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Giochi al servizio della genetica

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Si può, giocando, contribuire a trovare le cure più efficaci per una malattia genetica? La risposta, anche se può sembrare strano, è positiva.  Con un’idea assolutamente geniale, i ricercatori del Cancer Research Uk hanno inventato un videogioco, messo gratuitamente a disposizione per iPad, iPhones e apparecchi simili, con l’idea di tracciare le partite dei giocatori, che si spera saranno moltissimi, di tutto il mondo.
Il gioco si chiama Genes in space  (mettetelo sui vostri device, e giocateci!) e simula la solita avventura nello spazio.
La straordinaria novità è che i giocatori, con i loro tortuosi percorsi, stanno in realtà “analizzando” delle mappature genetiche, cosa che richiede una quantità enorme di lavoro, impossibile da fare per le poche persone di un laboratorio. Questi dati ottenuti dai giocatori di tutto il mondo sono poi analizzati (presumo automaticamente) da computer programmati allo scopo di rilevare anomalie. La genetica molecolare e l’aumento impetuoso della potenza di calcolo permettono infatti di immagazzinare una massa impressionante di dati, che però poi vanno interpretati.

Non è un problema banale: si possono utilizzare come hanno fatto in Gran Bretagna, ma si possono anche immaginare giochi un po’ diversi, come quello che ha portato, qualche anno fa, a pubblicare un lavoro su Cancer. Il punto di partenza era cercare di individuare geni responsabili di una certa malattia, di cui si conosce l’origine genetica, con strumenti matematici. In questo campo i metodi statistici non funzionano molto bene, perché sono moltissime le variabili (i geni) e poche le osservazioni (i pazienti). Sarebbe molto meglio il contrario, per avere risultati affidabili… Ecco che allora si può provare un approccio un po’ diverso al problema, che non diventa alternativo a quello statistico, ma che può in qualche modo affiancarlo.

L’approccio è quello della teoria dei giochi, la parte della matematica che analizza le situazioni in cui un certo numero di agenti interagisce tra loro e che ha sviluppato strumenti adatti a misurare la forza relativa di questi stessi agenti in tale interazione. In tal modo, per esempio, si possono misurare i rapporti di forza tra i partiti in un parlamento, o tra gli azionisti in una qualche società quotata in borsa.  E per quanto queste misurazioni siano astratte, e a volte opinabili, hanno assunto una grande importanza; questi indici di potere possono essere usati per stabilire se un azionista può essere praticamente considerato il padrone di una certa società, oppure per assegnare i seggi in un Parlamento, e così via. Certo, se una persona possiede più del 50 per cento delle azioni di una società, non c’è bisogno della teoria dei giochi per scoprire che ne è il padrone. Ma se ne detiene, per esempio, il 30 per cento? Chiaramente dipende da come è distribuito il rimanente 70 per cento delle azioni, ed è proprio questo che l’indice di potere analizza.

Per tornare alla nostra applicazione, si può allora immaginare un gioco in cui gli agenti siano i geni, e costruirlo in modo tale che gli agenti (i geni) con maggior potere siano più cruciali di altri nel fare insorgere la malattia. Provo a entrare in qualche dettaglio in più.
La genetica, in ogni singolo esperimento, procura due tabelle di dati. Sulle righe di queste tabelle si riportano i geni, sulle colonne le persone sottoposte a analisi genetica. Nella prima tabella le persone sono il campione sano, nella seconda invece i sono i malati di una malattia prefissata. Il confronto di queste tabelle ci permette di stabilire quali geni in ogni paziente siano anormalmente espressi (sovra o sotto espressi). Una volta stabilito questo, ogni paziente malato origina un gioco (detto di unanimità) nel quale si ipotizza, sostanzialmente, che tutti e soli i geni anormalmente espressi siano responsabili dell’insorgenza della malattia. Si fa la media dei giochi ottenuti dai vari pazienti  (il che tra l’altro mostra la geniale potenza della matematica, visto che ci permette di sommare giochi), per ottenere alla fine un gioco, al quale possiamo finalmente applicare i nostri indici di potere. I quali ci danno una classifica, e la nostra congettura diventa allora che quelli ai primi posti siano maggiormente responsabili dell’insorgenza della malattia sotto studio.

Naturalmente le cose non sono così semplici, e le obiezioni possibili a simili procedure sono numerose. Il primo punto è quanto possa essere considerato affidabile il modello, e quindi i suoi risultati. Non esiste certo una risposta univoca, però si può affermare che è un buon compromesso tra la ragionevolezza delle ipotesi di base (sostanzialmente che tutti e soli i geni fuori scala concorrano all’insorgenza della malattia, ed è chiaro che è un po’ forzata) e la complessità di calcolo: in genere, per giochi qualunque, risulta pesantissimo dal punto di vista computazionale calcolare questi indici già per un paio di decine di giocatori, mentre i geni sono migliaia! Occorre dunque considerare modelli per i quali il calcolo degli indici è fattibile. Poi un altro punto delicato è che gli indici di potere non danno, di solito, le stesse classifiche.
In realtà, la cosa interessante, a mio parere, è che i due indici più famosi (Banzhaf e Shapley) per certi versi hanno comportamenti estremi, per cui ho definito una famiglia di nuovi indici e ne ho descritto le proprietà. Abbiamo quindi preso dati reali trovati in rete, che riguardavano una forma di tumore del colon-retto, e li abbiamo analizzati con il nostro metodo; poi abbiamo  considerato il sottogruppo dei primi 50, nella classifica ottenuta con la procedura appena descritta, e a questi cui abbiamo applicato un altro tipo gioco un po’ più sofisticato.
Alla fine abbiamo stilato le classifiche fornite da tre indici di potere in questo nuovo gioco. Il primo risultato interessante è che le classifiche, ottenute con tre indici diversi, sono risultate molto stabili: non esattamente le stesse, ma quasi. Un buon segno. Il secondo, ben più interessante, è che dopo aver avuto le classifiche abbiamo chiesto a un esperto (i mariti delle dottorande a volte sono utilissimi!)  di farci una ricerca in rete sui geni ritenuti responsabili della malattia che stavamo analizzando. Ne sono stati scoperti 7. Di questi, sei erano nella nostra classifica dei primi 50 (il settimo era un po’ dopo il centesimo posto). E cinque dei sei erano nei primi dieci posti di tutte e tre le classifiche.
Conclusioni? Il risultato non può essere frutto del caso: eravamo partiti da migliaia di geni, statisticamente, selezionandoli a caso, non avremmo potuto ottenere un risultato simile. Quindi il lavoro non è solo e puramente speculativo (il che, se il lavoro è ben fatto, non è certo poco, ma non basta). Può avere invece applicazioni pratiche interessanti.
I ricercatori potrebbero per esempio provare a capire se qualcuno dei geni che staziona ai primi posti nella nostra classifica è sospetto anche in accordo con altri esperimenti. La scienza moderna infatti si pone problemi talmente complessi che è diventato indispensabile un lavoro d’équipe anche tra discipline scientifiche apparentemente lontane tra loro, come la matematica e la genetica.


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