Tra
le prime mosse della nuova Commissione europea fa scalpore e crea disagio
l’inatteso ritorno dell’Ema sotto la giurisdizione del Direttorato
dell’Industria.
L’Ema, l’agenzia europea di cui la Commissione si avvale per
l’approvazione al commercio dei nuovi farmaci, era stata sotto tale
giurisdizione fin dalla sua nascita a metà degli anni Novanta. C’erano voluti
oltre quindici anni per convincere la Commissione dell’inopportunità politica
di quella collocazione: i farmaci - sostenevano più voci nell’ambito della
comunità scientifica e delle associazioni dei pazienti - non sono assimilabili
a qualsiasi altro bene di consumo. Lasciando l’Ema sotto l’Industria la
Commissione dava l’impressione di privilegiare l’interesse commerciale rispetto
a quello dei pazienti e della sanità pubblica.
Finalmente,
sotto la presidenza Barroso, la Commissione aveva spostato Ema dal Direttorato
dell’Industria a quello della Salute e dei Consumatori (nota come Sanco). Non
che le cose da allora siano cambiate molto, anzi.
L’Ema continua ad approvare
farmaci che spesso hanno scarsa documentazione di efficacia.
Molti farmaci sono
ancor oggi approvati per un beneficio
clinico soltanto supposto sulla base di evidenze surrogate, dando ad esempio
per scontato che ridurre la glicemia o la pressione eviti senz’altro l’infarto
o l’ictus e ridurre la massa tumorale prolunghi davvero l’esistenza dei
pazienti o almeno ne migliori la qualità. Oltre che lasciare presunta l’efficacia
clinica dei farmaci, se ne lascia propagandare l’innovatività senza provarla. I
nuovi farmaci sono più spesso approvati sulla base del loro confronto con il
placebo o la loro non inferiorità rispetto a farmaci già disponibili per la
stessa indicazione clinica. Tutto concorre a produrre copie di quanto già
esiste, senza alcuna possibilità per i medici e gli operatori della sanità
pubblica di operare scelte razionali in base al valore clinico di un farmaco e
del suo rapporto costo/benefico rispetto agli altri disponibili. In questo
modo, anche per i farmaci, come per tutti i prodotti di largo consumo,
l’omologazione generalizzata offre alla pressione commerciale l’opportunità di
promuovere un prodotto a prescindere dal suo effettivo valore.
La riesumazione della collocazione politica dell’Ema sotto l’Industria certo non agevolerà la riconversione da sempre attesa dell’agenzia europea a un ruolo davvero ispirato all’interesse primario dei pazienti e della salute pubblica. Semmai questa ricollocazione servirà ad allargare ulteriormente le maglie del rigore, promuovendo tutte quelle misure, vecchie e nuove, dal conditional approval all’adaptive licensing, che consentono di approvare rapidamente prodotti ancora immaturi per il mercato e soprattutto per i pazienti, prodotti ad alto costo ma a basso valore aggiunto.
Lo scopo di proteggere l’industria e favorire l’economia in un momento difficile è lecito e benemerito, ma solo se non entra in conflitto con l’interesse primario della salute e del nostro preziosissimo Servizio sanitario nazionale, che anche grazie all’attuale assetto regolatorio europeo è costretto ad investire ingentissime somme di denaro pubblico in trattamenti dalla dubbia efficacia e sicurezza.