sul ruolo degli stili di vita hanno fatto passare nel dimenticatoio le radici socio-economico e ambientali della salute. Fattori che oggi la percezione delle disuguaglianze di salute tra paesi poveri e ricchi e all’interno degli stessi paesi ricchi hanno fatto riemergere. Se è vero infatti che nei paesi sviluppati non si muore più per mancanza di acqua potabile, di strutture sanitarie o di cibo, resta vero che la speranza di vita dipende molto dalla posizione nella scala sociale.[1].

Status Syndrome

Con l’intento di dare una spiegazione soprattutto alle diseguaglianze di salute nei paesi ricchi, Michael Marmot, docente di epidemiologia e salute pubblica all’University College di Londra e presidente della commissione sui determinanti sociali della salute dell’OMS, ha esaminato il senso di controllo che le persone percepiscono nei confronti del proprio destino e ha trovato che chi si trova sui gradini più alti della scala sociale, percepisce di avere maggiore libertà di controllo sulle proprie azioni e vive più a lungo di chi si trova più in basso[2]. Così, anche in un paese egualitario come la Svezia, chi ha un master vive di più di chi ha una laurea, e a sua volta chi ha una laurea vive più a lungo di chi ha abbandonato la scuola molto presto[3]. Per indicare le differenze di controllo e capacità nell’uso delle risorse che servono a determinare il destino che la persona ritiene di meritare, Marmot ha coniato la sigla “Status Syndrome”.

Fondamentale nel determinare il gradiente nel livello di salute non è tanto quello che una persona possiede in senso assoluto, quanto quello che una persona percepisce di poter fare con quello che possiede. Ad esempio, i neri degli Stati Uniti hanno un reddito quattro volte superiore rispetto ai neri della Costa Rica o di Cuba. Ciononostante, i primi hanno un’aspettativa di vita di 9 anni inferiore rispetto agli altri[4]. Di conseguenza, la differenza nell’aspettativa di vita non è correlata tanto e solo al reddito quanto a due fattori quali l’autonomia sulle proprie azioni e la possibilità di partecipare attivamente alla vita sociale, la cui assenza determina ansietà, insicurezza, isolamento, la propensione a comportamenti rischiosi e depressione. La percezione di un controllo limitato sul proprio destino agisce sulla salute attraverso una minore capacità di accesso alle risorse utili per la salute e attraverso il vissuto di subalternità e di mancato riconoscimento del proprio ruolo nella società.

A livello fisiologico, squilibri di questo genere sono in grado di stimolare reazioni neuroendocrine associate allo stress che, se cronico, può predisporre alla manifestazione di malattie metaboliche, come il diabete mellito o la malattia coronarica, somatiche e psichiche, o di disturbi immunitari con conseguente minore resistenza alle malattie. In sostanza, lo stress cronico e i meccanismi neuroendocrini e psicosociali che attiverebbe sarebbero all’origine del rischio graduale di disuguaglianze sociali anche nella salute: rischi maggiori per chi si colloca all’estremo più basso della scala socioeconomica, o per chi svolge un’attività lavorativa che non prevede il diretto controllo delle proprie azioni, e via via rischi gradualmente sempre minori salendo lungo la scala.

Lo stress dei subordinati

Conferme sull’importanza della possibilità di autocontrollo delle proprie azioni arrivano anche da un recente studio di Gary Sherman, psicologo dell’Harvard Kennedy School, pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences[5]. I ricercatori hanno reclutato, dai corsi di aggiornamento per manager del governo e dell’esercito presso l’università di Harvard, 148 persone con funzioni manageriali e 65 persone con ruoli subordinati. Sono stati valutati due indicatori di stress: un indicatore psicologico, il livello di ansia percepito dai soggetti coinvolti, e un indicatore fisiologico, il livello di cortisolo presente nella saliva (elevati livelli di cortisolo sono associati a elevati livelli di stress). Dai risultati è emerso che, in linea con gli studi di Marmot, chi si trova in una posizione di comando è meno stressato di chi non lo è, sia per quanto riguarda la quantità di cortisolo presente nella saliva - significativamente inferiore per i manager rispetto al gruppo dei non-manager - sia per il livello di ansia percepito. Addirittura gli autori hanno osservato livelli di ansia diversi persino tra i manager stessi, per cui quelli nella posizione di maggiore comando e con più subordinati percepiscono e manifestano livelli di stress significativamente inferiori rispetto ai dirigenti che si trovano in posizioni inferiori e con un numero inferiore di subordinati.

Prima di Sherman, Robert Sapolsky[6], neuroscienziato dell’Università di Stanford, aveva studiato le correlazioni tra posizione nella scala gerarchica e stress anche nei primati, trovando che i rapporti di dominanza influenzano la capacità di un individuo di fronteggiare lo stress e la sua vulnerabilità alle malattie correlate. In particolare, per quanto riguarda i primati, lo stress può influenzare sia gli animali che si trovano in una posizione di sottomissione sia quelli dominanti in funzione dell’organizzazione sociale delle diverse specie e popolazioni, come mostra la tabella[7] sottostante (* indica l’assenza di un trend legato alla gerarchia).

 

Societal characteristic

 

Individuals experiencing the most stress 

Dominance style and means of maintaining despotic dominance

Despotic hierarchy maintained through frequent physical reassertion of dominance

 

High-ranking

Despotic hierarchy maintained through intimidation

 

Low-ranking

Egalitarian hierarchy

 

* 

Style of breeding system

Cooperative

 

High-ranking

Competitive

 

* 

Stability of ranks

Unstable

 

High-ranking

Highly stable

 

Low-ranking 

Availability of coping outlets for subordinates

High availability

 

*

Low availability

 

Low-ranking 

Ease with which subordinates avoid dominant individuals

Easy avoidance

 

*

Difficult avoidance

 

Low-ranking 

Availability of alternative strategies to overt competition

Present

 

*

Lacking

 

Low-ranking 

Personality

Dominants perceive neutral interactions as challenging; subordinates take advantage of coping strategies

 

High-ranking

Dominants are adept at exerting social control and highly affiliative; subordinates are poor at exploiting opportunities for coping and support

 

Low-ranking

 

Anche dagli studi sui primati emerge quindi chiaramente come non sia la mera posizione nella gerarchia a rendere conto della peggiore salute degli individui con uno status sociale basso, bensì  il grado di autonomia e di partecipazione sociale che quella posizione consente a chi la occupa. Per quanto riguarda gli esseri umani, il gap nell’aspettativa di vita tra chi si trova in alto e chi si trova in basso verrebbe sicuramente ridotto da un aumento generalizzato del livello di educazione. Infatti, se è vero che anche in una società relativamente egualitaria come quella svedese si osserva il gradiente sociale tra chi ha una formazione universitaria e chi no, è anche vero che i figli di genitori con un basso livello di educazione hanno praticamente le stesse probabilità di accedere all’università dei figli di genitori con un alto livello di educazione, riducendo notevolmente la connessione tra la status syndrome e un basso livello socioeconomico.

Bibliografia:
[1] Marmot M.G. (2006), Status Syndrome. A Challange to Medicine. In JAMA vo. 295, No. 11 [2] Marmot M.G. (2004), The Status Syndrome. New York: Henry Holt [3]Erikson R. (2001), Why do Graduates live longer? In Jonsson JO, Mills C, eds Cradle to Grave: Life-Course Change in Modern Sweden. Durham, England: Sociology Press [4]  Marmot M.G. (2004), The Status Syndrome. New York: Henry Holt [5] Sherman G.D. et al. (2012). Leadership is associated with lower levels of stress. In Proceedings of the National Academy of Sciences, [6] Sapolsky R.M. (2005). The influence of Social Hierarchy on Primate Health. In Science 308, 648 [7] Sapolsky R.M. (2005). The influence of Social Hierarchy on Primate Health. In Science 308, 648


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Discovered a New Carbon-Carbon Chemical Bond

A group of researchers from Hokkaido University has provided the first experimental evidence of the existence of a new type of chemical bond: the single-electron covalent bond, theorized by Linus Pauling in 1931 but never verified until now. Using derivatives of hexaarylethane (HPE), the scientists were able to stabilize this unusual bond between two carbon atoms and study it with spectroscopic techniques and X-ray diffraction. This discovery opens new perspectives in understanding bond chemistry and could lead to the development of new materials with innovative applications.

In the cover image: study of the sigma bond with X-ray diffraction. Credits: Yusuke Ishigaki

After nearly a year of review, on September 25, a study was published in Nature that has sparked a lot of discussion, especially among chemists. A group of researchers from Hokkaido University synthesized a molecule that experimentally demonstrated the existence of a new type of chemical bond, something that does not happen very often.