fbpx L’Europa a quattro velocità | Science in the net

L’Europa a quattro velocità

Tempo di lettura: 9 mins

"Hanno scelto l’ignoranza", titola il manifesto appello che nove ricercatori europei, tra cui il nostro Francesco Sylos Labini (nostro nel senso sia di italiano che di collaboratore di Scienzainrete, oltre che fondatore e colonna di Roars) hanno pubblicato nei giorni scorsi anche su Nature, mettendo nero su bianco un’inquietudine che serpeggia nella comunità scientifica del Vecchio Continente.
L’impressione è che l’Europa stia rinunciando a competere con altre parti del mondo sia nella ricerca di base che nella ricerca applicata e nello sviluppo tecnologico, con effetti profondi sia sul piano culturale che su quello economico. Perché viviamo nella società della conoscenza e la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico (R&S) hanno forti correlazioni con la crescita economica.
È per questa inquietudine e per questa impressione che in Francia i ricercatori dell’università di Montpellier, una delle più antiche d’Europa, hanno organizzato “Sciences en Marche”, una maratona ciclistica che, dal 27 settembre al 19 ottobre, ha attraversato e ha cercato di mobilitare la Francia intera, chiedendo che venga almeno triplicata l’investimento in ricerca di base. È per questa ragione che anche in Italia molti ricercatori si stanno mobilitando in queste ore per denunciare coloro che “hanno scelto l’ignoranza”, nel nostro paese come nel resto d’Europa.

Il Vecchio Continente investe in R&S meno della Cina

In realtà a motivare l’inquietudine non è solo un’impressione. Ma anche i fatti concreti. Come hanno rilevato gli esperti del OCSE in un recente rapporto, Shifting Gear: Policy Challenges for the next 50 years, malgrado la crisi iniziata negli Stati Uniti nel 2007, l’economia mondiale è cresciuta del 3,6% in media l’anno nel decennio 2001-2010 e si calcola che crescerà col medesimo ritmo nel decennio iniziato nel 2011 che si concluderà nel 2020. Solo che la crescita economica non è omogenea. È fortissima in Asia – a proposito, la Cina ha superato a quanto pare gli Stati Uniti e oggi è la prima economia al mondo – ha un buon ritmo in Nord America è piatta in Europa.
Analogo l’andamento degli investimenti in R&S. I finanziamenti crescono a forte ritmo in Asia (a proposito, la Cina ha raggiunto il 2,0% di investimenti rispetto al Pil), crescono a discreto ritmo in Nord America. Sono stagnanti in Europa. Per la prima volta quest’anno il Vecchio Continente spenderà, in termini relativi, meno della Cina.
L’Europa, dunque, arranca tanto in economia quanto nella ricerca e sviluppo. E le due cose non sono affatto scorrelate.
Tuttavia anche il nostro continente non è un’entità economica e scientifica omogenea. Ci sono paesi in cui la crisi economica è contingente (Germania e i paesi del nord), paesi che hanno difficoltà più serie (la Francia e, per certi versi, la stessa Gran Bretagna), paesi poveri che stanno riducendo il gap col resto d’Europa, sia pure a fatica (la Polonia e un po’ tutti i paesi ex comunisti entrati nell’Unione), paesi in cui la crisi è strutturale e di lungo periodo (l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia).
Perché questa differenze? Perché in gran parte del mondo e, anche, in una parte non marginale d’Europa negli ultimi anni l’economia è cresciuta, mentre lungo le sponde settentrionali del Mediterraneo l’economia ristagna, addirittura da trent’anni in Italia? Perché tanta differenza fra le tre aree europee che pure hanno – vedi Tabella 1 – un analogo peso demografico (tra i 130 e i 140 milioni di abitanti)?
Sarebbe  importante che una parte dell’attenzione dei politici (e anche degli economisti) fosse rivolta a rispondere a queste domande, se si vuole uscire dalla crisi dell’Europa, che è soprattutto la crisi di una parte dell’Europa.

Proviamo a utilizziamo la distinzione di massima nella quattro grandi aree relativamente omogenee in cui si divide il nostro continente (Russia esclusa), e forse troveremo qualche risposta.
Definiamo area teutonica, quella che ha al centro (e non solo geograficamente) la Germania (Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia, Islanda, Austria, Svizzera, oltre la stessa repubblica che ha per capitale Berlino); area anglo-francese, quella che ruota intorno alla manica (Francia, Regno Unito, Belgio, Lussemburgo e Irlanda); area mediterranea la nostra (Portogallo,Spagna, Italia, Grecia, Malta e Cipro) e area orientale quella che raccoglie i paesi ex comunisti (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovenia, Croazia).

Una delle risposte alle domande precedenti è che nell’area teutonica e (un po' meno) nell’area anglo-francese sanno tenere i conti a posto, mentre nell’area mediterranea la gestione delle finanze pubbliche è più allegra. Ma questa è solo una delle risposte. E, forse, neppure la principale.
Un’altra risposta è che le condizioni di partenza sono diverse. Il reddito pro-capite nell’area teutonica non è solo 2,5 volte quella dei paesi orientali, ma anche superiore dell’86%  rispetto a quello dell’area mediterranea e del 15%  rispetto a quello dell’area anglo-francese. Per cui, si potrebbe dire, è l’area più ricca e, quindi cresce di più (e, quando c’è la crisi, decresce di meno).
Ma, in realtà, c’è almeno un altro elemento, probabilmente il fattore principale, che consente di distinguere fra le quattro  aree e consente a ciascuna di posizionarsi in maniera diversa nell’economia della conoscenza, che oggi è parte sempre più fondamentale, dell’economia reale.

Tabella 1

Tabella 2

Legenda
A. Teutonica: Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia, Islanda, Austria, Svizzera.
B. Anglo-francese: Francia, Belgio, Lussemburgo, Regno Unito, Irlanda
C. Mediterranea: Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, Malta, Cipro
D. Est: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovenia, Croazia
Fonte: elaborazione propria su dati Eurostat, OECD e R&D Magazine

Nel Nord d’Europa si spende il doppio per l’università

Nell’area teutonica ci sono maggiori investimenti nell’educazione terziaria (universitari a post-universitaria): 635 dollari per abitante; contro i 489 dell’area anglo-francese; i 340 dell’area mediterranea e i 202 dell’area orientale.
Nel Nord d’Europa si spende il doppio per l’università che sulla sponda mediterranea e il 30% in più che nell’area anglo-francese.
L’area teutonica, inoltre, investe in R&S 162 miliardi di dollari l’anno: una cifra seconda sola a quella degli Stati Uniti (447 miliardi) e della Cina (232 miliardi),  e maggiore, sia pure di poco, a quella del Giappone (160 miliardi). La spesa in R&S dell’area teutonica è del 53% superiore a quella dell’area anglo-francese (106 miliardi) e addirittura del 245% superiore a quella dell’area mediterranea.
L’intensità degli investimenti in ricerca nell’area teutonica è, in media, pari al 2,8% del Pil: pari a quella di Stati Uniti (2,8%), appena leggermente inferiore a quella del Giappone (3,3%), ma nettamente superiore a quella della Cina (2,0%). L’intensità degli investimenti nell’area anglo-francese è decisamente minore: 2,0%. Ma la differenza è ancora più marcata con l’area mediterranea, dove l’intensità degli investimenti non supera l’1,2%. In pratica nell’area che ruota intorno alla Germania l’intensità degli investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico è di oltre il 130% superiore  che in Italia o Spagna.

Un discorso a parte meriterebbe l’area costituita dai paesi dell’Est: dalle nazioni baltiche, alla Polonia giù fino alla Romania e Bulgaria. È un po’ meno omogenea. Ed è caratterizzata da una spesa in ricerca che raramente supera l’1%, da e da ancora scarsi investimenti nelle università. È l’area più povera dell’Europa. Ma è anche l’area che fa registrare il massimo tentativo di convergenza. Ovvero la massima velocità di crescita delle strutture propedeutiche a una solida economia della conoscenza. Quest’area sembra essere ruotare irresistibilmente intorno al grande attrattore tedesco. Ed è destinata, in parte o in toto, a entrare a far parte dell’”area teutonica”.
Tutti questi investimenti – perché nel nord Europa dove non hanno scelto l’ignoranza li considerano investimenti e non spesa – produce degli effetti. Culturali, certo: il numero di articoli pubblicati nel 2012 dagli scienziati dell’area teutonica (2.530 per milione di abitanti) è del 55% superiore al numero di articoli prodotti nell’area mediterranea (1.635) e del 18% superiore a quelli prodotti nell’area anglo-francese.

L’area mediterranea produce pochi brevetti

Ma gli effetti sono anche sociali: il numero di ricercatori ogni 1.000 lavoratori nell’area teutonica è pari a 8,0: inferiore rispetto a Usa (9,0) e Giappone (12); ma quasi il doppio rispetto all’area mediterranea (4,5). E, soprattutto, economici: la Germania e i paesi che le ruotano intorno esportano beni e servizi ad alta tecnologia per un valore che nel 2012 è stato di 337 miliardi di dollari: pari al 5,8% del Pil.
Maggiore di quello dell’area anglo-francese (190 miliardi, pari al 3,6% del Pil) e molto, ma molto maggiore rispetto a quello dell’area mediterranea (37 miliardi, par ad appena l’1,0% del Pil). È anche per questo che la bilancia tecnologica dei pagamenti segna 34 miliardi di attivo per l’area teutonica, solo 9 miliardi di attivo per l’area anglo-francese e ben 31 miliardi di passivo per l’area mediterranea (14 miliardi dei quali a carico dell’Italia). Da notare che l’export hi-tech dell’era mediterranea è inferiore anche a quello dell’area orientale (58 miliardi).
L’export hi-tech dipende anche dalla capacità di innovazione. E qui la creatività del nord d’Europa è schiacciante. Nell’area teutonica in un anno si producono 254 brevetti per milione di abitanti: 2,4 volte più che nell’area anglo-francese e addirittura 5,4 volte in più che nell’area mediterranea.
A questo punto abbiamo almeno una chiave di interpretazione che ci consente di leggere tra le righe delle evidenti asimmetrie economiche (nell’economia reale, oltre che nell’economia finanziaria) tra il Nord e il Sud dell’Europa.
Nel nord Europa hanno scelto di investire, appunto, sull’educazione e sulla ricerca: non c’è paese di quell’area che abbia investimenti in R&S inferiori al 2,0% del Pil (con l’unica eccezione dell’Olanda). Alcuni (Svezia, Finlandia, hanno investimenti nettamente superiori al 3,0%) Non c’è paese che non investa moltissimo nell’università. 
Grazie a questi investimenti i paesi dell’area teutonica si sono dati una specializzazione produttiva diversa da quella dell’area mediterranea e anche, in parte, dell’area anglo-francese. Producono ed esportano una quantità molto maggiore – forse la maggiore al mondo, in termini relativi – di beni ad alta tecnologia.
Con due vantaggi. In primo luogo aumentano la loro capacità competitiva: il commercio internazionale di beni materiali ad alta tecnologia è, da qualche decennio, il più dinamico del pianeta. In secondo luogo possono distribuire gli stipendi più alti al mondo: la produzione ad alta intensità di conoscenza, infatti, è quella che remunera meglio non solo le industrie che producono i beni ma anche chi ci lavora. Si calcola che lo stipendio medio in un’industria che produce beni hi-tech sia tra il 20 e il 30% maggiore che in un’industria che produce beni a media e a bassa tecnologia.
Hanno, in questo modo, maggiore ricchezza. E hanno una migliore distribuzione della ricchezza. In nessun’altra parte del mondo c’è una maggiore uguaglianza sociale.
Questa condizione, infine, è ben gestita. I paesi dell’area teutonica, infatti, vantano il migliore e più efficiente welfare del mondo. Non mancano, anche lì,  le sofferenze del sistema. Ma, nonostante tutto, in quell’area d’Europa si collocano i migliori servizi sociali del pianeta.

Ultimo, ma assolutamente non ultimo, sono i paesi al mondo che per sensibilità ecologica, stili di vita e legislazione mostrano la maggiore attenzione all’ambiente. Non a caso considerano l’ambiente la nuova frontiera della competitività e sono protagonisti assoluti anche della “green economy”, ovvero dell’innovazione più sostenibile.
Ecco perché tutti in Europa dobbiamo chiederci perché il nostro continente stenta a tenere il passo delle aree più dinamiche del mondo. Ma è anche vero che non tutti dobbiamo chiedercelo con la medesima intensità.
In definitiva, gli unici paesi europei che reggono la competitività internazionale nell’era della nuova globalizzazione sono i paesi dell’area che abbiamo definito teutonica. Lo fanno perché hanno puntato molto, con coerenza e determinazione, sull’economia della conoscenza. Riuscendo a tenere i conti in ordine anche nel corso delle tempeste finanziarie, a salvaguardare il welfare e a migliorare le condizioni ambientali.
È un modello che quaggiù, lungo le sponde del Mediterraneo, faremmo bene a studiare. E a seguire.

P.S. Questa analisi è, naturalmente, incompleta. Si parla molto di crescita e, forse, non abbastanza di qualità della crescita. Si parla del rapporto tra investimenti in ricerca e crescita economica senza aver dimostrato che c’è una correlazione causale. È un’analisi che serve solo come base di discussione. È vero che i dati che mostriamo non ci dicono tutto. Ma è anche vero che, senza prenderli in considerazione, ogni discorso è vuoto.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Approved the law for the restoration of European nature, but it's a half victory

On November 9, the European Council approved the Nature Restoration Law, a regulation for the restoration of ecosystems. A much-hoped-for victory that leaves a bitter taste: the adopted regulation emerges from more than a year of negotiations that have significantly weakened it in substance. The risk is that the objectives lose their concreteness in implementation.

Crediti foto Boris Smokrovic su Unsplash

On November 9, the European Council, the body defining the EU's policy directions, approved the Nature Restoration Law, one of the four main pillars of the European biodiversity strategy for 2030. A great achievement, yet leaving a bit of bitterness, considering the approved regulation was significantly weakened compared to the original.