Filomena Nitti (Napoli, 1909 - Roma, 1994) è nata nel capoluogo campano il 10 gennaio 1909, da Antonia Persico e da Francesco Saverio Nitti. Il padre era una persona molto in vista: grande economista, si è battuto a lungo per la modernizzazione del Mezzogiorno d’Italia. È stato ministro nei governi di Giolitti e di Orlando e poi Presidente del Consiglio tra il 1919 e il 1920.
Quando Filomena nasce, i genitori vivono più nella capitale che a Napoli. Ma lei resta nella città partenopea con i nonni, almeno fino a quando Mussolini prende il potere e i fascisti prendono d’assalto e distruggono la casa romana dei Nitti. L’ex Presidente del Consiglio si sposta a Napoli, prima di lasciare l’Italia e rifugiarsi a Zurigo con tutta la famiglia, Filomena compresa.
A Napoli, infatti, le persecuzioni dei fascisti non cessano e Filomena stessa, col fratello Federico, ne è fatto oggetto.
In Svizzera i Nitti rimangono solo un anno, anche perché il padre non ha abbastanza soldi per mantenere la famiglia e far studiare i suoi cinque figli. La nuova tappa è allora Parigi, dove Filomena frequenta il liceo e poi l’università, laureandosi in Scienze naturali. E lavora, collaborando con Gaetano Salvemini, che sta scrivendo un libro su Mussolini.
La passione politica e il suo antifascismo la portano ben presto a entrare nella gioventù comunista e a recarsi anche a Mosca, tra il 1935 e il 1936, lavorando prima come giornalista e militante del Soccorso Rosso, poi coma analista chimica per le farmacia.
Tornata a Parigi entra, con una borsa di studio, nell’Istituto Pasteur, dove lavora il fratello Federico, che è un medico. Federico Nitti collabora con lo svizzero Daniel Bovet, direttore del laboratorio di chimica terapeutica e Filomena entra nel gruppo. In breve tra il direttore del laboratorio e la ricercatrice napoletana scoppia l’amore e i due si sposano nel 1939, continuando a lavorare insieme.
Bovet e Nitti con i loro studi contribuiscono a sviluppare una nuova disciplina, la chemioterapia, ovvero la ricerca di molecole in gradi di contrastare il cancro. L’italiana fornisce un contributo importante alle scoperte dei sulfamidici e degli antistaminici, che varranno il premio Nobel al marito nel 1957.
A guerra finita, Bovet accetta di venire a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità di Domenico Marotta, per dirigere il laboratorio di chimica terapeutica. Filomena lo segue e continua a lavorare con lui. È assegnato a lei il compito di istruire i giovani ricercatori che entrano nel laboratorio. Nel 1948 insieme, Daniel e Filomena, pubblicano il libro "Structure et activité pharmacodynamique des médicaments du système nerveux végétatif", che molti considerano un’opera seminale delle psicofarmacologia. Qualcuno ne parla come di una «bibbia», grazie alla formidabile quantità di dati e di piste di ricerca sui meccanismi d’azione dei vari farmaci, sui processi fisiologici e fisiopatologici con cui i farmaci interferiscono.
A Roma i coniugi Bovet sviluppano la loro ricerca proprio nel campo della psicofarmacologia. Almeno fino all’inizio degli anni ’60 quando, dopo l’arresto di Domenico Marotta, la coppia lascia l’Istituto Superiore di Sanità. Nel 1964 Daniel va a insegnare all’università, Filomena entra nel Consiglio Nazionale delle Ricerche, dove resta fino al 1975. Muore a Roma nel 1994, dopo una breve malattia.
Era una donna energica, di formazione razionale-illuministica, che coniugava l’arguzia napoletana con l’esprit dei francesi: riuscì a farsi spazio in un ambiente che non lasciava grande spazio alle donne (Alberto Oliverio)