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Addio a Francesco Marabotto

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Nel fare un bilancio di una lunga amicizia, come quella che mi ha legato a Francesco Marabotto, mi chiedo come sia cominciata la nostra frequentazione.  
Emerge un flash:  un’aula della Facoltà di medicina dell’Università Cattolica di Roma, una lezione agli studenti  del terzo anno. Risale alla metà degli anni ’70. Allora avevo un incarico di insegnamento di Etica medica in quel corso di laurea. La formazione dei futuri medici avveniva sotto il segno del sapere scientifico, ovviamente; a questo l’Università Cattolica riteneva di dover aggiungere una buona dose di principi etici.
Ma nella società stava covando un fermento che avrebbe ben presto sconvolto la modalità tradizionale di praticare la “buona medicina”.
Un esempio concreto era il Movimento Federativo Democratico, all’interno del quale avevo conosciuto Francesco Marabotto, quale uno dei più ferventi militanti.
Il Movimento è stato la culla di una riflessione che, accanto ai tradizionali doveri del medico, articolava un discorso sui diritti della persona malata. La più vistosa uscita pubblica è stata la creazione del Tribunale dei diritti del malato e la proclamazione dei “33 diritti del cittadino” in Campidoglio, il 29 giugno 1980.
L’evento aveva assunto il titolo programmatico: “Da malato a cittadino: contro l’emarginazione, per la gestione popolare delle strutture sanitarie”. Lo slogan “Da malato a cittadino” condensa l’attività del movimento civile in polemica con le procedure nelle quali si traduceva  quotidianamente la pratica medica (a cominciare dalla “pigiamizzazione” del malato…).
Prendeva corpo una ribellione contro la devastazione dell’identità personale e la noncuranza verso la dignità delle persone. La bioetica era ancora un orizzonte remoto; ma il Tribunale aveva colto l’esigenza di un rivoluzionamento che avrebbe portato in piena luce il principio dell’autodeterminazione del soggetto.

Rispetto ad altri militanti del MFD, Francesco aveva un vantaggio: conosceva la malattia e i trattamenti sanitari per esperienza diretta. Studente di medicina, si era scoperto portatore di un seminoma. Le pesanti cure del cancro avevano sortito un esito positivo, anche se l’avrebbero tenuto costantemente in bilico tra salute e malattia e l’avevano costretto a interrompere la carriera di medico. La medicina era entrata tuttavia nella sua vita e vi sarebbe rimasta sotto forma di impegno professionale di  giornalista impegnato nella diffusione della corretta informazione.
Gli studenti del corso di Etica medica della Cattolica un giorno hanno avuto una sorpresa: il docente aveva ceduto la cattedra a Francesco Marabotto. Quasi loro coetaneo, aveva però una grande carta da giocare: poteva parlare dell’essere malato a partire dal suo vissuto. L’Etica medica che proponeva non si articolava più in principi e regole, ma richiedeva partecipazione. L’accento si spostava sulla responsabilità personale, sul percorso informativo, sulla partecipazione consapevole alle decisioni: in breve, tutto ciò che in seguito, nel passaggio dall’etica medica alla bioetica, sarebbe stato chiamato empowerment della persona malata.
Non so se gli studenti che hanno partecipato a quella singolare lezione se ne siano ricordati in seguito, una volta diventati medici. Personalmente, da allora non ho più perso di vista l’evoluzione di Francesco, ammirando con stupore come da quelle sue intuizioni iniziali si sia sviluppata una vita professionale di giornalista scientifico compatta e coerente.
La sua voce si è spenta, ma la fiaccola che ha portato è pronta per essere raccolta da altre mani.

                                                                                                                              SANDRO SPINSANTI


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