Il 22 agosto 1913 a Marina di Pisa nasceva Bruno Pontecorvo, il "cucciolo tra i ragazzi di via Panisperna" che ha attraversato il "secolo breve" come su una nave in tempesta e che, per dirla con Luciano Maiani, "ha vissuto tre volte". Il fisico che ha attraversato la cortina di ferro nel senso oggi ritenuto sbagliato, da Ovest a Est. Forse il maggior esperto al mondo della particella più elusiva che, al momento, si conosca: il neutrino.
Bruno Pontecorvo è nato in una famiglia benestante, con una certa tendenza a produrre geni. Il fratello maggiore di Bruno, Guido Pontecorvo, diventerà un noto biologo e il fratello minore, Gillo, un grande regista. Gli sono cugini, tra gli altri, Emilio Sereni ed Eugenio Colorni. Anche le frequentazioni di famiglia, lì a Pisa, non sono male. Passano per casa Pontecorvo, in particolare, due giovani studenti di fisica di cui si sentirà parlare: Franco Rasetti ed Enrico Fermi.
Bruno li ritroverà, quei due fisici, nel 1931 quando, a diciotto anni, decide di passare da ingegneria a fisica e da Pisa a Roma. Loro sono dall’altra parte del tavolo in un colloquio informale di ammissione. Fermi e Rasetti stanno cercando di organizzare un gruppo per lavorare sulla nuova fisica, quella nucleare. La prova è superata e così – con il soprannome di "cucciolo" – Bruno entra a far parte dei "ragazzi di via Panisperna".
È ancora uno studente quando si imbatte per la prima volta nei neutrini. Si tratta di una ipotetica particella della cui esistenza, nel 1930, ha parlato il fisico teorico austriaco Wolfgang Pauli, associandola a un fenomeno radioattivo noto come "decadimento beta". Pauli la chiama "neutrone". Così quando, nel 1932 l’inglese James Chadwik annuncia di averlo scoperto, Pontecorvo e gli altri ragazzi che frequentano l’Istituto di Fisica lì, a via Panisperna, chiedono a Fermi se quello dell’inglese sia il neutrone ipotizzato da Pauli. «No» risponde Fermi, «i neutroni di Chadwick sono grandi e pesanti. I neutroni di Pauli sono piccoli e leggeri; essi devono essere chiamati neutrini».
Ma Fermi non si limita a battezzare i piccoli e leggeri neutrini. Nel 1934 effettua quello che Bruno Pontecorvo chiamerà il "debutto nel campo della fisica nucleare pura" e pubblica la sua teoria del decadimento beta, con cui non solo “sistema” il neutrino nel suo giusto ambito fisico, ma dimostra l'esistenza di una nuova forza fondamentale della natura, l'interazione debole, accanto alle due fino ad allora note: la forza di gravità e la forza elettromagnetica.
Il 1934 è anche l’anno in cui i ragazzi, lì a via Panisperna, iniziano a bombardare i nuclei atomici con i neutroni di Chadwik. È la tecnica che farà di Roma, per almeno quattro anni, la capitale mondiale della fisica nucleare. E Bruno Pontecorvo è lì, con Fermi e Rasetti, ma anche Edoardo Amaldi ed Emilio Segré, a farla, la migliore fisica nucleare al mondo. Il gruppo ottiene anche la fissione dell’atomo di uranio, ma non se ne accorge.
Pontecorvo si distingue nel gruppo. Perché è l’unico, insieme a Fermi, a mostrare le doti e le attitudini del (grande) fisico teorico, oltre che del (grande) fisico sperimentale. Un eclettismo che sta diventando merce rara, nel mondo della scienza. Nell'estate successiva Bruno, insieme a Edoardo Amaldi, continua gli esperimenti. E si accorge, non senza sgomento, che quando i neutroni attraversano un filtro di paraffina sono cento volte più efficaci del solito nel provocare la radioattività dell'argento. Fermi spiega che i neutroni sono moderati, ovvero rallentati, dalla paraffina. E, quindi, hanno una maggiore probabilità di incontrare i nuclei dell'elemento irradiato e di renderlo attivo. Il motivo è che i neutroni lenti riescono a rimanere nelle vicinanze del nucleo per un tempo sufficientemente lungo da aumentare la loro probabilità di essere riassorbiti.
Di nuovo una grande scoperta. Bruno non ha ancora 21 anni ed è già entrato nella storia della fisica. Per la partecipazione al nuovo, eclatante esperimento, Bruno ottiene un premio dal Ministero per l'Educazione Nazionale, grazie al quale nel 1936 si reca a Parigi, con una raccomandazione di Fermi, per lavorare con Frédéric e Irène Joliot-Curie, che si accingono a ricevere il premio Nobel per la scoperta della radioattività artificiale.
Parigi è due volte fatale. Perché Bruno, gran bel fisico da sportivo, giocatore provetto di tennis, vi incontra sia la donna della sua vita – Marianne Nordblom, una svedesina molto carina e impegnata – sia l’ideologia della sua vita, il comunismo. Comunista é Frédéric Joliot, marito di Irène, che è la figlia di Marie Curie e membro del governo di sinistra de Léon Blum. Ma, soprattutto, comunista è il cugino Emilio, dirigente del PCd’I perseguitato dal regime fascista e riparato per l’appunto in Francia.
A questo punto le vicende subiscono un’ulteriore accelerazione. Prima le leggi razziali del 1938, che inducono Bruno (di famiglia ebraica) a restare in Francia. Poi la guerra, con i tedeschi che arrivano a Parigi. Bruno riesce a scappare e dopo un rocambolesco viaggio a raggiungere gli Stati Uniti e poi il Canada.
Bruno Pontecorvo è coinvolto nel progetto per la realizzazione dell’atomica, non con gli americani ma con gli anglo-canadesi. A guerra finita, nel 1946, mette a punto a Chalk River un metodo radiochimico, basato sulla trasmutazione cloro-argon, per cercare di catturare i neutrini provenienti dal Sole. Il neutrino è una particella molto elusiva. Può attraversare un muro di piombo spesso quanto l’intero sistema solare senza essere fermato. Catturarne uno non è semplice. La tecnica di Pontecorvo non è perfetta. Ma, messa meglio a punto, consentirà ad altri di raggiungere l’obiettivo.
Nel 1947 Conversi, Pancini e Piccioni dimostrano che una particella presente nei raggi cosmici, il muone, si comporta come il "fratello più grasso" dell'elettrone. In altri termini, muone ed elettrone appartengono a una medesima famiglia di particelle. Ne discende, sostiene Pontecorvo, che la cattura del muone da parte del nucleo atomico, proprio come la cattura dell'elettrone, produce neutrini. E, quindi, che l'interazione debole scoperta da Fermi ha una validità molto più generale di quello che lo stesso Fermi aveva ipotizzato.
Con queste due intuizioni maturate in Canada, una di natura sperimentale e l'altra di natura teorica, Bruno Pontecorvo si propone già come uno dei più grandi esperti al mondo di fisica del neutrino (oltre che di fisica del muone).
Nel 1948 si sposta in Inghilterra e continua a lavorare su progetti di interesse militare. Nel 1950 sbalordisce il mondo facendo perdere le sue tracce: ma tutti sanno che è fuggito in Unione Sovietica, probabilmente perché ha maturato la percezione di essere sotto osservazione da parte dei servizi segreti occidentali. Certo la scelta dell’URSS come luogo di fuga è dettata anche dalla convinzione che, dirà in seguito, fosse «profondamente ingiusta e amorale l’ ostilità che alla fine della guerra l'Occidente nutre nei confronti dell'Unione Sovietica, la quale a costo di sofferenze inaudite aveva dato il contributo decisivo alla vittoria antinazista».
Sia come sia, Bruno va a lavorare a Dubna, la città della fisica sorta per volontà di Igor Kurciatov nell'immediato dopoguerra e dotata del più grande acceleratore di particelle del mondo. A Dubna, Bruno Maksimovic Pontecorvo ottiene un alloggio, una segretaria, la possibilità di dedicarsi alla pesca subacquea e la direzione della divisione di fisica sperimentale del Laboratorio di Problemi Nucleari, con una nuova opportunità di dedicarsi (anche) allo studio della fisica dei neutrini. Ottenendo almeno tre risultati di valore assoluto su:
1. La natura dei neutrini. In uno studio del 1959, culminato in una pubblicazione intitolata Neutrini elettronici e muonici, Bruno è il primo a ipotizzare e a dimostrare, per via teorica, che esistono diversi tipi di neutrini, associati ai leptoni carichi (elettroni e muoni, non era ancora conosciuta la particella tau) le cui differenti proprietà sono rilevabili. Questo lavoro è particolarmente importante perché, secondo lo stesso Pontecorvo, «segna l'inizio della fisica dei neutrini ad alta energia». L'Urss non dispone dell'acceleratore adatto per provare l'ipotesi di Pontecorvo. Però pochi anni dopo, all'inizio degli anni '60, tre fisici americani – Leon Ledermann, Melvin Schwartz e Jack Steinberger – dimostreranno che Pontecorvo aveva ragione. I tre ottengono il Nobel. A molti sembra strano che il premio non sia conferito anche al fisico teorico che ha effettuato la previsione.
2. I neutrini solari. Pontecorvo, sia come fisico teorico che come fisico sperimentale, ha partecipato a tutte le tappe (e spesso le ha anticipate) del problema noto come «enigma dei neutrini solari». Ha messo a punto i sistemi di rilevamento con cui i neutrini solari sono stati rilevati. Ha fornito una spiegazione, oggi la più accettata, per il deficit di neutrini solari che si riscontra tra le previsioni teoriche e i rilevamenti.
3. Le «oscillazioni» dei neutrini . Tra il 1957 e il 1967, infine, Pontecorvo elabora la teoria, forse, più affascinante, quella del mescolamento leptonico. Dalla teoria consegue che, per un fenomeno di interferenza, i diversi tipi di neutrini possano «oscillare», cioè trasformarsi gli uni negli altri. Se i neutrini oscillano, sostiene Pontecorvo, devono avere anche una massa, sia pure piccolissima.
Nel 1998 l’esperimento giapponese Super-Kamiokande osserva per la prima volta l’oscillazione dei neutrini (atmosferici). Nel 2010 il Gruppo OPERA osserva, presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, l’oscillazione dei neutrini muonici in neutrini tau.
A questo punto tutte le previsioni di Pontecorvo sono state verificate. Il fisico, morto a Dubna il 24 settembre 1993, ha avuto ragione su tutti i fronti. Nessuno ha fatto di più nel campo della fisica dei neutrini. Pochi i riconoscimenti che ha ottenuto, almeno in Occidente. Per questo alcuni, a cent’anni dalla nascita, hanno proposto di dedicargli il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso, uno dei maggiori centri di “fisica del neutrino” al mondo.
Persone come Bruno Pontecorvo, come Piccioni, come Occhialini, come Rossi, sono tra i massimi fisici che ha prodotto questo secolo e nessuno di loro ha avuto il Nobel (Giorgio Salvini)
Pontecorvo aveva delle similitudini con Fermi. Era anch'egli un teorico e uno sperimentale, una coincidenza oggi introvabile, ma lui ha fatto sempre entrambe le cose, come Fermi, un grande amante della semplicità, contrario alle complicazioni. Ma mi sono fatto un'idea e cioè che Pontecorvo non fosse molto a suo agio con la matematica. Contrariamente a Fermi, era principalmente un uomo di idee e insisteva che la fisica andasse spiegata più che con le formule con le idee e le rappresentazioni (Riccardo Barbieri)
Come fisico, credo di aver avuto un po’ di fantasia (Bruno Pontecorvo)