Il fumetto è una forma di comunicazione che riserva gradite sorprese anche ai non appassionati. Se avete tempo di dare un’occhiata a questo sito ne scoprirete il linguaggio e forse apprezzerete ancora di più l’abilità di chi riesce a creare piccoli capolavori con mezzi, tutto sommato, abbastanza modesti. Consiglio di farlo, magari prima di sfogliare “Una stella tranquilla” il libro-fumetto di Pietro Scarnera dedicato al chimico e scrittore Primo Levi (1919-1987).
E’ un libro che ricorre a vari accorgimenti propri di questo mezzo espressivo e che conferma, semmai qualcuno avesse qualche dubbio, il talento di Scarnera. Nato a Torino nel 1979, sappiamo che lavora a Bologna.
Il titolo del
libro deriva da un racconto di Levi compreso nella raccolta Lilit (Futuro
anteriore) e fa riferimento alla storia di una stella, in apparenza lontana e
calma, che però cessa di bruciare con fragore. E’ quasi una similitudine con
Levi sulla quale giudicherà il lettore. Nelle ultime due pagine, dopo la bibliografia,
l’autore spiega perché ha voluto “riscoprire” Levi, dopo averlo incontrato
nelle letture scolastiche. Ha visto che Levi era un autore complesso, capace di
passare dall’impegno civile alla fantascienza, che sapeva essere ironico e
divertente, profondo e serio.
A poco a poco gli è divenuto quasi famigliare, complice
la comune città natale e ha cercato di capire come era diventato scrittore. Si
capisce allora perché il sottotitolo del libro sia “Una storia sentimentale di
Primo Levi” e come Scarnera si sia sforzato di rispettare il confine
pubblico/privato concentrandosi sulla biografia di Levi scrittore.
Direi che
Scarnera è riuscito in pieno nel suo intento, proponendoci anche un confronto
di generazioni, quella di Levi e quella dei suoi ideali “nipoti” di oggi.
Lo fa immaginando che due ragazzi, dopo più di mezzo secolo dal ritorno di Levi dalla prigionia, giungano a Torino per ripercorrerne le strade seguendo le sue tracce, ricostruirne la storia e raccoglierne l’eredità. Ma quale eredità? Lo scopriamo nelle ultime pagine, laddove compare Levi, ritratto in epoche diverse della sua vita, dalla gioventù alla maturità, accanto a un ragazzo di oggi seduto al computer. Nelle tavole appaiono le strofe di una sua indimenticabile poesia consegnata ormai alla memoria collettiva. Vuole interpretare, se così si può dire, la cessione del testimone ai giovani da parte degli uomini della generazione di Levi . Pur non cedendo ai facili sentimentalismi è intrisa di sollecitudine per chi si accinge ad affrontare il futuro. Levi incoraggia i giovani a tentare, nonostante l’insicurezza.
Inizia cosi: “Non spaventarti se il lavoro è
molto/C’è bisogno di te che sei meno stanco…”. Dopo un elenco delle cose buone
e meno buone fatte dagli appartenenti alla sua generazione, termina con un
invito, quasi un comando, che deriva proprio dalla consapevolezza degli errori
compiuti: “Non chiamarci maestri”. La poesia s’intitola “Delega” e porta la
data 14 giugno 1986. Meno di un anno dopo (11 aprile 1987), Levi moriva in
circostanze drammatiche, precipitando nella tromba delle scale dal terzo piano
dello stabile in cui abitava. Negli anni seguenti si moltiplicarono le ipotesi
intorno alla sua morte e alcuni non credono ancora al suicidio. Ma come dicevo,
il libro rispetta l’intimo dramma di Levi e preferisce parlare dello scrittore.
Così apprendiamo delle incertezze iniziali, dei primi insuccessi, dei giudizi e
degli incoraggiamenti di Italo Calvino. Levi diceva di sentirsi un centauro,
metà chimico e metà scrittore. Anche noi dovremmo riscoprirlo, magari
attraverso quei versi di “Delega” che
sembrano scuoterci da una comoda inerzia: “Aiuta, insicuro. Tenta benché insicuro,
/perché insicuro, Vedi/se puoi reprimere il ribrezzo e la noia/Dei nostri dubbi
e delle nostre certezze/.
Il libro ha vinto quest’anno il “Premio Cosmonauti” come miglior fumetto nell’ambito del Festival “Tra le nuvole”