Il Consiglio dei Ministri di venerdì 13 giugno si è
occupato di Pubblica Amministrazione, ma ha rimandato a data ancora da definire
quel progetto di riordino degli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) di cui si parla
da molto tempo.
Anche se la discussione, pur essendo di interesse generale,
stenta a uscire fuori dall’ambito degli addetti ai lavori.
Gli EPR sono la seconda rete scientifica nel nostro paese
e insieme alla prima, la rete dell’università, costituisce l’ossatura della
ricerca in Italia. La terza rete – quella che nelle imprese si occupa di
sviluppo tecnologico – nel nostro paese è infatti molto meno presente che nel
resto d’Europa e di gran parte dei paesi del mondo.
La gran parte degli economisti ritiene che la ricerca
scientifica assolva non solo a un ruolo culturale (e non sarebbe certo poco):
quello di produrre nuova conoscenza. Ma assolva a un ruolo strategico per lo
sviluppo di un paese perché è il motore primo dell’innovazione e dell’economia.
La discussione sugli EPR, dunque, è di interesse generale per il nostro paese.
Perché riguarda una parte non marginale del suo futuro.
I principali
problemi specifici degli Enti Pubblici di Ricerca sono due: le risorse e la
frammentazione.
Che sia aggiungono alla annosa mancanza di una solida politica
della ricerca e di una solida politica industriale nel nostro paese.
Il problema
delle risorse, finanziarie e umane, di cui dispongono gli EPR è molto serio. Negli
ultimi anni, infatti, sono significativamente diminuite sia le risorse
finanziare, a causa dei tagli della spesa pubblica,
sia le risorse umane, a causa soprattutto del turn over (ridotto prima al 20% e ora al 50%).
Ma non è da
meno il problema della frammentazione. Gli EPR sono, infatti, 22. Di questi, 12
sono vigilati dal MIUR, ovvero dal Ministero nato proprio per realizzare la
politica della ricerca in Italia. Ma altri 10 sono vigilati da altri ministeri.
L’ISS (Istituto Superiore di Sanità), per esempio, è vigilato dal Ministero
della Sanità; l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale) è vigilato dal Ministero dell’Ambiente; l’ENEA (l’Agenzia Nazionale
per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile) è
vigilato dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Gli EPR sono molto diversi tra
loro. Ce ne sono alcuni – per esempio l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare) o l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) – con una specifica
vocazione per la ricerca fondamentale. Altri – come l’ISS o l’ISPRA – che hanno
anche funzioni tecniche. Spesso, tuttavia, capita che due o più EPR (o gruppi
interni a due o più EPR) si occupino o siano chiamati a occuparsi del medesimo
tema, in assenza di un minimo di coordinamento.
Ecco perché molti hanno colto
al volo le recenti dichiarazioni con cui il Presidente del Consiglio, Matteo
Renzi, ha annunciato l’intenzione del suo governo di procedere a un’aggregazione
degli EPR, per avviare una discussione sull’intero sistema di ricerca italiano.
Il dibattito si è svolto essenzialmente
nelle aule parlamentari: i presidenti degli EPR, per esempio, sono stati auditi
(che significa ascoltati nel brutto gergo in uso nelle nostre istituzioni)
dalla VII Commissione del Senato. Ma è ancora in una fase preliminare. Perché il governo, finora, non ha avanzato
alcuna proposta specifica.
Anche se il Ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca Scientifica, Stefania Giannini, si è espressa
in pubblico sulla questione .
E sull’argomento è intervenuta, nei giorni scorsi, anche la Federazione
Lavoratori della Conoscenza della CGIL con un articolato documento.
Sebbene le prospettive del
ministro, dei presidenti degli EPR, dei sindacati e degli stessi ricercatori
siano diverse in proposito, è possibile individuare sia alcuni punti su cui
tutti sono d’accordo, sia alcuni punti in cui le visioni divergono.
Sono tutti d’accordo, in primo
luogo, nel dire no a un riordino fondato sulla logica del risparmio. Non è per
un’esigenza di spending review che
può essere (ri)fondata il sistema degli Enti e, più in generale, della ricerca
italiana. Sono tutti d’accordo, invece, a procedere con un riordino che
razionalizzi il sistema per rilanciarlo. Per farne non una, ma “la” leva per
portare il paese fuori dalla condizione di declino in cui versa da troppi anni.
È idea abbastanza condivisa
che il riordino debba avvenire intorno a poche, grandi aree tematiche. Come la
fisica di base, la sanità, l’energia, l’ambiente. E che non debba sacrificare
l’autonomia (e la storia di autonomia)
degli Enti. Si pensa dunque a un sistema che abbia chiari obiettivi strategici
(una politica della ricerca) e utilizzi i mezzi flessibili del coordinamento,
piuttosto che quelli rigidi dell’accorpamento d’autorità. La razionalizzazione
può avvenire non accorpando – lo diciamo a puro titolo di esempio – l’INFN con
l’ISS, ovvero i fisici con i biomedici, ma semmai creando infrastrutture
comuni.
Come realizzare questi intenti comuni? Qui le opinioni si
dividono alquanto. C’è chi propone, per esempio, che proprio per il suo
carattere strategico il sistema degli EPR, e più in generale della ricerca
italiana, sia sottratto a un ministero specifico e coordinato dalla Presidenza
del Consiglio. Che dovrebbe avvalersi di due strutture: un centro, per così
dire, di vera e propria elaborazione strategica e di coordinamento e un’Agenzia
di finanziamento autonoma.
Il ruolo di centro di elaborazione e coordinamento
potrebbe essere affidato a strutture già esistenti (per esempio al Cnr) oppure
a una sorta di Alto Consiglio Scientifico.
L’Agenzia di finanziamento autonoma
dovrebbe non solo essere dotata dell’intero portafoglio ricerca ma dovrebbe
essere anche capace di aderire alla richiesta di flessibilità e di drastica
riduzione dei vincoli burocratici tipici della Pubblica Amministrazione e, nel
contempo, svincolata da ogni interesse politico. Va da sé che i fondi
dovrebbero essere erogati sulla base del merito scientifico. Una simile
Agenzia, vale la pena ricordarlo, il Gruppo 2003 la propone da tempo.
Alcuni, anche all’interno degli EPR, non sono d’accordo
con questa impostazione. Preferirebbero una politica meno forte e, dunque, un
coordinamento assicurato dal MIUR, più che dalla Presidenza del Consiglio.
Un altro nodo su cui le opinioni si dividono è molto più
specifico. Riguarda il ruolo dell’ENEA. Un ente – un grande ente – che da
troppi anni (cinque) ha un commissario, ma che, secondo alcuni, non ha più un
ruolo ben definito. C’è chi ne propone l’accorpamento, per valorizzare le
enormi competenze che ha al suo interno. E chi, invece, propone che essa si
coordini con altri Enti – come l’ISPRA e anche l’INGV – per dar vita a un
grande polo di ricerca e di servizi ambientali.
Tutto questo, infine, sostengono molti o quasi tutti non
può essere fatto a costo zero o, addirittura, all’insegna del risparmio. Al
contrario il riordino degli EPR deve essere considerato come un trampolino di
rilancio della ricerca – più uomini e mezzi, meglio organizzati – condizione
forse non sufficiente ma assolutamente necessario per il rilancio dell’intero
paese. Discutiamone,
dunque.