Con dispiacere non riesco a partecipare alla presentazione del “Manifesto per un’Europa di progresso”. Cosa avrei
detto, o cosa direi se fossi a Roma?
Avrei precisato alcune ragioni che mi
hanno condotto a firmare il “Manifesto”. Ci viene proclamato, su più fronti, da
parecchi anni, che il mondo sta attraversando una crisi economica mondiale,
eppure parecchi Stati (da alcuni mediorientali agli orientali, da alcuni russi
ad altri sudamericani, senza poi menzionare ancor altri africani) godono di una
rilevante crescita economica, benché da loro illuminismi, rivoluzioni
scientifiche e via dicendo siano “merce rara” – o, forse, proprio per questo?
Rimane, invece, vero che una forte crisi economica riguarda l’Europa.
Quando,
in passato, una di queste crisi ci ha attraversato, alcuni di noi hanno perduto
del tutto il lume della ragione, e hanno (per esempio) dato fuoco ai libri, al
sapere, alla cultura, con grande ignoranza scientifica, per poi proseguire ben
oltre, troppo oltre, e a loro non concederò alcun perdono.
Ho firmato il
“Manifesto” perché credo fermamente nella razionalità, una razionalità che
nasce con filosofia e scienza, e che relega fideismi, estremismi, nazionalismi
nell’angolo di quella non-considerazione o, se volete, disprezzo, che essi
meritano. Questo nostro “vecchio continente” ha attraversato brutte storie e
sconvolgenti vicende, ma alla fine la razionalità ha sempre prevalso. Si tratta
di una razionalità che garantisce diritti e doveri, civiltà e umanità,
all’insegna di una democrazia, che non dovremmo mai perdere di vista, perché,
al di là del significato etimologico di democrazia, non si dovrebbe cedere all’arroganza
e alla prepotenza, né dei più forti, né dei più deboli.
Si tratta di una
razionalità che costituisce un tesoro per la nostra aspirazione alla
conoscenza, aspirazione che, nel momento in cui manca (come ci ricorda
Aristotele, e non solo lui) noi finiamo col perdere la nostra essenza di esseri
umani, per trasformarci in bruti. Il nostro aspirare alla conoscenza,
filosofica e scientifica, il nostro credere nella scienza e nei progressi
scientifici ha rappresentato e rappresenta la nostra libertà, cui ambiamo da
sempre. No, ha torto Walter Laqueur nel suo decretare la fine del sogno
europeo: se il sogno europeo finisse, la probabilità del dominio della
brutalità s’incrementerebbe in modo esponenziale.
Io, perlomeno, non cesserò di
sognare: primo, perché non si è trattato, né si tratta di un sogno; secondo,
perché, se dovrò finire col sognarlo, e non più col viverlo, vorrà dire che
inciviltà e disumanità avranno prevalso sulla razionalità, filosofica e
scientifica, sulla condivisione oggettiva del sapere, sul progresso: e allora
rifirmerò il “Manifesto”, a qualsiasi costo. Per ora, un grazie infinito a
tutti i fautori e a coloro che hanno stilato il “Manifesto”, e un’antipatia, se
non ostilità, per chi nell’Europa non crede, ma anche per chi dell’Europa si
approfitta.