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L’ho visto coi miei occhi!

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Tutti noi abbiamo sentito dire, almeno una volta, “l’ho visto con i miei occhi!” Una frase usata per trasmettere una certezza, per comunicare che “è sicuramente così, non vi sono dubbi: credimi”. E se l’ho visto con i miei occhi, non può che essere vero; verrebbe quindi voglia di aggiungere: ci metto la mano sul fuoco.
Non fatelo, potreste perderla! L’abbiamo sperimentato personalmente con le illusioni ottiche. Ne ho riviste alcune che conoscevo, insieme con altre che non avevo ancora avuto modo di apprezzare, proprio qualche settimana fa: tutte sempre notevoli.
Erano parte della mostra Illusionarium, allestita – purtroppo solo per pochi giorni – a Milano presso la Biblioteca Nazionale Braidense, nella sua splendida sala Teresiana. Particolarmente impressionanti mi sono sembrate le illusioni ottiche prodotte da alcune strutture concave (un volto di poliziotto in un caso, un drago costruito in cartone in un altro e poi anche un paesaggio veneziano) che sembrano trasformarsi in convesse e ruotare, a seconda dell’angolazione da cui le si guardano. Un discorso a parte, lo riprenderemo tra poco, merita invece una teca con una matita che diventa invisibile nel segmento centrale, coperto a una certa distanza da una lastrina zigrinata ma sostanzialmente trasparente (si vede bene lo sfondo), lasciando i visitatori perplessi e ammirati.
Credo di non sbagliare dicendo che è “astronomica” la più antica illusione ottica che l’uomo abbia mai potuto osservare. È quella che fa sembrare che la Luna cambi dimensioni durante la notte e sia molto grande appena sorge o quando è molto bassa sull’orizzonte, diventando poi più piccola man mano che si leva in cielo.
La stessa cosa succede anche con il Sole ma è più difficile da apprezzare in quanto, per vederne bene il disco, dobbiamo guardarlo attraverso opportuni filtri che ne riducano significativamente la luminosità.
Ovviamente il disco lunare ha sempre la stessa dimensione nell’arco della notte, come chiunque può verificare con semplici misure e come ci mostra la serie di esposizioni ottenute a 2,5 minuti di distanza l’una dall’altra sulla skyline di Seattle mostrate nell’immagine qui a sotto

La Luna piena ci appare di dimensioni diverse a seconda se la guardiamo vicina all’orizzonte o alta nel cielo, ma immagini come questa ci dimostrano che si tratta di un’illusione

La Luna piena ci appare di dimensioni diverse a seconda se la guardiamo vicina all’orizzonte o alta nel cielo, ma immagini come questa ci dimostrano che si tratta di un’illusione (immagine tratta da pod.nasa.gov/apod/ap020130.html)


Sono la percezione della distanza dell’orizzonte e della volta celeste e anche la possibilità di vedere la Luna che sorge vicina a elementi del paesaggio che ci sono familiari, come alberi o edifici, a trarci in inganno sulle sue reali dimensioni. Si tratta di un effetto concettualmente non molto diverso da quello che ci porta a percepire come di dimensioni eccessivamente differenti due figure umane poste in una situazione a prospettiva falsata come la “stanza di Ames” o la galleria del Borromini di palazzo Spada a Roma.
Le illusioni ottiche ci fanno capire che a volte vediamo cose che non sono reali, che veniamo ingannati, che i nostri occhi sono fallaci. Ci sembrano storte righe che invece sono diritte (lo possiamo facilmente verificare con un righello) o in movimento  dischi che in realtà sono fermi (e sappiamo con certezza che sono fermi, dato che sono  disegnati su un foglio di carta).
Oppure abbiamo l’impressione, nettissima, che  due cose uguali siano diverse (ad esempio nelle dimensioni, nella forma o nel colore); vediamo macchie là dove non ce ne sono; geometrie impossibili, e così via.
Se volete divertirvi digitate “illusioni ottiche” su Google e cercate per immagini, oppure guardate gli autostereogrammi, lasciando che davanti ai vostri occhi appaiano con impressionante nitidezza forme nascoste che si rivelano in una tridimensionalità che non esiste. Tutto questo succede perché il cervello elabora i segnali prodotti dalla luce che colpisce la retina, li interpreta e costruisce le immagini. In altre parole, non svolge il compito di un registratore oggettivo ma ci mette del suo basandosi su esperienze pregresse. Oltre a ingannarci su forme, dimensioni o movimenti, il nostro cervello ci induce a volte a vedere cose che, semplicemente, “non ci sono”, proprio per la sua predisposizione a elaborare i segnali che i nostri occhi raccolgono, nello sforzo di ricondurli a forme semplici o familiari.
E se questa elaborazione cerebrale è estremamente utile per la nostra vita quotidiana (la vista è il nostro senso più sviluppato, frutto di una lunga evoluzione biologica che ci ha permesso di adattarci meglio all’ambiente, migliorando le nostre possibilità di sopravvivenza), altre volte ci inganna, ricomponendo luci ombre e macchie, o insiemi di punti e linee disposti in modo casuale, per formare oggetti familiari, spesso antropomorfi, riconducibili a esperienze acquisite.
Ecco allora che nelle fotografie della desolata superficie di Marte vediamo “facce umane” scolpite nella roccia o anche ominidi seduti in lontananza sulle sue rocce.
Anche i ricercatori, guardando i grafici che riassumono con insiemi di punti i risultati di quanto studiano, sono talvolta tratti in inganno dal colpo d’occhio che li porta a vedere correlazioni o dipendenze inesistenti tra le varie grandezze. Sapendolo, affidano a opportuni test statistici l’ultima parola in merito alla significatività o meno di quanto loro “appare”. Illusioni che ci regala il nostro sistema visivo.
Basta pensare agli ologrammi, comparsi negli anni ’60 del secolo scorso e ora estremamente raffinati. Sono incredibili fotografie (oggi anche filmati) tridimensionali dalle straordinarie proprietà, ottenute con luce laser, sfruttando i fenomeni di diffrazione e interferenza della luce. Oppure ai più recenti studi del momento angolare orbitale del fronte d’onda che promettono applicazioni estremamente interessanti tanto in astronomia (coronogrofia ad alto contrasto per la visualizzazione di pianeti vicino alle loro stelle, ad esempio) quanto nel campo delle telecomunicazioni (moltiplicazione della quantità di informazione trasmettibile, a parità di banda); o ancora, ai tentativi di questi ultimi anni di costruire mantelli che rendano invisibile quello che coprono.
Ecco, io non sono affatto sicuro che la matita parzialmente “invisibile” nella teca in esposizione alla mostra Illusionarium fosse un esempio di illusione ottica nel senso classico della parola, che vede cioè la sua assenza “elaborata” dal nostro cervello, o se piuttosto fosse il risultato di una abile deflessione dei raggi luminosi da parte della lastrina che la schermava parzialmente.
Studi volti alla costruzione di “mantelli” che rendano invisibile quanto avvolgono sono  in corso da diversi anni e in vari laboratori di ricerca. Sino a poco tempo fa, i successi  registrati erano tuttavia limitati a situazioni  particolari (illuminazione con radiazione monocromatica, utilizzo di metamateriali e oggetti di piccolissime dimensioni).
Più recentemente, Hongsheng Chen della Zhejiang University di Hangzhou, Cina, e  alcuni suoi colleghi, sono invece riusciti a costruire un primo prototipo – ancora un po’ rudimentale ma funzionante – di una sorta di mantello dell’invisibilità in grado di rendere effettivamente invisibili oggetti  di dimensioni ragguardevoli, come un pesce rosso o addirittura un gatto. Il mantello delle meraviglie di Chen e collaboratori consiste in una costruzione macroscopica di cristalli particolari che formano un perimetro chiuso e che, pur trasparente a quanto sta loro dietro, scherma dalla vista gli oggetti contenuti al suo interno modificando opportunamente il percorso dei raggi di luce. Indubbiamente tra qualche anno funzioneranno ancora meglio.
Come ci insegnano le illusioni ottiche, ma anche le meraviglie dello sviluppo tecnologico, è bene essere sempre cauti nell’interpretare quanto ci dicono i nostri sensi perché essi ci forniscono una visione soggettiva e particolare del mondo che ci circonda, e perché sappiamo che esso cambia continuamente e in maniera imprevista.
La “magia” è qualcosa che ci strabilia, anche perché ci mostra fenomeni di cui non conosciamo la spiegazione. La tecnologia, invece, è qualcosa che ci strabilia anche se, dei fenomeni che ci mostra, conosciamo la spiegazione. Ma questo l’aveva già detto con altre parole Arthur Clarke, inventore, visionario (sua l’idea – nel 1945! – dell’utilizzo di satelliti per le telecomunicazioni posizionati in orbite geostazionarie), noto soprattutto come autore di alcuni tra i più bei romanzi di fantascienza: “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Quindi cautela. Anche quando lo vediamo con i nostri occhi.

Tratto da Le Stelle n° 129


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