Un Senato delle competenze. Per avvicinare scienza e politica. Ma, soprattutto, per rendere più maturo il dibattito pubblico e rendere più solida la democrazia nel nostro paese. Elena Cattaneo, scienziata alla Statale di Milano, 51 anni, la più giovane senatrice a vita nella storia della Repubblica, ha un’idea forte e, per certi versi, spiazzante sulla riforma della Camera Alta. L’abbiamo intervistata.
Senatrice Cattaneo, da settimane il
tema della riforma del Senato è al centro della discussione istituzionale,
politica e mediatica. Come giudica le proposte in campo e il livello del
dibattito?
Non sempre sono chiari gli obiettivi delle varie proposte
in campo. E, dunque, non esprimo un giudizio articolato. Il disegno di legge
del Governo sembra prestarsi a numerose obiezioni. Sembra un "Senato
dopolavoro", che replica la Conferenza Stato Regioni. La funzione costituzionale della nuova istituzione sembra "irrisolta" e non priva
di rischiose aporie, come sottolineano autorevoli costituzionalisti. Al riguardo confido nei lavori parlamentari affinché, trattandosi di riformare la
struttura dello stato democratico, l'approdo costituzionale sia molto chiaro e
ben ponderato.
Abbattere i costi non è un obiettivo?
Abbattere i
costi è importantissimo. Ma non può essere l’obiettivo, men che meno
l’obiettivo principale, di una riforma che rimodella la struttura dello Stato.
Dunque lei è contro la riforma del
Senato?
Niente
affatto. Penso che la riforma del ruolo, delle funzioni e della composizione
del Senato sia una necessità. Di più, penso che sia un’occasione storica per
dare al nostro paese un quadro istituzionale capace di far vincere le sfide
della società e dell’economia della conoscenza, del presente e del futuro.
Lei una proposta di riforma chiara e
di alto profilo, per molti versi rivoluzionaria, ce l’ha: è il “Senato delle
competenze”. Con quale obiettivo?
Il ruolo
del nuovo Senato lo immagino essere oltre che quello di esame e di controllo
delle leggi fondamentali dello stato, anche quello di raccordo tra le
istituzioni nazionali, le istituzioni locali e quelle europee. Per fare tutto
questo c’è bisogno di competenze. Nel nostro sistema parlamentare sono
rappresentate solo alcune: quelle strettamente politiche, quelle giuridiche,
quelle economiche. Ma ne mancano altre. Per esempio mancano le competenze
scientifiche di grande spessore. Anzi, mi sembra che ci sia una sorta di
diffidenza nei confronti della scienza.
Una mancanza di competenze specifiche e
una diffidenza che hanno effetti concreti?
Eccome se
li hanno, devastanti. Basta guardare ai pasticci fatti in tanti ambiti, dalla
legge 40 a quella sulla sperimentazione animale, alla ricerca sugli ogm, per
finire al caso Stamina, dopo non avere imparato niente dal caso Di Bella. La
verità è che le competenze scientifiche permettono di raggiungere continui
traguardi di conoscenza decisivi in tanti settori primari: la sanità, l’etica,
l’ambiente, la stessa economia.
Come dovrebbe essere composto, dunque,
il Senato delle competenze: tutto da scienziati?
Certo che
no. Gli scienziati dovrebbero essere presenti insieme ad altri competenti.
Penso agli esperti di beni culturali, di cui il nostro paese è ricchissimo. A
esponenti del mondo del volontariato. A imprenditori capaci di innovare. Ecco,
il Senato dovrebbe essere composto da persone che nel loro settore sono abituate
a confrontarsi con il meglio che c’è al mondo. Di persone così, nella scienza e
in altri ambiti, in Italia per fortuna ne abbiamo moltissime.
Ma per quanto riguarda la scienza, non
sarebbe meglio invece di un Senato formato da scienziati senatori, un Senato
che consulta in maniera sistematica le grandi istituzioni scientifiche?
Già oggi
gli scienziati sono auditi, come si dice nel gergo parlamentare. Vengono in
Parlamento ed espongono i loro dati e le loro competenze. Che però rischiano di
venire o non capite in quanto oggettivamente complesse o dimenticate o, peggio,
strumentalizzate. No, c’è bisogno di qualcuno in Parlamento che faccia
metabolizzare, che utilizzi quei dati e quelle idee, concorrendo a trasformarle
in soluzioni legislative. L’unica possibilità è che la scienza e, più in
generale, le competenze specifiche siano nell’aula del Senato e abbiano la
possibilità di sviluppare visioni strategiche, approcci controllati e nel lungo
periodo. E che, nel caso, facciano da “sentinelle” attente e presenti,
contribuendo a prevenire deragliamenti.
Già, ma chi lo elegge o lo nomina il
Senato delle competenze?
Di questo si deve
discutere. Nella proposta del Governo c’è la nomina di 21 senatori a opera del
Presidente della Repubblica. Questa disposizione credo debba essere intesa nel
senso di sottrarre agli interessi politici la scelta di una componente
"specializzata" di cittadini che eccellono nei rispettivi ambiti
professionali. Ma i meccanismi di nomina
o meglio di elezione possono però essere diversi e sono convinta possa essere
identificato quello più funzionale se c’è accordo sugli obiettivi. Un esempio: per
una prima selezione potrebbero essere messe in campo istituzioni culturali come
l’Accademia dei Lincei, da sempre estranea alla politica, che potrebbe produrre
dei candidati con un meccanismo simile alle primarie e tra i quali poi scegliere
chi eleggere.
Per realizzare un progetto politico
occorre avere i numeri. E i numeri in democrazia vengono dal consenso. Il suo
progetto sta ricevendo consensi?
Non è il
mio progetto ma siamo in molti e da tempo a confrontarci in questa direzione e
i consensi non mancano. Anche quello di Eugenio Scalfari, per esempio. Penso
che se ne parliamo in maniera aperta e corretta, probabilmente più politici potrebbero
partecipare allo sviluppo di questa proposta. D’altra parte è opportuno che la
politica rifletta ed intervenga il prima possibile sull’esigenza di coniugare
democrazia e competenza in un’era sempre più fondata su conoscenze
specialistiche che sono patrimonio di soggetti ad oggi esclusi dal circuito
democratico della rappresentanza.
Immaginiamo che il suo progetto per un
Senato delle competenze acquisisca il consenso necessario e si realizzi. Quale
sarebbe la prima cosa da fare: aumentare gli investimenti in ricerca,
rilanciare l’università, cambiare la specializzazione produttiva del sistema
paese, dare spazio ai giovani?
La prima esigenza
è creare un dialogo tra scienza e politica. Imparare ad ascoltarsi. Nell’era
della conoscenza i saperi e le innovazioni devono essere utilizzati nelle
istituzioni per ampliare gli spazi di libertà consapevole. A nessuno deve
essere concesso di restringerle falsando la realtà e i fatti. Se realizzeremo questo,
tutti i grandi problemi che lei pone verranno risolti di conseguenza.
Pubblicato su L'Unità, 19 aprile 2014