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La frode scientifica va perseguita come un reato?

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Le frodi scientifiche andrebbero perseguite penalmente? La provocazione arriva dalle pagine del British Medical Journal a firma di Zulfiqar Bhutta co-direttore del Centre for Global Child Health dell'Hospital for Sick Children di Toronto.


Gli ultimi dati raccolti dalla rivista Pnas tracciano, infatti, uno scenario preoccupante: la percentuale di articoli scientifici ritirati a causa di frodi è aumentato di circa 10 volte dal 1975. Secondo la rivista statunitense, la frode (dati fittizi o manipolati) è la causa prima (43%) dei 2047 ritiri - da parte degli editori - di articoli pubblicati in riviste mediche e biologiche a partire dal 1973. Seguono altre “cattive condotte” tra cui il plagio (24%). Insomma disonestà e scorrettezza e non umanissimi e perdonabili errori materiali compiuti in buona fede sono all’origine di circa due terzi delle ritractions.

Ma per Bhutta la frode scientifica non è solo un crimine nei confronti degli standard della ricerca e della collettività scientifica ma dal punto di vista del cittadino è soprattutto un crimine nei confronti della società.
I risultati di queste ricerche possono avere un impatto per la salute delle  persone e anche un costo della comunità. Viene stimato che sulla sola spesa sanitaria il peso delle frodi è di circa due miliardi di dollari.
Bhutta sottolinea come le pene inflitte per coloro che hanno barato non sono proporzionali alla gravità della colpa. Esempi? E' il 1998, quando la rivista The Lancet pubblica una ricerca a firma del medico britannico Andrew Wakefield, lo studio condotto su 12 bambini mette in relazione il vaccino contro morbillo-parotide e rosolia(MPR) e malattie infiammatorie croniche intestinali  che sono a loro volta legate alla sindrome di Kanner, altro nome per indicare l’autismo. Alla conferenza stampa di presentazione del lavoro Wakefield, chiede la sospensione dell’utilizzo del vaccino trivalente.
Conseguenze? La prima il crollo delle vaccinazioni in Inghilterra: il risultato fu un’epidemia di morbillo che causò oltre mille casi, la seconda fu la scoperta che l’ex medico aveva già brevettato un sistema di vaccinazioni singole: esattamente ciò che consigliava nelle sue conferenze. Il conflitto d’interessi era più che un sospetto fino alla scoperta di un finanziamento (oltre 500.000 sterline) a Wakefield da parte di un avvocato che sosteneva cause di risarcimento contro lo stato per bambini autistici con presunti danni da vaccino. Al legale mancava un appiglio scientifico e Wakefield lo fornì, barando. Nel 2010, dopo evidenti prove che sottolineavano l’inconsistenza dello studio The Lancet ritirò il lavoro. Ma cosa ne è stato di Wakefield? E’ stato sì radiato dall’ordine dei medici ma vive “liberamente”- sottolinea Bhutta- in Texas rastrellando i soldi di vari gruppi contro-vaccini che lo considerano un guru.
 Altri invece fanno ritorno alla vita accademica, come nel caso di Hwang Woo-suk, ricercatore coreano  costretto a dimettersi da professore presso la Seoul National University, dopo i suoi lavori sulle cellule staminali sono risultati fraudolenti. A distanza di cinque, Woo-suk è tornato a fare il ricercatore con una produzione scientifica anche piuttosto consistente.

Peggio è andata a Scott Reuben della prestigiosa Tufts University, che per aver falsificato i dati di una serie di 21 studi enfatizzando i benefici dei farmaci antidolorifici Vioxx (Merck) e Bextra (Pfizer) ha passato sei mesi in prigione.


Ma Bhutta sottolinea come i procedimenti penali per i casi di “cattiva scienza” sono relativamente rari. La maggior parte delle istituzioni o organi accademici non persegue con procedimenti penali. Perché? Innanzitutto la difficoltà nel stabilire con certezza l’illecito e le conseguenze che possono sorgere dal punto di vista della reputazione per l’istituzione. Procedimenti che, in aggiunta, risultano costosi e molti lunghi. Secondo il ricercatore pakistano, nonostante l’aumento delle misure di controllo, “le frodi in campo scientifico offrono pochi rischi a fronte di potenziali grandi guadagni.
“E’ vero, il più delle volte i casi di cattivi condotta non sono volontari e i dati riportati non comportano nessun rischio per la salute pubblica, ma quando però la frode è volontaria e sono in gioco interessi per l’intera comunità, è arrivato il momento di considerare le frodi scientifiche al pari di quelle criminali, e trattarle di conseguenza”.

Ma non tutti gli scienziati sono d’accordo con la visione di Bhutta. Secondo alcuni di loro invece di accentuare un atteggiamento punitivo si dovrebbe puntare sulla prevenzione. Una criminalizzazione non hanno alcun effetto deterrente e minerebbe la fiducia piuttosto che aumentarla.
“Verrebbe a mancare il rapporto di fiducia con la gente. Per colpa di pochissimi ricercatori tutto il sistema ne sarebbe condizionato. Senza fiducia viene meno un componente essenziale della ricerca”, spiega Julian Crane, dell'Università di Otago. Lo scienziato fa notare come è vero che il 67% delle pubblicazioni che vengono ritirate sono dovute a frodi ma risultano essere solo una ogni 18234 abstract pubblicati.
Un numero alto perché oggi è più facile tenere traccia delle nuove pubblicazione, ma ha anche perché la pressione sui ricercatori per una pubblicazione veloce e con alto impact factor si fa sempre più costante. “Piuttosto che ‘terribilmente comune’, in un mondo in cui i banchieri, giornalisti, politici sono chiamati a rispondere di cattiva condotta, il tasso per gli scienziati sembra ‘piacevolmente’ piccolo”, afferma Crane.
La soluzione poi non è nella minaccia di un processo. Anche Crane come Bhutta cita l’affaire Wakefield ma con una visione diversa. La minaccia di un procedimento penale avrebbe scoraggiato la pubblicazione della ricerca? si chiede Crane. “Sembra improbabile: screditare un vaccino per promuovere un'alternativa potenzialmente lucrativa suggerisce una mentalità ben oltre le preoccupazioni di un possibile processo”.

Quali le soluzioni? Lavorare sull’aumento della trasparenza e sulle criticità del sistema peer review che resta il migliore ma presenta qualche punto debole. I ricercatori sono produttori e anche i controllori della ricerca scientifica. Il peer reviewing, come suggerisce il termine, è  gestito dalle riviste ma messo in pratica da ricercatori e proprio quest’ultimi dovrebbero poter accedere a tutta la conoscenza senza restrizioni.
E’ indispensabile, inoltre, prima della pubblicazione dare la possibilità alla comunità scientifica di esaminare tutti i dati. Una ricerca in formato open per dare a tutti la possibilità di valutare i dati.
Trovare la strada migliore è difficile ma una cosa è certa: solo gli scienziati sono gli unici giudici in grado di capire la distinzione fra “buona” e “cattiva” scienza. Il caso Stamina docet.

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