Quando, nel marzo di quest’anno, il team dell’esperimento
americano BICEP2 annunciò
di aver scoperto nella radiazione cosmica di fondo la prova dell’inflazione
cosmica, la reazione della comunità scientifica fu sin dall’inizio
particolarmente divisa. Accanto agli entusiasti e a chi parlò subito di premio
Nobel, altri si mostrarono particolarmente scettici. Il numero di questi ultimi
è cresciuto nel corso dei mesi, soprattutto dopo che si venne a sapere che i
dai su cui erano stati svolte le analisi provenivano da un pdf mostrato dal
team di Planck durante una conferenza.
Al di là di questo, i contestatori ritengono che il gruppo
di BICEP2 potesse aver attribuito alle onde gravitazionali primordiali (che
proverebbero l’inflazione cosmica) effetti dovuti “semplicemente” al contenuto
di polvere presente nella nostra galassia. Studi più approfonditi (per esempio qui e qui) mostravano che questa
possibilità fosse tutt’altro che remota, tanto che il team di BICEP2 fu costretto
a fare un passo
indietro nella stesura del paper scientifico sulla propria scoperta
di marzo.
Figura 1 - La mappa del cielo boreale (a sinistra) e australe (a destra) osservato da Planck. La scala dei colori rappresenta l’intensità prevista per la frequenza a cui lavora BICEP2 del segnale dovuto alle polveri della nostra galassia: il blu indica un contributo minore, il rosso un contributo maggiore. La linea nera indica la regione di cielo osservata da BICEP2: secondo le analisi di Planck, il contributo delle polveri in quella regione è più alto di quanto ci si aspettasse.
L’atteggiamento dominante nella comunità scientifica fu
quello di aspettare le analisi del gruppo del satellite Planck dell’Agenzia
Spaziale Europea, specificamente destinato allo studio di precisione della
radiazione cosmica di fondo. I risultati sono arrivati con un articolo in preprint pubblicato
nei giorni scorsi, e per il team di BICEP2 rappresentano una vera e propria
doccia gelata.
Planck ha osservato tutto il cielo a 9 frequenze nella banda
delle microonde, riuscendo così a estrapolare l’intensità del segnale dovuto
alle polveri contenute nella nostra galassia nella frequenza a cui osserva
BICEP2.
Nazzareno Mandolesi, responsabile di LFI, uno degli
strumenti a bordo di Planck, spiega: “Tutto o parte del segnale osservato da
BICEP2, e attribuito dal team alla polarizzazione della radiazione cosmica di
fondo, potrebbe essere dovuto a polvere galattica che, ahimè, pervade tutto il
cielo, anche regioni ad alte latitudini galattiche, prima ritenute prive di
polvere”.
Figura 2 - La curva nera indica la predizione teorica del segnale nella radiazione cosmica di fondo in base all’analisi di BICEP2, mentre l’area azzurra mostra i valori che secondo la collaborazione Planck sono compatibili con l’effetto della polvere galattica. Insomma, stando agli ultimi dati di Planck il segnale osservato è spiegabile con le polveri, senza che sia necessario tirare in ballo le onde gravitazionali primordiali.
Ma attenzione: questo non dimostra che il team di BICEP2 si sia necessariamente sbagliato. In base Se il segnale osservato da BICEP2 può essere sensatamente spiegato come un effetto delle polveri, non significa che non possa essere prodotto da onde gravitazionali primordiali: significa soltanto che occorrono analisi più approfondite che possano escludere l’una o l’altra possibilità.
Il team di BICEP2 annunciò di avere scoperto le onde gravitazionali primordiali perché la sua analisi statistica aveva escluso la possibilità di un’interferenza significativa da parte delle polveri galattiche, ma i dati usati dal gruppo di ricerca erano approssimativi e per giunta preliminari. Con i nuovi dati, il segnale osservato sembra compatibile con l’effetto delle polveri (sottostimato all’epoca dell’analisi di BICEP2), ma nulla vieta che in quel segnale ci sia anche un piccolo contributo dovuto a onde gravitazionali primordiali.
Insomma, nonostante gli ultimi risultati di Planck giochino decisamente a sfavore, la questione non è ancora risolta. “La conclusione – sostiene Cécile Renault, fisica delle particelle e membro della collaborazione Planck – è che BICEP2 e Planck debbano analizzare i dati insieme, per ottenere il giusto rapporto tra l’intensità del segnale cosmologico e quello galattico. È ancora troppo presto per essere definitivi.”
Mettere da parte la competizione tra i due gruppi di ricerca e iniziare a collaborare insieme, con un accesso congiunto ai dati di entrambi gli esperimenti, sembra essere l’unico modo per dirimere la questione una volta per tutte. Il perché ce lo spiega Peter Coles, cosmologo e astrofisico dell’Università del Sussex: “Planck è in grado di osservare a più frequenze, e ha mappato tutto il cielo; BICEP2, d’altra parte, ha una sensibilità maggiore, ma lavora a una sola frequenza e può osservare solo una regione di cielo relativamente piccola”. Insomma, i due strumenti sembrano essere complementari: i punti deboli dell’uno rappresentano i punti di forza dell’altro.
La collaborazione tra Planck e BICEP2 è già cominciata e – anticipa Mandolesi – ha come obiettivo “scrivere un lavoro comune, possibilmente in coincidenza con la release di dati Planck 2014”, che dovrebbe avvenire entro la fine del 2014. La speranza è di avere per quella data una parola definitiva sulla questione. “Quello che possiamo dire ora – aggiunge Coles – è che l’annuncio di BICEP2 dato a marzo era quantomeno prematuro.”