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E' appropriato il decreto appropriatezza?

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Dentista, allergologo, TAC e risonanze magnetiche, oltre ovviamente agli esami di laboratorio effettuati in assenza di sospetti diagnostici. Sono 208 le prestazioni a rischio di “inappropriatezza” contenute nello schema di decreto messo a punto dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Il "decreto appropriatezza" è stato interpretato da molti come dettato da motivi economicil, altri ne hanno messo in dubbio la costituzionalità o l'efficacia. L'autonomia dei medici non ne esce ridimensionata? Che ruolo può giocare la ricerca in medicina, le linee guida, le prove di efficacia? E' polemica. 
Scienzainrete apre una discussione sul decreto con alcuni interventi, cui ne seguiranno altri nei prossimi giorni. 

Obiettivi giusti, mezzi inadatti
Roberto Satolli

La maggior parte delle anomalie che si trovano quando si fa un esame senza un buon motivo clinico sono non-malattie: cioè sono condizioni reali (non falsi positivi) che però non avrebbero mai dato alcun segno di sé se non le si fosse cercate. In gergo si parla di sovradiagnosi.
La conseguenza è spesso una cascata di eventi ed interventi di vario genere: approfondimenti, farmaci, chirurgia, complicazioni eccetera. Tutti potenzialmente nocivi, senza poter avere la contropartita di essere utili. In sostanza, anche le procedure diagnostiche, come i farmaci e ogni altro intervento in medicina, quando non sono indicate sono dannose.
La tutela della salute è il motivo principale per cui è giusto contrastare l’abuso di esami (che è molto ben documentato anche in Italia), e limitarne esplicitamente le indicazioni. Che da tali limitazioni possa derivare anche un risparmio per il sistema sanitario è un motivo aggiuntivo, che rende l’intervento ancora più doveroso, ma che non si traduce necessariamente in tagli alla sanità.
Innanzitutto perché i risparmi potrebbero essere utilizzati per altri interventi sicuramente utili per la salute e non dannosi. E poi perché è molto probabile che il decreto finisca come una grida manzoniana, e che per controllare i medici da sanzionare si finisca per spendere più di quanto si risparmia, come è accaduto in Francia con un provvedimento simile applicato negli anni ’90: le references opposables.
Non si contrasta l’abuso di esami minacciando i medici di sanzioni economiche, ma costruendo con loro un consenso sui rischi iatrogeni che queste pratiche inducono, e soprattutto aiutandoli a liberarsi dai conflitti di interesse con l’industria della salute in cui si sono via via avviluppati.

Va valorizzato il ruolo del medico nella riduzione delle prescrizioni inappropriate 
Consiglio direttivo di Slow Medicine

Slow Medicine, movimento di professionisti e cittadini per una cura sobria rispettosa e giusta, ritiene che il Decreto Ministeriale “sull’appropriatezza prescrittiva” sia una buona occasione per affrontare un argomento di cui molti parlano ma che quasi mai viene affrontato in modo costruttivo. Slow Medicine ha sempre richiamato l’attenzione dei professionisti su questo tema, troppo spesso condizionato dagli interessi del mercato, e ha sempre sollecitato i professionisti a farsi carico in prima persona del problema.
Più che di appropriatezza prescrittiva si dovrebbe parlare di appropriatezza clinica: effettuare la prestazione giusta, in modo giusto, al momento giusto, al paziente giusto. Nel decreto, invece, sono comprese pratiche, come quelle odontoiatriche, i cui criteri di erogazione non attengono all’appropriatezza clinica bensì alla scelta politica italiana di non assicurarle a tutti i cittadini tramite il servizio sanitario.
Posto poi che qualunque esame, intervento chirurgico, dispositivo medico o farmaco è da considerarsi appropriato se esercita un effetto utile o benefico per chi ne usufruisce e se tali benefici superano i possibili danni, secondo Slow Medicine l’appropriatezza della prescrizione di una pratica (diagnostica o terapeutica):
- va riferita a uno specifico obiettivo e quindi non è un valore assoluto, ma relativo rispetto alle condizioni, in genere sempre complesse, in cui quella pratica viene consigliata dal medico al paziente;
- deve rispondere ai criteri di sobrietà, rispetto e giustizia. Un intervento che non rispetti il malato, in quanto persona nel suo complesso, con i suoi valori e le sue preferenze, non è appropriato ancorché possa apparire scientificamente corretto. Utilizzare pratiche inefficaci o inappropriate è una pratica comune e ampiamente documentata che, oltre ad essere dannosa, spreca preziose risorse e sottrae, nel quadro di un sistema universalistico pubblico, l’opportunità a qualcun altro di ricevere le cure di cui ha bisogno;
- non comprende solo il sovra-utilizzo, cioè le pratiche erogate in eccesso, senza un favorevole rapporto tra benefici e rischi, ma anche il sotto-utilizzo, cioè le pratiche che secondo le prove scientifiche apportano benefici, ma che non vengono erogate a sufficienza, come ad esempio in Italia le cure ad anziani e disabili;
- deve essere valutata dal medico con indipendenza ed autonomia rispetto alle pressioni del mercato tendenti a farlo prescrivere al solo scopo di profitto e alle spinte istituzionali tendenti solo a un risparmio economico;
- cambia di giorno in giorno, in relazione allo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie. L’agire del medico non può essere oggetto di mediazione politica e l’idea di praticare la medicina secondo regole stabilite da provvedimenti governativi con il principale obiettivo di ridurre i costi e con minaccia di sanzioni per i medici che non le rispettano, rappresenta un vero e proprio attentato alla professione.
Ogni medico aggiornato e attento alla letteratura scientifica sa molto bene che una parte consistente delle cure mediche non sono né efficaci, né appropriate. Sono inappropriate, ad esempio, quasi la metà delle indagini radiologiche ambulatoriali, il 50% delle angioplastiche eseguite su pazienti con angina stabile e gran parte della artroscopie nei pazienti con artrite del ginocchio; i check-up non servono a nulla e almeno il 20% dei farmaci sono prescritti per indicazioni non validate dalla ricerca. I dati reperibili nella letteratura internazionale relativi a prestazioni inappropriate sono innumerevoli.
La questione non è semplicemente di natura economica, ma riguarda direttamente la salute delle persone, che da un sovra- o da un sotto-utilizzo di prestazioni diagnostiche e di trattamenti farmacologici e chirurgici può ricevere seri danni. In questo senso i media possono giocare un ruolo informativo indispensabile per evidenziare comportamenti inappropriati e pericolosi, che alimentano sprechi e producono effetti diseducativi e dannosi per la salute. Si calcola, per esempio, che almeno la metà delle raccomandazioni attinenti alla salute formulate nei talk show non siano basate su prove scientifiche, siano contraddette dalle conoscenze disponibili o siano state sponsorizzate da portatori di interesse.
D’altra parte, fino a quando ai cittadini e ai pazienti viene fatto credere che tutte le cure che ricevono sono utili, che fare di più è sempre meglio, che la tecnologia è in grado di risolvere ogni problema, sarà inevitabile che qualsiasi tentativo di riduzione delle prestazioni (anche di quelle inutili) venga considerato un attentato alla salute.
Slow Medicine ritiene che la strada da percorrere passi inevitabilmente dalla capacità del medico di avvalersi di cure scientificamente provate, ma anche dalla sua abilità nell’avviare una relazione di cura con il paziente, fatta di visita, ascolto, suggerimenti, consigli e, solo alla fine, di prescrizioni. L’eccessiva fiducia riposta nelle tecnologie ha offuscato il valore del dialogo e dell’interazione con il paziente come fattori essenziali della cura.
A questo proposito, in analogia a quanto avviato in ambito internazionale da Choosing Wisely, Slow Medicine ha lanciato in Italia il progetto Fare di più non significa fare meglio, secondo cui le società scientifiche s’impegnano ad individuare alcune pratiche (esami e trattamenti) a rischio di inappropriatezza, allo scopo di discutere con i pazienti benefici e rischi associati a tali pratiche e aiutarli a decidere nel modo migliore. Alla campagna, avviata con l’adesione di FNOMCeO, IPASVI, Partecipasalute, Altroconsumo, Slow Food e molte altre Associazioni di professionisti e di pazienti, hanno finora aderito 34 società scientifiche italiane, con l’individuazione, ad oggi, di più di 100 pratiche.
Questo è un esempio concreto di come, tramite il coinvolgimento dei professionisti con le loro società scientifiche, in alleanza con le associazioni dei pazienti e dei cittadini, si può evitare la prescrizione di pratiche inappropriate nell’interesse stesso di pazienti e cittadini, e nel contempo ridurre gli sprechi delle preziose risorse del servizio sanitario.

Il decreto non è una risposta appropriata  alle dinamiche della medicina difensiva
Vitulia Ivone, docente di Istituzioni di diritto privato, Università di Salerno

L’art.9 quater del Decreto Enti locali affronta il delicato tema della Riduzione delle prestazioni inappropriate che individua «le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza  prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica  ambulatoriale».
Già nel 2012 il Ministero della Salute aveva pubblicato un manuale di formazione per il governo clinico in collaborazione con Fnomceo e Ipasvi con l’intento di riassumere e organizzare le principali conoscenze disponibili in materia, auspicando il buon funzionamento dei sistemi sanitari e la determinazione delle cure necessarie. In questo documento emerge il concetto di in appropriatezza, legato all’aumento dei costi della salute, quale parametro delle politiche sanitarie nazionali, regionali e locali.
La cognizione che l’appropriatezza delle cure possa essere misurata e costituire quindi la base per compiere le scelte migliori sia per il singolo paziente sia per la collettività sta conducendo la riflessione fuori dal contesto nel quale si è realizzata la relazione medico-paziente, ovvero la fiducia.
Se al termine appropriatezza si attribuisce la ridondante qualifica di misura dell’adeguatezza di una scelta di un intervento diagnostico o terapeutico rispetto alle esigenze del paziente, non appare logico declinare tale misura attraverso la predisposizione di liste che ne limitino la praticabilità.
L’elenco dei 208 esami diagnostici consentiti dal Decreto è sostitutiva della capacità di giudizio del medico? L’esclusione di altri esami è certezza dell’abbattimento degli episodi di medicina difensiva? Quando il Decreto afferma che il medico «deve specificare nella prescrizione le  condizioni  di erogabilità della prestazione o le  indicazioni di  appropriatezza prescrittiva» in cosa starebbe invertendo la rotta dei suoi doveri per aggirare lo spettro di un atteggiamento difensivo?
Un intervento diagnostico o terapeutico attiene al momento decisionale dell'atto medico che deve prestare l’opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza, utilizzando tutti gli strumenti che ha a disposizione per migliorare lo stato di salute del paziente.
Tuttavia, l’uso di pratiche e misure diagnostiche o terapeutiche condotte oltre che per salvaguardare la salute del paziente, come garanzia delle eventuali responsabilità medico-legali derivanti dalla scelta di un tipo di cure ha stratificato un tipo di medicina che vede il medico in posizione di difesa, pronto a prescrivere più esami pur di non incorrere nell’accusa di aver trascurato le condizioni del paziente.
Certamente non è compito del Decreto conferire alla classe medica quell’atteggiamento etico di cui – in casi circoscritti – è apparsa sprovvista.
Tuttavia, attribuire ad una lista la capacità di rassicurare i pazienti nei casi di malasanità è frutto di una ingenuità inspiegabile.
L’ansia di imporre regole non oscura gli effetti perversi dell’attuale sistema di governance delle aziende sanitarie, il conflitto permanente tra Governo e Regioni, il progressivo definanziamento della sanità pubblica ben al di sotto della media europea, nonché l’assenza di prospettive delle giovani generazioni mediche.
Magari riprendere alcune norme della Legge Balduzzi porterebbe maggior giovamento almeno in termini di chiarezza nella predisposizione dei limiti della responsabilità del medico, evitando di chiedere ai Tribunali di ridefinire e riqualificare quanto la legge ha previsto.
Alle volte, nel pur lodevole tentativo di migliorare il sistema, sarebbe auspicabile che il legislatore non procedesse con l’adagio dell’hic et nunc, ma ricordasse che l’ordinamento giuridico è un complesso di norme positive generali o individuali, ordinate secondo una norma fondamentale che,all’art.32 attribuisce alla Repubblica la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, garantendo cure gratuite agli indigenti.
Tornare alla Carta costituzionale è, con le parole di Calamandrei, tornare a «un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere».
Dunque, il decreto appropriatezza non appare la risposta alle dinamiche complesse della medicina difensiva perché teso a parlare più dei numeri che delle persone, più delle spese che delle sofferenze.
Il risparmio delle generazioni di oggi – unico strumento di reazione a lunghe stagioni di sprechi silenziosi – si fonda sull’irresponsabilità delle generazioni politiche del più recente passato: dunque il paziente ricordi il principio di solidarietà costituzionale non chiedendo esami diagnostici che non siano indispensabili, togliendo risorse utili per coloro che ne hanno davvero bisogno; il medico ricordi che il suo non è soltanto un lavoro, ma un impegno verso chi soffre. Ma il legislatore non dimentichi che su temi come la salute si cementifica – o si supera – il distacco tra il cittadino e lo Stato.

Quelli che “eh ma il mio dottore non mi ha scritto niente”
Maria Rosa Valetto
“...neanche un esame, giusto per essere tranquilli” non sono mica pochi. Se ne escono delusi o stizziti dall’ambulatorio del medico di famiglia e magari corrono in farmacia affidandosi a un prodotto da banco “Io non dico proprio una medicina, ma un qualcosa che possa aiutarmi.”    
Il fatto preoccupante è questi pazienti giudicano la competenza di chi li cura in base alla quantità delle ricette e delle richieste. Di conseguenza un medico serio che abbia evitato una prescrizione inappropriata resistendo alle tentazioni del conflitto d’interesse e rinunciando al riparo della medicina difensiva, rischia di perdere l’alleanza terapeutica con loro.
I meritevoli tentativi di far partecipare i pazienti-cittadini alle scelte di salute, devono avere tra gli obiettivi primari quello di trasmettere loro il concetto di appropriatezza delle cure.

Medici, ecco i veri sprechi nelle cure
Silvio Garattini
Il mondo dei medici è in gran- de agitazione in rapporto con un decreto ministeriale che riguarda l'appropriatezza ed in qualche modo sottrae alla libertà del medico la possibilità di effettuare 208 prescrizioni diagnostiche. In realtà c'è un po' di eccesso nella corale levata di scudi da parte delle varie organizzazioni sindacali mediche perché non si tratta di divieti assoluti e d'altra parte si tratta nella larga maggioranza dei casi di aspetti diagnostici genetici che ricadono evidentemente non tanto sotto la responsabilità del medico di medicina generale quanto dello specialista o del medico ospedaliero.

Leggi l’articolo pubblicato sul Il Mattino

Elogio alla parsimonia in medicina: risparmi per investire nella ricerca
Giuseppe Remuzzi 
Esami di laboratorio, test genetici, Tac, risonanze magnetiche e tanto altro diventano prestazioni soggette a «condizioni di erogabilità» o «indicazioni di appropriatezza prescrittiva». Cosa vuol dire? Che un certo esame di laboratorio, mettiamo la concentrazione di calcio nel sangue, tanto per fare un esempio, si può prescrivere solo a certe condizioni: se uno ha i calcoli al rene o se ha insufficienza renale o malattie dell’osso o disordini neurologici e psichiatrici o anche malattie della tiroide, della paratiroide, gastrointestinali e tumori. Ed è così per tanti altri esami, 208 in tutto. I medici però non ci stanno «non potremo più prescrivere secondo la nostra coscienza» dicono e contro questo decreto sono pronti a scioperare. Intanto il ministro Lorenzin difende la sua scelta con molto garbo ma senza concedere nulla. Chi ha ragione? Stiamo ai fatti e torniamo - per capirci - al nostro esempio. Ci sono altre condizioni per cui si debba misurare il livello di calcio nel sangue? A me non pare e penso che per i medici analizzare ciascuna voce del decreto potrebbe essere utile.
Nessun limite alla libertà di prescrivere
Sempre a proposito del nostro esempio il decreto aiuta a ricordare che disturbi neurologici e psichiatrici dipendono in certi casi da bassi livelli di calcio nel sangue. Nel mieloma multiplo - una forma di leucemia - il calcio è alto, questo lo sanno tutti, ma negli altri tumori? Il decreto potrebbe essere uno stimolo a scoprirlo. Quello del calcio è solo un esempio, se ne potrebbero fare tanti altri a dimostrazione che non c’è nessun limite alla libertà di prescrivere, se mai la si orienta verso l’appropriatezza, ma questo ai medici dovrebbe far piacere, o no? La Tac della colonna vertebrale si può fare dopo un trauma o se si sospetta un tumore, se no meglio la radiografia. Giusto. Non dimentichiamo che quello che non serve può far male e che con la Tac si prendono molte radiazioni e alla lunga c’è il rischio di sviluppare tumori. Ma allora l’etica di evitare gli sprechi dovrebbe diventare un imperativo morale per tutti e ancora di più per chi governa la sanità e per i medici. E serve a dare buone cure più che a risparmiare.
Decidere insieme su ciò che è giusto fare
Certo vanno coinvolti anche gli ammalati, il decreto protegge anche loro. Che non l’hanno capito, né loro né le loro organizzazioni:«Meno esami, pazienti in rivolta e le sigle dei consumatori sono pronte a unirsi ai medici». Di chi la colpa? Certo non degli ammalati, siamo noi medici a non essere mai stati capaci di spiegarglielo; potremmo farlo adesso e cominciare a discutere apertamente e senza ipocrisie con i nostri pazienti dei costi delle cure. Questo non compromette affatto il nostro rapporto con loro, come pensa qualcuno. Tutt’altro, sarà l’occasione per decidere insieme su ciò che è giusto fare, su quello che è meglio evitare o che non si deve fare affatto. Fra noi c’è ancora qualcuno che pensa che l’attenzione a quanto si spende sia in contrasto con l’etica professionale. Non è così, scrive Gregg Bloche sul New England Journal of Medicine. L’articolo ha un titolo molto bello «Medicine’s, new frugality», è un invito ad essere parsimoniosi con esami e radiografie e con tutto quello che costa ma che non serve. Da qualche tempo per certe malattie abbiamo farmaci efficaci ma costosissimi (basti pensare a quelli per l’epatite C), vorremmo poterli dare a tutti ma continueremo a farlo solo se sapremo risparmiare da qualche altra parte.
Il medico è tenuto a spiegare le ragioni
Resta il problema che chi non rispetta il decreto ne risponderà economicamente e potrebbe persino arrivare a doversi giustificare di fronte alla Corte dei conti. Questo ha dato fastidio proprio a tutti («Le sanzioni: un’umiliazione evitabile»). Prima di criticare però leggiamolo bene il decreto «in caso di difformità del comportamento prescrittivo rispetto alle indicazioni il medico è tenuto a spiegare le ragioni». Insomma, se c’è un buon motivo per non seguire quello che ci viene raccomandato basta farlo presente. Certo che se uno non è in grado nemmeno di spiegare il perché di certe prescrizioni, è normale che debbano esserci sanzioni. Peccato che invece di protestare e minacciare scioperi i medici non si siano concentrati sulla parte più interessante delle dichiarazioni del ministro «parte di quello che si risparmia lo investiremo in ricerca», questa sì che è una buona notizia.

articolo pubblicato su Il Corriere della Sera 


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