Negativo della Sindone (Giuseppe Enrie, 1931.Wikipedia)
Sull'autenticità della Sindone di Torino si dibatte da tempo, ed è un classico esempio dell’impossibilità di raggiungere un accordo tra chi è interessato a sottolineare l’aspetto sacro e "inspiegabile" dell’immagine impressa su un lenzuolo che taluni vorrebbero avere avvolto il corpo di Cristo deposto dalla croce, e chi invece, sulla base dell’ evidenza scientifica ora abbondantemente disponibile, ritiene che si tratti di un falso costruito ad arte in età medioevale.
Si tratta di un caso che per le scienze dure non è probabilmente di grande interesse scientifico, visto che la datazione di un manufatto ad un’epoca paleocristiana o medioevale – se pure fosse ancora da definirsi – non rivoluzionerebbe certo la fisica, la chimica, la biologia o altri rami del sapere scientifico moderno; si potrebbe anzi affermare che, proprio nel momento in cui si accettassero da parte del pubblico i risultati conseguiti dalla maggior parte dei ricercatori e degli storici che vi hanno lavorato, proprio quando fossero stabiliti tutti i dettagli che hanno portato alla creazione del manufatto, esso cesserebbe di avere presso il pubblico quelle caratteristiche di "mistero magico religioso" che servono a chi pretende che esso non possa essere stato prodotto altro che mediante un intervento extraumano.
Il problema è che la confusione tra piano religioso e piano scientifico ha spesso portato ad affermazioni poco solide anche alcuni ricercatori, sia in un campo che nell’altro; i casi più estremi sono poi presi per esempio della controversia da chi ha interesse a propagandare il mito della inspiegabilità e dell’impotenza della scienza a chiarire il mistero, ignorando la vasta parte degli studi che da tempo ha ormai chiarito o accettato l’origine medioevale della Sindone e il semplice dato di fatto che riprodurne l’immagine sperimentalmente è esercizio sterile, perché sempre impossibile da collegare con certezza alla tecnica originariamente usata, visto che nessuno dei ricercatori era presente al momento della realizzazione e dunque qualunque risultato può essere attaccato sulla base del fatto che ci potrebbero essere procedure diverse e alternative per ottenerlo.
Qualche volta, tuttavia, i ricercatori, di fronte a uno degli estremi della controversia – che ripetiamo, è per la maggior parte della comunità degli storici e degli scienziati da tempo risolta – si spingono così avanti nel cercare supporto sperimentale per la propria opinione, che alla fine il loro lavoro, inizialmente pubblicato da qualche rivista scientifica, finisce alla fine per essere ritrattato.
Questo è appunto quello che è accaduto molto recentemente per un lavoro pubblicato un anno fa da Giulio Fanti su una rivista di discreto prestigio scientifico, PlosOne. Giulio Fanti, professore di misure meccaniche all'Università di Padova, è il più noto sostenitore italiano dell’autenticità della Sindone stessa, per cui non è del tutto irrilevante che il suo lavoro sia stato ritrattato dalla rivista con una motivazione piuttosto pesante. Poiché noi ci occupiamo da tempo anche di integrità scientifica, volendo approfittare di questa particolare ritrattazione per avviare un dibattito sul tema della Sindone, in una sede diversa da questa abbiamo iniziato una discussione con Fanti e con altri, nell’intento di approfondire culturalmente il tema; abbiamo anche chiesto a Fanti di inviarci la traduzione italiana delle sue due risposte alla redazione di PlosOne, e in effetti egli ce le ha gentilmente mandate: avendole lette con grande attenzione, ci siamo trovati in accordo con la rivista che ha ritrattato il suo lavoro; leggendo inoltre quanto disponibile in letteratura, ed è molto, sulla controversia della datazione della Sindone, ci siamo convinti che il consenso scientifico e i dati indicano con sufficiente chiarezza la sua origine medioevale: la ritrattazione del lavoro di Fanti e del suo gruppo ci è quindi sembrata appropriata non solo per le motivazioni tecniche, ma anche perché il lavoro originario ignorava apertamente le contraddizioni in cui incorreva con quanto dimostrato da altri gruppi in altre sedi. Ed è appunto quanto avevamo scritto commentando il caso nel Giornale online dell’ateneo patavino; in risposta, Giulio Fanti ci ha mandato i dettagliati commenti che pubblichiamo qui, assieme alle nostre necessarie risposte.
In chiusura di questa breve introduzione, non ci resta che ricordare quale sia per noi il tema principale del dibattito. Che non è il problema della datazione della Sindone o della sua autenticità: problema che per noi si può oramai considerare chiuso. Quello che può rimanere aperto è il dibattito sulla possibilità di capire se sia vero o falso che l’ampio consenso scientifico raggiunto (alla luce delle prove accumulate) sia artificiosamente distorto. Però per noi è più importante, e utile, spostare il dibattito su una dimensione di ben altro spessore culturale: quella della ricerca storica e scientifica sull’uso e sul significato delle reliquie dall’epoca medioevale o addirittura paleocristiana in poi. Lo ha fatto Francesco Veronese, trattando il tema in modo molto generale, non specificamente riferito al caso della Sindone, e Andrea Nicolotti che, sia pure trattando il tema in modo generale, pone al centro del suo articolo proprio il caso della Sindone, di cui è un riconosciuto esperto.
Se ci credo è vero, Francesco Veronese
Le reliquie nel cristianesimo, Andrea Nicolotti
Commento degli autori alla Retraction dell’articolo di PLOS ONE: “Atomic resolution studies detect new biologic evidences on the Turin Shroud”. The PLOS ONE Editors; Published: July 19, 2018 https://doi.org/10.1371/journal.pone.0201272
Caro Signore / Signora,
trovate nel seguito le nostre risposte alle preoccupazioni sollevate dagli editori di PLOS ONE. Vorremmo ricordare che il nostro documento è stato accettato per le pubblicazioni su PLOS ONE dopo l'arbitraggio positivo di tre arbitri per tre mesi.
Per vostra comodità, le preoccupazioni di PLOS ONE sono riportate in corsivo.
Sono state sollevate preoccupazioni sul fatto che i dati presentati in questo articolo [1] non siano sufficienti per supportare le conclusioni tratte; anche la provenienza, l'integrità e la disponibilità del materiale utilizzato per lo studio sono state messe in discussione. Alla luce di questi problemi, gli editori di PLOS ONE hanno rivalutato l'articolo pubblicato in consultazione con i membri del nostro comitato editoriale.
In [1] abbiamo dichiarato esplicitamente:
Quindi, l'origine della fibra è stata chiaramente dichiarata. L'integrità e la conservazione delle fibre sono state garantite poiché, dopo la sua estrazione dalla Sindone di Torino, è rimasta annegata tra il nastro adesivo e un vetrino da microscopio fino alla sua rimozione da parte di G. Fanti. Quindi, la fibra incontaminata è stata studiata da TEM senza alcun altro trattamento del campione grazie ad un recente metodo sviluppato nel nostro laboratorio per lo studio di materiali sensibili alle radiazioni da parte di elettroni ad alta energia in un TEM / STEM.
Sulla base della nostra valutazione interna e dei consigli ricevuti dai membri del comitato editoriale, gli editori di PLOS ONE temono che non ci siano controlli sufficienti per supportare le conclusioni relative al sangue umano o ai traumi fisici. Ad esempio, i controlli dell'inchiostro periodico e del sangue animale non sono stati inclusi nelle analisi di diffrazione e STEM, come sarebbe stato necessario per escludere interpretazioni alternative riguardanti il materiale sulla fibra, e i risultati della creatinina non forniscono prove definitive di traumi o violenze.
Entrambi modelli di diffrazione elettronica bidimensionale e le trasformazioni di Fourier delle immagini di microscopia elettronica a trasmissione ad alta risoluzione, acquisite nell'area della fibra che appare pulita al microscopio ottico e prese in diversi orientamenti delle zone, consentono di riconoscere senza dubbi un composto chimico/biologico. I dati di diffrazione sperimentale sono stati anche confrontati con successo con le simulazioni pertinenti, come procedura ben stabilita in esperimenti accurati TEM / STEM. Le nostre analisi nello spazio di Fourier, riportate in [1] e nel file di informazioni di supporto, hanno mostrato chiaramente che i nostri dati sperimentali sono compatibili con la creatinina avente nuclei di ferriidrato all'interno. Le nanoparticelle osservate non sono compatibili con pigmenti, inchiostri e altri composti chimici/biologici, come esplicitamente spiegato in [1] (vedi pagina 7 e rif 13, 17 36 e 37). La creatinina si trova anche nel sudore, ma abbiamo trovato "creatinina legata a ossido di ferro, nuclei di ferritina". Questo è un composto diverso con una presenza trascurabile in organismi sani mentre può essere trovato in modo consistente solo nel siero del sangue in condizioni patologiche che producono la rottura delle cellule e l'interazione nel flusso sanguigno tra la creatinina e i gruppi di ferriidrati contenuti nella ferritina. Questo composto potrebbe essere correlato solo a una malattia renale acuta, conseguenza della rabdomiolisi. Questo è uno dei motivi per cui molti feriti in incidenti gravi potrebbero morire per malattie renali. Questa scoperta può essere collegata a un forte politrauma e che non può essere spiegata supponendo la contaminazione semplice con il sangue di qualcuno abbia accidentalmente toccato la Sindone di Torino mentre sanguinava. Potrebbe essere sangue animale. Ma, se fosse il caso, l'animale avrebbe subito un forte politrauma. Questo chiamerebbe l'intenzione di un artista di produrre un artefatto; ma perché dovrebbe usare il siero del sangue dopo la tortura? Dovremmo pensare che un artista nel Medioevo usasse il siero di sangue di una persona o di un animale torturato per produrre il modello esatto che qualcuno, usando l'attrezzatura e le tecnologie di molti secoli dopo, avrebbe rilevato? Le conclusioni scientifiche si basano su prove e logica. Questo è stato esplicitamente segnalato in [1].
Pertanto, riteniamo che le principali conclusioni dell'articolo, incluse le seguenti affermazioni, non siano sufficientemente supportate:
"Sulla base delle prove sperimentali dei nostri studi TEM con risoluzione atomica, l'uomo avvolto nella ST ha sofferto di un forte politrauma"
"La fibra era impregnata di un siero di sangue tipico di un organismo umano che ha subito un forte trauma"
"Su scala nanometrica è codificato uno scenario di grande sofferenza registrato sulle nanoparticelle attaccate alle fibre di lino.
Queste conclusioni sono raggiunte secondo le evidenze fornite nel documento, che nessuno ha scientificamente contraddetto e seguendo la logica che rende improbabile un'opera d'arte fatta da qualcuno in grado di prevedere l'evoluzione scientifica nel 21° secolo. Tuttavia, abbiamo anche proposto di riformulare queste frasi come segue, per attenuare le conclusioni:
"Sulla base delle prove sperimentali dei nostri studi TEM con risoluzione atomica, l'uomo avvolto nel TS potrebbe aver subito un forte politrauma".
"La fibra era impregnata di un siero di sangue tipico di un organismo che potrebbe aver subito un forte trauma"
"Su scala nanometrica potrebbe essere codificato uno scenario di grande sofferenza registrato sulle nanoparticelle attaccate alle fibre di lino".
Ma, per gli editori di PLOS ONE, anche queste blande affermazioni sono state considerate inappropriate.
Inoltre, i risultati di questo articolo sono stati basati sull'analisi di una singola fibra (circa 1 mm di lunghezza e 15 μm di diametro) dalla Sindone di Torino. La dipendenza da una singola piccola fibra prelevata dalla Sindone di Torino nel 1978 mette in discussione la validità delle affermazioni nelle sezioni Risultati e Conclusioni che mettono a confronto le nuove scoperte con quelle riportate negli studi precedenti sulla Sindone di Torino. Non è stato dimostrato che i risultati della fibra utilizzata nell'articolo di PLOS ONE possano essere generalizzati come applicabili ad altri campioni prelevati dalla Sindone di Torino, o che la contaminazione del campione possa essere esclusa.
Tutti gli esperimenti TEM fatti in tutto il mondo non vengono eseguiti su volumi macroscopici; quello che è sempre importante è che il campione deve essere rappresentativo del materiale in studio e che l'esperimento deve essere eseguito su centinaia di aree del campione per avere un risultato significativo in termini statistici. Sicuramente, non ha senso che una singola piccola fibra del tessuto fosse bagnata dal siero di una persona morta con gravi problemi ai reni e che nel tessuto di lino non ci fossero altre fibre bagnate da questo siero. Certo, i nostri esperimenti non possono dire chi sia questa persona e quando fosse avvolto nel tessuto di lino. Per quanto riguarda la statistica degli esperimenti, abbiamo eseguito centinaia di esperimenti TEM, come al solito in accurati esperimenti TEM, su diverse particelle della fibra che indicizzano diversi assi di zona della creatinina legata al ferriidrato [1]. Gli esperimenti sono riproducibili, STERA ha alcune fibre e la Sindone di Torino è di proprietà del Vaticano. Gli interessati dovrebbero chiedere a loro i campioni. Abbiamo anche offerto la fibra utilizzata per il nostro studio per riprodurre o contraddire i nostri esperimenti in modo non distruttivo.
Inoltre, la dichiarazione Interessi in competizione per questo articolo [1] avrebbe dovuto dichiarare che il campione è stato fornito dalla Sindone di Torino Education and Research Association Inc. (STERA).
Come riportato sopra, abbiamo scritto tre volte che il modello è stato fornito da STERA. Non abbiamo segnalato nella sezione conflitto di interessi un conflitto di interessi con STERA, semplicemente perché STERA non ha dato alcun contributo sugli esperimenti, la loro interpretazione e la scrittura del documento. Tuttavia, abbiamo anche proposto di aggiungere un erratum nel documento per il conflitto di interessi, ma questo non è stato accettato da PLOS ONE.
Questi sono i motivi per cui non siamo d'accordo con le ritrattazioni.
Se si fosse parlato del tessuto di lino usato per avvolgere Tutankhamon non sarebbe sorto alcun problema, ma nel caso in questione molti pensano a Gesù Cristo. Se non si tiene separato l’aspetto scientifico da quello religioso possono infatti arrivare decisioni orientate all’obiettivo e quindi non scientifiche.
Nel caso si ipotizzasse il sangue di un animale, questo animale avrebbe dovuto subire forti traumi, non facili da giustificare.
Oltre a questa fibra di lino sotto esame, ne sono state già analizzate altre in [2], provenienti dalla stessa area; per queste è stato chiaramente dimostrato che le fibre analizzate contengono un particolare tipo di sangue (esposto a fonti di calore come quella del fuoco di Chambéry).
A conferma di questo studio, un altro lavoro [4] ha rilevato la presenza di emoderivati (biliverdina) proprio da fibre di lino sindoniche prelevate dalla stesa area.
Queste conclusioni emergono da decenni di studi su questo argomento e altre pubblicazioni (vedi per esempio [3] con i riferimenti ivi contenuti) hanno rivelato che in realtà la Sindone ha realmente avvolto un uomo e che quest’uomo morì dopo pesanti torture.
Altri autori potranno ripetere esperimenti simili per confermare o meno i nostri risultati, scoprire altri composti chimici / biologici, analizzare le fibre su scala nanometrica, ma in ambiente medico si dice che un singolo globulo rosso implica la presenza di sangue.
Caro Direttore,
La vostra decisione "di ritrattare questo articolo a causa di preoccupazioni sulla riproducibilità dello studio e sulla validità di alcune conclusioni tratte" è prima di tutto di secondaria importanza perché il primo obiettivo del documento era quello di mostrare la potenzialità di una nuova tecnica, basata sugli studi di risoluzione atomica, nella fattispecie applicata alla Sindone di Torino.
Mentre la ripetibilità del risultato è chiaramente riportata nel paper perché sono state rilevate molte particelle di creatinina con ferritina, la riproducibilità è possibile su richiesta, ma in questo caso è necessario definire anche a quale livello si desidera verificare la riproducibilità: di fibra, di filo, di tessuto, di sperimentatore, di attrezzatura, del luogo in cui si trova il laboratorio. D'altra parte, mi risulta che, mentre molti articoli pubblicati considerano la ripetibilità come è giusto che sia, ben pochi di essi si occupano di problemi di riproducibilità. Perché allora si preoccupa della riproducibilità del nostro articolo?
Le nostre conclusioni sono state concordate dopo confronti per tre mesi con 3 arbitri, ma siamo ancora aperti a formularle nuovamente di fronte a valide ragioni che saranno presentate da voi.
Viene aggiunto anche che "le preoccupazioni sono state sollevate all'ufficio del Journal sull'autenticità della Sindone di Torino".
Sono pronto a discutere le vostre preoccupazioni su richiesta, ma qui mi limito a informarvi che la datazione 1988 / C14 della Sindone è stata recentemente dimostrata discutibile da un punto di vista statistico (si veda M. Riani et al., Http: //www.riani.it/pub/RAFC2012.pdf) e metodi di datazione alternativi evidenziano un'epoca della Sindone del primo secolo d.C., quindi compatibile con l'epoca in cui Gesù Cristo visse in Palestina (https: //www.amazon .it / Sindone-Torino-Primo-secolo-Cristo / dp / 9814669121). Infine, se l'immagine corporea non è ancora spiegabile né riproducibile, come si può affermare che sia un falso?
Probabilmente chi ha fatto questi commenti non ha letto il Paper in questione nei dettagli perché si afferma che "dovremmo aver dichiarato che il campione è stato fornito dalla Sindone di Torino Education and Research Association Inc. (STERA)." Mentre sia nella sezione "Materiali e Metodi" che nella sezione "Ringraziamenti" è chiaramente dichiarata la provenienza del campione in questione.
In riferimento all’affermazione "Non è stato dimostrato che i risultati della fibra utilizzata nell'articolo di PLOS ONE possano essere generalizzati come applicabili ad altri campioni prelevati dalla Sindone, o che la contaminazione del campione possa essere esclusa."
Siamo aperti per verificare questi risultati su altre fibre provenienti dalla Sindone, ma è necessario considerare quanto improbabile, se non impossibile, sia una contaminazione come quella che si suppone.
Non ti capisco quando viene messa in dubbio "la provenienza, l'integrità e la disponibilità del materiale utilizzato per lo studio" perché la tracciabilità del campione è chiara e a disposizione su richiesta. Per quanto riguarda l'integrità, un'analisi microscopica della fibra di lino non mostra assolutamente difetti o segni che possano comprometterne l'integrità. Questa fibra fu raccolta dalla Sindone nel 1978 durante la campagna STURP e rimase annegata nella colla del nastro adesivo fino all'analisi nanoscopica.
Viene posto poi un punto che potrebbe essere effettivamente approfondito dagli autori: "non ci sono controlli sufficienti per supportare le conclusioni relative al sangue umano", infatti le analisi parallele (anche citate nel documento) hanno rilevato la presenza di sangue e solo uno di sangue umano (vedi PL Baima Bollone). La deduzione era stata scritta perché il sangue in questione era appena stato rilevato in corrispondenza di un arto umano, ma forse sono necessarie ulteriori prove.
Ripeto, alcune frasi del documento pubblicato possono essere discusse insieme all'Editorial Board se queste sono il problema e una versione riveduta del paper potrebbe essere considerata. La scienza procede sulla base di discussioni tra scienziati, non su documenti cancellati perché non sono piacciono a qualcuno.
Detto questo ti chiedo di ritirare la tua decisione in nome della verità.
Cordiali saluti, Giulio Fanti
Ringrazio innanzitutto Ernesto Carafoli per le chiacchierate telefoniche costruttive riguardo il tema trattato e per avermi dato spazio ad un commento sull’articolo scritto da a lui in collaborazione con Enrico Bucci il 3 agosto 2018. Riprendo qui commentandole alcune affermazioni ivi riportate che sono in tema con la rubrica “Vero/falso”. Per chiarezza, riporto virgolettato e in corsivo le frasi dell’articolo in discussione.
Vorrei subito fare un commento generale sull’articolo. Mentre viene dichiarato che il caso in esame tratta il problema riguardante l’autenticità o meno della Sindone - autenticità nel senso che la Sindone avvolse il corpo di Gesù Cristo risorto dopo la sua passione e morte in croce - i commenti sembrano invece più indirizzati a chi e come ha svolto tale ricerca all’interno dell’Università patavina piuttosto che addentrarsi nel vivo della discussione scientifica del tema trattato.
Visto l’uditorio a cui è rivolta questa rubrica, si è deciso giustamente con gli Autori di affrontare il problema da un punto di vista puramente scientifico, evitando quindi sconfinamenti in altri campi come quello storico o religioso. Tuttavia non mi sembra che il metodo scientifico sia sempre applicato in modo perfettamente corretto dagli Autori che spesso forniscono affermazioni non sufficientemente documentate ed apparentemente prodotte da preconcetti non propriamente scientifici.
Prima di commentare punto per punto vorrei anche ricordare ai lettori che la nostra decisione di discutere gli argomenti trattati limitatamente al solo campo scientifico, e quindi al solo campo materiale deve escludere a priori elementi legati al campo immateriale e non misurabile con opportuna strumentazione scientifica. Di conseguenza non solo fenomeni legati alla religione come la Risurrezione che non è riproducibile, ma anche percezioni extrasensoriali intese come ipotetici canali di informazione sconosciuti alla scienza o sentimenti intesi come stati d'animo o condizione cognitivo-affettiva, sono da considerarsi fuori tema e quindi da evitare nella trattazione che segue e che spero seguirà nei necessari approfondimenti.
“Si tratta della oramai pluriennale controversia sulla Sacra Sindone: se cioè essa sia realmente il lenzuolo che duemila anni fa ha avvolto il corpo di Cristo deposto dalla croce, o se sia invece un falso costruito ad arte in età medioevale.”
Se, come definito, l’ambito della discussione riguarda il solo campo scientifico, non penso che si debba parlare di una vera e propria controversia. Il compito della scienza infatti sarebbe quello di indagare e di presentare i risultati ottenuti senza volere indirizzare il lettore ad una particolare conclusione. Dato però che la Sindone è la Reliquia più importante della Cristianità, purtroppo spesso le conclusioni dei ricercatori eccedono i puri risultati scientifici arrivando anche a fornire interpretazioni personali; è il caso per esempio dell’articolo Rif. 1 recentemente pubblicato su rivista internazionale.
Mi sembra quindi che il problema riportato qui sopra non sia ben posto. Infatti la scienza potrà difficilmente arrivare a decretare che la Sindone abbia avvolto una certa persona, per di più in un particolare periodo storico; essa potrà invece solo verificare o meno la compatibilità delle evidenze riscontrate sulla Reliquia con le caratteristiche della persona a cui si vuole fare riferimento.
Non sembra poi ben giustificata la dicotomia evidenziata dove si pone il problema come scelta obbligata fra due sole possibilità: o la Sindone ha avvolto il corpo del Risorto, oppure essa è un falso medievale. Non sembra molto scientifico scartare a priori tutte le altre ipotesi possibili come per esempio quella che vede l’attuale Sindone come una copia realizzata nel XX secolo, magari costruita apposta per nascondere un furto clamoroso o un disastro forse dovuto al recente incendio del 1997. Penso che in una discussione scientifica non si debbano accettare posizioni precostituite.
“Non è un caso di ovvio e grande interesse scientifico,...”
Non concordo con questa affermazione perché, come diceva San Giovanni Paolo II (Rif. 2) “La Sindone è provocazione all'intelligenza.” L’immagine corporea ivi impressa, estremamente particolare in tutte le sue caratteristiche microscopiche e macroscopiche (Rif. 3, 4), infatti non è ancora oggi spiegabile e tantomeno riproducibile. Riuscire a comprendere come effettivamente si sia formata quella doppia immagine corporea non credo sia solo una sfida scientifica che continua ad evidenziare la limitatezza della scienza umana nei confronti della realtà fisica che ci circonda, ma credo anche che una migliore comprensione dell’immagine corporea potrebbe produrre interessanti ricadute tecnologiche di non poco conto soprattutto per l’industria tessile e dell’abbigliamento.
“… il professor Giulio Fanti … da un decennio pubblica contributi sperimentali tendenti a dimostrare che la Sindone in realtà risale al tempo di Cristo, in diretto disaccordo con altri contributi sperimentali che la datano invece al 13°-14° secolo della nostra era.”
A parte il fatto che non pubblico contributi sindonici da un decennio, ma da più di due decenni, non mi sembra di avere condotto analisi, mirate all’obiettivo ma studi multidisciplinari ad ampio spettro mirati ad una riduzione delle attuali notevoli lacune scientifiche riguardante il tema in esame.
Dovrebbe poi essere dimostrato il “diretto disaccordo con altri contributi sperimentali che la datano invece al 13°-14°”. Innanzitutto il plurale connesso ai “contributi sperimentali” non mi è chiaro perché mi risulta che esista un solo lavoro sperimentale (Rif. 5), non molto recente, riguardante la datazione medievale. Ci si dimentica poi di citare diversi lavori degli anni successivi (Rif. 6-13) che sono in contrasto con quel risultato e che ne evidenziano anche alcune problematiche metodologiche (Rif. 10, 12), di campionamento (Rif. 6, 7, 10) e di tipo statistico (Rif. 10).
Dovremmo ricordarci a questo proposito che proprio la nostra Università ha finanziato il sottoscritto con progetti di ricerca anche indirizzati a fare luce sulle diverse problematiche riscontrate nella datazione di tessuti di lino. Nel caso Sindone si deve poi considerare una possibile contaminazione prodotta da diverse cause, non ultimi i fattori ambientali (Rif. 12, 13).
Ritornando ancora al commento in riferimento allo scarso interesse scientifico della ricerca, vorrei anche ricordare che ci sono altre università italiane che stanno cercando di mettere a punto metodi di datazione alternativi perché di grande interesse archeologico. Per esempio molti musei sarebbero interessati a datare i loro reperti se i costi non fossero alti come quelli relativi al metodo radiocarbonico.
“Ebbene, proprio in queste settimane uno sviluppo che si può ben definire clamoroso ha imposto una svolta con ogni probabilità definitiva al problema: ne ha appena dato ampia notizia suIl Bo Live Pietro Greco. Si tratta di un articolo che il prof. Fanti ha pubblicato circa un anno fa con 3 collaboratori sulla rivista Plos One, in cui si descrivono sofisticati risultati sperimentali che negherebbero la possibilità che la Sindone sia un falso medioevale. Il clamoroso sviluppo, che risale a qualche settimana, è la decisione di Plos One di ritrattare l’articolo, motivando la decisione con i dubbi della redazione sulla riproducibilità dei risultati descritti, e sulla validità delle conclusioni. Le motivazioni della ritrattazione sono indubbiamente molto pesanti, e il prof. Fanti ed i suoi collaboratori non le hanno accettate, decidendo, come scritto nel comunicato della rivista, “to stand by the results”.”
Anche se la parte riportata in corsivo può apparire molto lunga, ho preferito lasciarla inalterata per non essere criticato di averne alterato il senso. In essa vi trovo affermazioni non molto scientifiche che richiedono almeno qualche approfondimento da parte di chi le ha scritte.
Innanzitutto, la “svolta … definitiva al problema” dovrebbe essere quanto meno opportunamente giustificata con prove scientifiche anche perché un lavoro parallelo (Rif. 14) che arriva a conclusioni analoghe non ha cambiato la sua posizione, probabilmente anche in seguito a probabili attacchi subiti similmente al (Rif. 15).
Se poi arrivassero a ritrattare anche l’altro lavoro che conferma l’avvolgimento nella Sindone di un uomo duramente torturato, rimarrebbero ancora innumerevoli indizi a favore dell’autenticità della Sindone (Rif. 3, 4, 12, 16, 17, 18) tali da non giustificare la conclusione assai semplicistica riportata.
Bollare poi come “definitivo” un risultato scientifico sembra più una conclusione mirata all’obiettivo che una conclusione scientifica vera e propria dove si dovrebbe umilmente ammettere che la scienza è in continua evoluzione e quindi in continua revisione delle teorie accettate. Se infatti la meccanica newtoniana fosse stata realmente definitiva, non potrebbero esistere la teoria della relatività e la meccanica quantistica.
Avrei poi piacere di commentare più in dettaglio, anche in questa sede, le motivazioni della ritrattazione dell’articolo (Rif. 15) che, secondo chi scrive, sono “molto pesanti”, ma che invece secondo gli autori, e non solo, appaiono in gran parte alquanto tendenziose e scientificamente discutibili. Poiché viene riportato nel seguito che “ci siamo trovati in accordo con la maggior parte dei punti sollevati dalla rivista.”, sarebbe bene che tali punti fossero evidenziati e discussi chiaramente, in modo che anche il lettore possa farsi un’idea personale del problema trattato.
Non concordo poi che il lavoro in questione (Rif. 15) neghi “la possibilità che la Sindone sia un falso medioevale”. Il lavoro infatti afferma solamente che la Sindone avvolse il corpo di una persona duramente torturata senza entrare nel problema di quando quest’uomo fu avvolto e senza toccare problematiche riguardante la falsità o meno dell’oggetto sotto analisi. È ovvio tuttavia che non sia facile spiegare come e perché un ipotetico falsario abbia deciso di torturare duramente una persona prima di avvolgerla nella Sindone. E infine ricordiamoci che non si sta toccando ancora il problema di come si sia formata quest’immagine per ora scientificamente impossibile da riprodurre.
“L’opinione che ci siamo formati, avendo letto non solo l’ultimo articolo del prof. Fanti ma praticamente tutto quello che sulla vicenda è stato sinora pubblicato, è che la preponderanza dell’evidenza scientifica raccolta dai vari gruppi porti inevitabilmente a concludere che l’origine della Sindone è medioevale.”
Per potere discutere a questo riguardo, vorrei conoscere che cosa è stato letto di quello che viene definito “praticamente tutto”. Dico questo perché in vent’anni di studi specifici sull’argomento io stesso so di aver letto solo una parte delle svariate migliaia di articoli riguardanti la Sindone. E farsi un’opinione oggettiva sull’argomento non è facile solo leggendo risultati pubblicati da altri perché purtroppo si ha anche a che fare con risultati non molto oggettivi; per fornire un giudizio più attendibile bisognerebbe toccare con mano i campioni sotto analisi e osservare direttamente i risultati ottenuti.
L’affermazione che la “preponderanza dell’evidenza scientifica” conduca“inevitabilmente” a concludere che la Sindone sia di origine medievale mi sembra quantomeno soggettiva e non documentata. Se rimaniamo nel puro ambito scientifico, escludendo quindi i vari aspetti anche storici e religiosi, mi risulta infatti che esista solamente il (Rif. 5) (ampiamente criticato dalla letteratura scientifica) che supporta tale tesi (escludo ovviamente da questa analisi tutta una serie di pubblicazioni che riportano o commentano i risultati pubblicati nel Rif. 5 senza aggiungere alcunché di nuovo dal punto di vista scientifico). Gradirei essere corretto se sbaglio.
“… il prof. Fanti avverte giustamente il rischio che, se non si tiene separato l’aspetto scientifico da quello religioso possono arrivare decisioni orientate, come lui scrive, all’obiettivo, e quindi non scientifiche. Il prof. Fanti non lo dice, ma evidentemente riferisce la considerazione ai “negazionisti” che considerano la Sindone medioevale.”
Non lo dico perché non mi riferisco solo ai cosiddetti “negazionisti”. Nelle centinaia di pubblicazioni lette sull’argomento devo ammettere, per essere oggettivo, che sia i cosiddetti “autenticisti” che i “negazionisti” sono frequentemente orientati all’obiettivo nelle loro affermazioni e soprattutto nelle loro conclusioni. Mi è perfino capitato di leggere qualche lavoro dove vengono deliberatamente ignorate alcune “prove” per meglio arrivare alla conclusione cercata.
“Ma a noi pare ovvio che il caveat riguardi direttamente anche il suo lavoro.”
Mi dispiace leggere un’affermazione simile perché sinceramente io cerco il più possibile di separare gli aspetti scientifici da quelli storico-religiosi o di altro tipo. Se non sono riuscito a farlo mi scuso del fatto involontario ma, in questo caso, vorrei però sapere dove ho sbagliato.
Premetto che nel (Rif. 15) ho dovuto condividere alcune affermazioni con i co-autori e che essi stessi hanno ammesso che qualche frase delle conclusioni potrebbe essere rimodulata, ma mi pare indiscutibile il fatto che sia stata rilevata la presenza di creatinina con ferritina a livello nanoscopico e che questa presenza sia riconducibile ad una persona duramente torturata o quantomeno fortemente debilitata dal punto di vista renale.
“E vorremmo ribadire con chiarezza che, dal punto di vista scientifico, un approccio la cui attività di ricerca sia orientata a dimostrare “verità” accettate per fede, e/o ad invalidare quanto altri hanno dimostrato perché in contrasto con la propria fede, è non solo intrinsecamente sbagliato, ma, appunto, pericoloso.”
Concordo pienamente con l’affermazione riportata sopra. Dato però che sia nelle righe immediatamente precedenti che in quelle successive si fa riferimento al prof. Fanti, ci tengo a precisare che la possibile insinuazione è completamente errata e fuori luogo se riferita a me.
Innanzitutto la Chiesa Cattolica, a cui appartengo, non considera la Sindone una verità di fede e mai ho pensato anche lontanamente di dimostrare scientificamente che la Sindone abbia avvolto il corpo di Gesù Cristo risorto dopo la sua passione morte in croce. Per inciso, la scienza non può dimostrare un fatto come la Risurrezione semplicemente perché questo non è un fenomeno riproducibile.
Ho iniziato a studiare la Sindone negli anni ’90 quando insegnai ai miei studenti di Misure meccaniche e termiche come elaborare immagini tramite sistemi di visione. Fu allora che pensai di cercare di ridurre qualche lacuna sulla conoscenza dell’immagine corporea della Sindone applicando le tecniche innovative che trattavo con gli studenti. Da allora ebbi diverse occasioni di approfondimento scientifico di temi sindonici anche mediante lo studio di micro-campioni fisici; è per questo che ancora oggi continuo le mie ricerche in questo settore. Ricerche che hanno portato frutti interessanti i quali hanno contribuito a ridurre – anche se in piccola parte - la nostra ignoranza sull’Oggetto di indagine.
Ritengo quindi alquanto offensiva l’accusa gratuita di orientare la mia attività di ricerca a invalidare “quanto altri hanno dimostrato perché in contrasto con la propria fede”.
“In realtà, la scelta stessa di un argomento di indagine di interesse minore in ambito prettamente scientifico trova la sua giustificazione solo nel rapporto con il racconto religioso che di esso si fa.”
Sotto un certo aspetto posso ritenere offensiva anche l’accusa gratuita di indagare a livello scientifico un oggetto di “interesse minore”. La ricchissima letteratura scientifica, anche ad alto livello internazionale, dimostra chiaramente che la Sindone non è un oggetto di “interesse minore”. Come riportato sopra, l’interesse tecnico-scientifico è dimostrato anche dal fatto che la scienza e la tecnica del XXI non siano ancora in grado di riprodurre una tale immagine e che un’eventuale messa in luce di tale tecnica potrebbe produrre anche interessanti ricadute a livello industriale. Affermo questo anche dall’esperienza acquisita con il nostro collega prof. Giancarlo Pesavento che qualche anno fa ebbe un contratto di ricerca industriale per analizzare gli effetti dell’applicazione delle scariche corona su tessuti; come è noto una delle ipotesi più attendibili sulla formazione dell’immagine sindonica è proprio connessa all’effetto corona (Rif. 19).
Se, come è stato deciso, la discussione in atto è limitata al campo scientifico del tema in esame, mi chiedo poi perché sia necessario uscire da questo campo considerando anche aspetti relativi all’importanza o meno della ricerca eseguita. Rice Brooks (Rif. 20) afferma che se non si riesce ad attaccare un rivale dal punto di vista scientifico perché più preparato, l’attacco sale a livello personale oppure denigrando il lavoro che quella persona sta facendo; nella frase riportata mi sembra di trovare qualche analogia con questa affermazione.
“Fermo restando che chiunque è naturalmente libero di venerare un’icona, medioevale o no, rimanendo nell’ ambito della sfera religioso-emozionale, resta il fatto che la pretesa di dimostrare “scientificamente” assunti legati alla sfera religioso-emozionale magari decretando l’autenticità di qualche “prova” storica, è un sogno che secoli di filosofia, prima che di epistemologia, hanno dimostrato essere appunto soltanto un sogno:”
La frase mi sembra abbastanza fuori luogo in questa discussione scientifica perché si cerca sconfinare da questo campo, ed ogni sconfinamento è non solo pericoloso, ma anche controproducente.
Se invece questa frase è rivolta direttamente a chi ha eseguito la ricerca in discussione, alludendo che la ha fatta per secondi scopi che esulano il campo scientifico, rigetto l’affermazione gratuita e tendenziosa a chi l’ha scritta perché, non solo nulla ha a che fare col tema scientifico trattato, ma è falsa.
Se poi vengono assegnati alla scienza compiti che non le competono come quello di decretare “l’autenticità di qualche “prova” storica”si rischia di denaturare proprio il metodo scientifico e di ottenere risultati intrinsecamente inaffidabili.
Gradirei approfondire meglio i punti critici evidenziati rimanendo però in un ambito puramente scientifico senza toccare direttamente o indirettamente altre sfere come quelle storiche e religiose. Solo in questo modo anche il lettore non sarà deviato da argomenti paralleli e potrà farsi un’idea più rigorosamente scientifica di quanto sappiamo e di quanto ancora ignoriamo sulla Sindone.
Secondo una mia valutazione basata su più di vent’anni di studi scientifici sull’argomento, se conosciamo il 5% di quello che potremmo conoscere su questa Reliquia, già conosciamo molto. Ecco spiegato anche il mio personale interesse nel continuare le ricerche scientifiche in questo campo multidisciplinare.
Ci corre l’obbligo di fare il punto sulle affermazioni del prof. Fanti nella risposta piuttosto piccata al nostro commento iniziale sulla ritrattazione del suo articolo (https://ilbolive.unipd.it/it/news/vero-falso-sindone-torino). La risposta contiene alcuni argomenti interessanti, insieme ad estrapolazioni che talvolta non colgono il senso di quanto avevamo scritto e su cui non ci dilungheremo oltre, perché, come abbiamo scritto, non ci interessano le liti da cortile – il lettore, tornando al nostro testo originale, potrà farsi infatti un’idea. Tra le contro-argomentazioni più meritevoli di risposta che il Prof. Fanti porta, una in particolare merita un approfondimento: è l’affermazione che l’indagine sindonologica non sarebbe un argomento di minore interesse scientifico, come dimostrabile dalle potenziali ricadute industriali che tali studi potrebbero avere e dal fatto che la scienza a suo dire ancora non riesce a spiegare la formazione dell’immagine sul telo di lino. A parte il fatto che nella sua risposta il Prof Fanti stesso afferma che nessuno si sarebbe interessato alla sindone se avesse avvolto, anziché il corpo di Cristo , quello di Tutankhamen, ci sembrano del tutto plausibili i dubbi sull’affermazione che lo studio della sindone, e proprio della sindone, sia indispensabile per produrre avanzamenti nel settore della tecnologia tessile. La questione è se avanzamenti del settore pur grandi – pensiamo per esempio all’industria della seta in epoca storica, o ai telai meccanici nella rivoluzione industriale – abbiano poi effettivamente prodotto avanzamenti scientifici di rilievo. A noi sembra adddirittura bizzarro pensare che un’ ipotetica rivoluzione del settore tessile possa derivare dagli studi sindonologici (e non per esempio dallo studio di qualsiasi altro tessuto), ma soprattutto non riteniamo che una tale rivoluzione avrebbe quell’impatto rivoluzionario sulla conoscenza scientifica che il Prof. Fanti sembra suggerire; e dunque questo ci sembra un pessimo argomento a sostegno della rilevanza scientifica dell’argomento di studio. Per quanto riguarda la seconda argomentazione che il collega adduce per questo interesse, vale a dire la difficoltà nel riprodurre l’immagine sindonica, anche in questo caso l’argomento ci sembra molto debole: si può infatti prevedere facilmente che qualunque riproduzione moderna sarebbe accusata di essere per qualche verso diversa dall’originale, ma, soprattutto, non sarebbe mai possibile affermare che la metodologia usata sia l’originale, perché anche se il risultato fosse indistinguibile, il fatto stesso di non essere stati presenti alla produzione del manufatto implica che non vi possa essere prova che una data procedura sia quella effettivamente usata dal creatore della sindone. Dunque, la riproduzione della sindone è un gioco a soluzione impossibile per costruzione; tuttavia, e questo è per noi il punto cruciale, qualora si raggiungesse un accordo sul modo in cui l’immagine fu formata, in che modo questa informazione potrebbe avere quel peso scientifico che il Prof. Fanti vorrebbe che avesse, se non nell’unico caso cui egli fra le righe si riferisce – cioè la formazione attraverso un evento che esula completamente dalla scienza e sconfina nel miracolo? Proprio per evitare di far ricorso a questa estrema ipotesi – che evidentemente è indigesta – egli nei suoi scritti invoca eventi non soprannaturali, ma semplicemente molto fantasiosi, che avrebbero un doppio vantaggio: spiegare in una la presunta alterazione della datazione al radiocarbonio e allo stesso tempo la formazione dell’immagine sindonica. Ricordiamo per esempio i “raggi X e gamma collimati legati alla nascita di supernovae ed ipernovae che penetrano l’atmosfera terrestre” suggeriti dal Prof. Fanti, ma anche tutte le diavolerie indicate da altri autori, quali “l’effetto corona”, terremoti locai con reazioni “piezonucleari”, radiazioni varie e specialmente laser ad alta intensità, reazioni tra materia e antimateria. Solo ammettendo uno di questi eventi eccezionali e descritti così vagamente nel loro meccanismo – in fin dei conti non sarebbero troppo diversi da un miracolo tradizionale - si può giustificare l’idea di una rivoluzione scientifica che possa scaturire dagli studi sindonici; ed infatti, il Prof.Fanti dedica i suoi sforzi non solo alla Sindone di Torino, ma anche a manufatti più recenti e molto più dubbi, quali un fazzoletto su cui sarebbe impressa la doppia immagine del Cristo e di San Padre Pio – ed anche qui le affermazioni del nostro per affermare che il fazzoletto non può essere stato prodotto da mano umana si sprecano.
In un campo così ricco di inverosimili spiegazioni straordinarie, peraltro non supportate dalle indispensabili evidenze , non fa quindi meraviglia se di tanto in tanto qualche pubblicazione sul tema finisca per essere ritrattata per aver troppo tirato la corda, o perché si scopra, come nel conclamato caso di frode scientifica dello “scienziato” Russo” (vedi il Dossier Kouznetsov pubblicato sul sito del CICAP) che aveva approfittato dell’argomento per pubblicare qualche lavoro fabbricando dati, analisi e persino affiliazioni e bibliografia. In realtà, più che l’interesse scientifico, il proliferare di argomentazioni per spiegare la formazione “acheropita”di immagini su lenzuola e fazzoletti sembra mossa dal disperato tentativo, tipico della pseudoscienza, di trovare argomentazioni ad-hoc per negare un fatto in contraddizione con la propria visione del mondo, e cioè per non accettare che la fabbricazione di reliquie è stato un fenomeno estremamente diffuso e molto ben radicato in determinate epoche storiche, con strascichi che arrivano fino ad oggi. Contrariamente al primo, questo sembra invece un argomento molto interessante, se non altro dal punto di vista delle scienze storiche, come a nostro parere hanno ben illustrato in questa rubrica Andrea Nicolotti e Francesco Veronese; lo studio del significato politico, economico ed in definitiva umano delle reliquie è un argomento affascinante, perché serve a capire come sia stato possibile in concreto utilizzare l’oggetto di devozione per ordinare, dirigere e plasmare una società nel suo complesso, creando al contempo ricchezza per una élite dominante in grado di gestire al meglio il sentimento popolare. L’animale uomo, per quel che ne sappiamo, è l’unico in grado di legare senso e significato spirituale ad oggetti materiali, naturali o manufatti; e sarebbe interessante studiare , da un punto di vista cognitivo ed evolutivo, quali siano la ragione ed il meccanismo alla base di una simile capacità, posto che essa non è comune ad altre specie.
Reliquario di Giovanni Battista, convento francescano, Porto (foto di Sergio Cima).
Il desiderio di perpetuare la memoria degli uomini illustri e di incoraggiarne la venerazione sta alla base del culto cristiano per le reliquie. Inizialmente circoscritto alla venerazione dei corpi dei martiri, con il passare dei secoli esso si è esteso anche a quelli dei santi, e infine agli oggetti venuti a contatto con essi. Man mano che il cristianesimo si diffondeva, all’antica usanza di recarsi in pellegrinaggio ai luoghi di sepoltura dei santi si affiancò l’uso di spostarne le reliquie per raggiungere i più remoti confini del mondo cristiano. Questi spostamenti, detti “traslazioni”, ebbero diversi effetti: anzitutto permettevano di consacrare altari di chiese che si volevano dedicare alla memoria di colui dal quale la reliquia era stata estratta, riponendo i suoi resti, integri o smembrati, al di sotto dell’altare stesso; poi, di accrescere la devozione verso quel luogo o quel santo; ancora, di svolgere una funzione apotropaica, dal momento che si riteneva che le reliquie fossero capaci di proteggere da guerre, catastrofi naturali e malattie, e di attrarre guarigioni, conversioni, miracoli e visioni; inoltre, di accrescere l’interesse verso il luogo in cui i reliquiari erano conservati, rendendoli poli di attrazione per i pellegrini e avendo come effetto secondario l’arricchimento sia della chiesa sia della città che tali pellegrini ospitavano; da ultimo, di accrescere il prestigio di chi possedeva le reliquie, istituzione ecclesiastica o stirpe nobile che fosse.
Tutto ciò, naturalmente, assume gradazioni molto diverse a seconda della capacità attrattiva di ciascuna reliquia, che invero è assai variabile. Le reliquie in genere sono oggetti privi di preziosità oggettiva, ma all’interno del proprio ambiente religioso, che attribuisce loro un valore, esse divengono dei “semiofori”, cioè oggetti che portano in sé un significato non tangibile e non misurabile se non agli occhi di chi le venera. E dunque tale significato può oscillare: certe reliquie in certi momenti della storia sono intese come più preziose di altre, e certune sono ignorate al punto da divenire semplici cimeli da sacrestia. Ciò dipende dalla tipologia di reliquia, dalla sua integrità o meno, dalle sue vicende, dal valore attribuito in un determinato luogo alla persona a cui essa è connessa, dalla propaganda messa in atto dalle autorità ecclesiastiche e civili. L’entusiasmo per le reliquie tende comunque a calare nel tempo se non viene periodicamente rinfocolato attraverso una costante attenzione oppure grazie a eventi significativi come festività, azioni di culto, traslazioni, guarigioni, apparizioni, miracoli. Quando una reliquia non riesce ad attrarre attenzione verso di sé, oppure la perde, si riduce a diventare pressoché indistinguibile da un oggetto qualsiasi.
Per molto tempo, e da parte di molti, le reliquie non sono state considerate un oggetto degno di interesse storico: il loro culto era considerato un fenomeno puramente devozionale, da ascriversi a quella che comunemente si denomina «religiosità popolare»; quest’ultima si associava al milieu antropologico delle classi subalterne in opposizione a quelle dominanti, o a quelle meno istruite rispetto a quelle dotte. In realtà è oggi chiaro che il culto delle reliquie è per così dire “trasversale”, perché coinvolge persone di ogni ceto e associa i diversi livelli sociali nell’esercizio delle medesime usanze religiose, credenze, aggregazioni; elementi per i quali alcuni studiosi di scienze cognitive hanno adoperato le categorie di «spontaneità» e di «immediatezza» adatte a qualificare una religiosità di natura intuitiva ed emozionale.
Gli ultimi decenni hanno assistito alla nascita di un interesse storiografico per la cosiddetta religiosità popolare, per la storia della pietà e in genere per le varie conseguenze della pratica religiosa attraverso l’intermediazione delle reliquie. Alcune chiavi di lettura di tali devozioni le ho già elencate; a ciò si aggiungono i tentativi di leggerle anche in prospettiva politico-ecclesiastica, nella dinamica della creazione e del mantenimento del consenso. È ormai pacifica acquisizione che certe devozioni approvate e favorite dalle autorità, sia laiche sia clericali, non soltanto avevano un effetto di consolazione interiore e di conferma nella fede, ma concorrevano anche a mantenere una certa quiete e la disciplina, indirizzando determinate aspirazioni delle masse verso la sfera dell’ultraterreno, indebolendo eventuali contestazioni politiche e istanze di rinnovamento, nonché de-storificando il negativo contingente. In questo senso le ‘classi’ elevate talvolta ebbero interesse nel creare o incentivare forme di religiosità di massa emotivamente coinvolgenti, alle quali loro stesse prendevano parte in posizione privilegiata e dalle quali non di rado ottenevano beneficio. Non esistono soltanto i culti spontanei, creativi o residuali, ma anche quelli creati e indotti dall’alto.
Col crescere della richiesta di reliquie, da parte dei semplici fedeli ma anche di illustri abati, vescovi, prelati e principi, dovette inevitabilmente crescere anche l’offerta. Uno degli effetti lungo la storia fu la smania di ricerca di antiche reliquie sui luoghi santi, spesso in buona fede: reliquie che la nostra sensibilità moderna, unita alle nostre competenze storico-scientifiche, difficilmente potrebbe considerare autentiche. Fu poi quasi inevitabile la nascita di una categoria di intermediari, alcuni dei quali onesti, altri veri e propri costruttori e spacciatori di falsi. Sono note le lamentele di sant’Agostino il quale denunciava il commercio delle reliquie dei martiri fin dal V secolo; ma il primato della disonestà spetta forse al diacono romano Deusdona, che nella prima metà dell’VIII secolo riuscì a smerciare false reliquie romane a numerosi illustri committenti di Italia, Francia e Germania. La maggior cifra mai spesa per l’acquisto di reliquie è verosimilmente ascrivibile a Luigi IX di Francia, il quale per crearsi a Parigi una collezione di cimeli cristologici non esitò ad acquistare da Baldovino II, imperatore latino di Costantinopoli, le reliquie del palazzo reale di Bisanzio con una spesa esorbitante.
E ciò induce a toccare il delicato tema della “autenticità”. Perché lo storico può studiare le reliquie nella prospettiva della storia delle devozioni, del culto, delle credenze, della politica laica o ecclesiastica, della ricaduta sociale ed economica, o da altri svariati punti di vista; ma rimane altresì chiamato a dire una parola sulla provenienza di tali reliquie, e quindi sulla loro autenticità. In genere, quando si tratta di reliquie di minor valore, oppure declassate, o dimenticate, in genere poco valorizzate o ritirate dal culto, l’impresa è agevole; mentre invece le resistenze possono farsi forti allorché lo storico o lo scienziato intervengono su reliquie “false” che però sono oggetto di grande interesse devozionale. In questi casi il rifiuto dei risultati ottenuti dall’indagine scientifica e storico-critica può essere totale; ma il dovuto rispetto delle tradizioni e della pietà religiosa non può dar spazio a reticenze o applicazioni di una sorta di doppia verità.
Il caso della Sindone di Torino è esemplare. Essa è parte di quel corredo di reliquie cristiche delle quali fino almeno al IV-VI secolo d.C. nessuno faceva menzione, poi rese progressivamente sempre più importanti e ricercate, fino al paradosso di una incontrollabile moltiplicazione di reliquie concorrenti distribuite o “riscoperte” in luoghi diversi. Paradossalmente, però, quella di Torino non è una delle sindoni più antiche, bensì una delle più recenti. Compare nella storia in un luogo che possedeva già tante sindoni concorrenziali - la Francia - e in una data abbastanza precisa, cioè il 1355 circa. Prima del secondo millennio, di una sindone con immagine del Cristo morto nessuno aveva mai parlato. Dal punto di vista documentario non v’è dubbio: è proprio il vescovo del luogo a dichiarare nel 1389 la falsità della Sindone stessa, ottenendo provvedimenti restrittivi per le ostensioni sia da parte del re sia da parte del papa. Soltanto molti silenzi e sotterfugi, e soprattutto l’acquisto della reliquia da parte dei Savoia nel 1453, poterono insabbiare tali provvedimenti e trasformare una riproduzione artistica in un autentico sudario di Gesù.
Ma i progressi dell’archeologia e la moderna scienza hanno confermato le vecchie carte medievali. Da una parte lo studio del tessuto ha rivelato una struttura che, per essere eseguita in quel modo, necessitava di telai sufficientemente evoluti, ovvero i telai orizzontali a pedali introdotti nell’alto medioevo; dall’altra l’archeologia israeliana ci fornisce prova della totale difformità della Sindone rispetto a tutti i teli antichi intessuti in ambito palestinese; infine l’esame radiocarbonico, realizzato con ben dodici misurazioni in tre laboratori diversi, fin dal 1988 ha fornito una datazione esattamente sovrapponibile a quella storica e archeologica. Eppure continuano le resistenze. La cosiddetta “sindonologia” continua ad affastellare presunte prove scientifiche che confuterebbero sia i documenti, sia l’archeologia, sia il 14C.
Il caso di Giulio Fanti mi pare uno dei più significativi: senza timore di esibire la sua devozione verso l’oggetto che studia, egli presenta continuamente nuovi esperimenti e adduce nuove prove - in genere ignorate dalla comunità scientifica estranea al circolo autoreferenziale della sindonologia - che confuterebbero ogni risultanza di non autenticità. Secondo Fanti l’immagine sindonica è stata generata da un intenso campo elettrostatico dentro il sepolcro di Cristo che avrebbe dato origine al cosiddetto “effetto corona”; per questo il professore ha compiuto vari esperimenti nel laboratorio della sua università, usando stoffe e manichini somiglianti al Gesù della Sindone e assoggettandoli a campi elettrici generati da una tensione fino a 300.000 volt. L’energia necessaria per disegnare la Sindone, secondo alcuni, poteva provenire da un fulmine globulare formatosi all’interno del sepolcro, oppure, come Fanti preferisce, da una specie di fulmine breve e intenso di provenienza ignota (o soprannaturale). L’idea del fulmine sarebbe corroborata dalle visioni di Maria Valtorta, una mistica italiana del XX secolo (i cui scritti però sono stati condannati dalla Chiesa): essa racconta di aver rivissuto la scena della risurrezione di Cristo, quando «una meteora splendentissima che scende, palla di fuoco di insostenibile splendore, seguita da una scia», discese dal cielo ed entrò nel sepolcro. Fanti nei suoi scritti mette in campo anche la risurrezione e particolari fenomeni di ionizzazione ambientale simili a quelli che sarebbero stati misurati durante le apparizioni della Madonna a Medjugorje. Egli ritiene anche di aver sviluppato nuovi metodi per datare le fibre di tessuto – misurazione delle proprietà meccaniche di singole fibre di lino, spettroscopia Raman e spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier – capaci di fornire per la Sindone un risultato compatibile con l’epoca di Gesù; sono però esami inconsueti, che non costituiscono un sistema scientificamente riconosciuto per la datazione di tessuti e non sono in grado di annullare le risultanze archeologiche, storiche e radiocarboniche che puntano al medioevo.
Tutto ciò a dispetto del fatto che il prof. Fanti non sia mai stato ammesso ad accedere alla Sindone, né a toccarla o a eseguire qualche prelievo o misurazione, dovendosi accontentare della contraddittoria letteratura precedente o facendo ricorso a microframmenti prelevati negli anni Settanta del secolo scorso e ottenuti per altre vie più o meno certificate (estratti decenni or sono con un aspirapolvere e mescolati a frammenti tessili di provenienza diversa, principalmente dal telo di sostegno su cui la Sindone era cucita fin dal 1534, oppure attaccati a nastri adesivi). L’Arcivescovo di Torino, anche a nome del Papa, precisa che «non essendoci nessun grado di sicurezza sull’appartenenza dei materiali sui quali sarebbero stati eseguiti detti esperimenti al lenzuolo sindonico, la Proprietà e la Custodia dichiarano di non poter riconoscere alcun serio valore ai risultati di tali pretesi esperimenti». Ma ciò non sembra bastare.
Lo storico, in questo contesto, è chiamato principalmente a interrogarsi sul perché ci sia una crescente insistenza su questo genere di reliquie; e ciò non tanto per spontaneo indirizzo dei semplici fedeli, quanto per spinta propagandistica, in larga parte ecclesiastica ma anche mediatica, grazie al sostegno di studiosi “autenticisti” organizzati in gruppi appositamente creati. Il tutto inquadrato, per certi versi, nel più ampio quadro del riaffermarsi dell’apologetica e dell’antimodernità all’interno di una certa parte del cattolicesimo. Un fertilissimo terreno dove la pseudoscienza può svilupparsi senza freno, a maggior ragione quando da una parte la Chiesa favorisce la credenza autenticista, ma dall’altra rifiuta di far sottoporre le reliquie a tutte le indagini scientifiche in grado di confermarla o confutarla.
Scultura di Sergio Rodella presentata al convegno "L’Uomo della Sindone. Ricostruzione tridimensionale del corpo avvolto dalla Reliquia", 20 marzo 2018, Archivio Antico di Palazzo del Bo a Padova.
La disputa sulla datazione della Sindone ha visto contrapposti studiosi e scienziati che si occupano di campi diversi, divisi tra coloro che, sulla base di dati ritenuti il frutto di risultanze scientifico-sperimentali (o come tali presentati), ne sostengono l’autenticità, o perlomeno la plausibilità, collocandone l’origine cronologica a una data prossima a quella della morte di Gesù; e coloro che, sulla base di dati di ugual natura, la negano, affermando si tratti invece di un manufatto databile al medioevo, quando in effetti riferimenti a questo oggetto iniziano a comparire nelle fonti scritte. Questo tema e, più in generale, su quello della verità o falsità delle reliquie dei santi cristiani, di cui la Sindone è uno degli esempi più noti ma anche, più controversi. Il mio, lo dico subito, è il contributo di chi si occupa di tali questioni da un punto di vista certo (per quanto mi riesce) scientifico, ma proprio di scienze diverse da quelle cosiddette dure, ossia le scienze umane; e, in particolare, della storia sociale e religiosa del periodo medievale. Un punto di vista che va ad affiancarsi, in nessun modo a sostituirsi ma al massimo a proporsi come arricchimento, a quello dei dati sperimentali. Un punto di vista che, in verità, non pone al centro del proprio interesse la questione della verità o falsità della Sindone – così come di qualsiasi altra reliquia dei santi.
C’è stato un periodo, anche piuttosto lungo e conclusosi (ammesso si sia concluso) da non molti decenni, in cui anche chi studiava storicamente questi oggetti, i testi, le tradizioni e tutti gli altri fenomeni che li riguardavano e li circondavano si poneva seriamente questa domanda, e faceva del suo meglio per arrivare a conclusioni criticamente circostanziate – nell’uno o nell’altro senso, cioè pro o contro l’autenticità di una reliquia. Questo periodo è durato dei secoli, sin da quando, nel XVII secolo, alcuni studiosi ecclesiastici perlopiù di area belga (i Bollandisti, ossia i seguaci dell’iniziatore di queste ricerche, Jean Bolland) si sono messi a esaminare le fonti sui santi cristiani – perché gli storici lavorano sempre e solo a partire dalle fonti –, soprattutto i testi agiografici, per capire quali fossero attendibili e quali no; quali cioè raccontassero il vero e quanti fossero, in tutto o in parte, frutto di invenzione. I risultati sono stati a loro modo dirompenti, perfino sconcertanti. Si è dimostrato come non solo certi testi fossero puramente inventati e del tutto privi di valore per ricostruire i fatti che narrano, ma addirittura le figure sante di cui parlano non siano con ogni probabilità mai esistite come persone fisiche – c’è chi dubita dell’esistenza di san Benedetto da Norcia, oppure di san Cirillo, il missionario degli Slavi. Interi culti, con tutto il bagaglio di testi, tradizioni e manifestazioni devozionali (ivi comprese, eventualmente, le reliquie) che si portavano dietro, furono screditati, e smisero di essere studiati, poiché il risultato che ci si era posti sembrava definitivamente raggiunto: erano stati dimostrati come falsi e dunque non meritavano più di far parte delle fonti utili per ricostruire gli eventi del passato.
Come dicevo, questo approccio e queste domande facevano parte del metodo seguito dagli studiosi fino a non molto tempo fa, all’incirca fino agli anni ’60 del XX secolo, quando le cose hanno cominciato a cambiare. Le domande che gli studiosi si fecero esaminando i testi agiografici non furono più: “Cosa può dirci questo testo sui fatti e i personaggi che racconta?”, bensì: “Cosa può dirci questo testo sul suo autore, ciò in cui credeva, gli scopi per cui prese in mano la penna, e il contesto storico, politico, sociale, religioso in cui operava – e in cui il suo testo ebbe una diffusione e degli effetti, grandi o piccoli che fossero?” In altre parole, l’attenzione si spostò dai protagonisti dei testi, i santi e le loro reliquie, ai contesti in cui essi furono prodotti e trasmessi. La questione della verità o falsità di un santo(/a) e di una reliquia passò, per ben che andasse, in secondo piano, se non direttamente nell’oblio. Da un certo punto di vista, non ci sono santi veri e santi falsi, reliquie vere e reliquie false; tutti i santi e tutte le reliquie di cui sia storicamente possibile accertare un culto, anche solo per brevi periodi o in modo intermittente, sono considerati veri, poiché tali erano visti da chi quel culto praticava, alimentava, dirigeva, controllava. E in questa veste metteva in moto, oppure, nel caso dei comuni fedeli, portava avanti senza rendersene ben conto, processi sociali, politici, perfino economici attivati attorno a quel culto e al suo oggetto, un santo e/o una reliquia. Perché detenere e controllare santi e reliquie, direi fino alla Rivoluzione francese e in qualche caso anche dopo, era un potentissimo strumento di rivendicazione, definizione e gestione del potere: le folle di pellegrini che si riversavano, e ancora oggi talora si riversano, in un santuario pregavano presso la tomba del santo e al contempo riconoscevano l’autorità di colui, vescovo, abate, re, imperatore, papa, che manteneva (nel senso di effettuare la manutenzione) quotidianamente le infrastrutture necessarie al culto – chiese, alloggi per i pellegrini, strade, ponti, ecc. E ne arricchiva le casse tramite offerte, donazioni, lasciti pii, destinati ufficialmente e simbolicamente al santo(/a) ma effettivamente amministrati dall’autorità che controllava il santuario. Limitarsi a definire falsa una reliquia e/o inesistente il relativo santo(/a) voleva dire, agli occhi degli storici, mettere da parte una messe di informazioni sulle modalità in cui quel culto si era comunque svolto, e sulle sue ricadute per la società che lo aveva praticato.
A queste considerazioni ne possono essere aggiunte altre, ancor più generali. Ciò che oggi noi chiamiamo vero o falso era ben diverso da ciò che in passato si riteneva vero o falso – e lo sarà rispetto a ciò che in futuro si riterrà vero o falso. Ogni epoca ha il suo modo di distinguere tra vero e falso. Nel medioevo, quando il culto delle reliquie ragginse il suo apice, le persone non erano più credulone, ingenue o ignoranti di oggi (non tutte, almeno); tanto è vero che a intervalli pressoché regolari si levarono voci critiche a proposito del culto di questa o quella reliquia, o del culto delle reliquie in generale. Tuttavia l’armamentario ideologico, sociale e politico costruito dai detentori del potere attorno al culto delle reliquie e il ruolo di quest’ultimo come risposta alle necessità materiali e quotidiane delle singole comunità erano tali da renderlo un pilastro della società medievale tutta. I santi, come scrisse un famoso studioso negli anni ’80, erano gli amici invisibili, coloro cui i fedeli si rivolgevano in caso di difficoltà, malattia, crisi, nella speranza di essere confortati, guariti, aiutati – o anche solo di ‘sfogarsi’ con qualcuno che li stesse ad ascoltare. Non era, dunque, una questione di ingenuità o predisposizione a lasciarsi ingannare, ma di strutture sociali laboriosamente e abilmente costruite in modo da soddisfare esigenze e al contempo legittimare posizioni di potere.
Torniamo alla Sindone. In base a quanto detto sinora, emerge come lo storico non si ponga, ora come ora, la domanda se la Sindone sia autentica o un falso medievale, bensì, tenendo sempre conto delle fonti a disposizione, chi abbia avuto nel tempo l’interesse a utilizzarla, cosa vi abbia costruito attorno, quale sia stato il successo o meno di queste operazioni, e quali conseguenze abbiano avuto sul contesto più ampio in cui tutti gli attori coinvolti si trovavano a operare. Darne un quadro, per quanto sintetico, qui sarebbe impresa titanica – e non ho problemi ad ammettere di non essermi mai nemmeno occupato direttamente della Sindone. Il mio intende essere soltanto un contributo a latere al dibattito cui ho accennato in apertura; un contributo volto certo non a stabilire punti fermi, bensì ad aprire ulteriori domande, come del resto la ricerca dovrebbe sempre fare. E al massimo a relativizzare, almeno in parte, l’importanza di una di esse, se, cioè, la Sindone sia vera o falsa.