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Quando la bussola impazzisce

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Il campo magnetico della Terra non è fisso e immutabile. Può capitare - e nel corso della lunga storia del nostro pianeta è successo più e più volte - che i poli magnetici si scambino tra loro, con il Polo Nord che diventa Sud e viceversa. Entrambe le configurazioni (gli addetti ai lavori parlano di due stati di polarità, normale e inversa) sono ugualmente possibili e stabili. A differenza di quanto avviene nel Sole, in cui questa inversione si verifica regolarmente ogni 11 anni (il cosiddetto ciclo solare), per la Terra non esiste una periodicità specifica e ancora non è chiaro quale sia il motore che governa il fenomeno. L'ultima di tali inversioni, nota come transizione Matuyama-Brunhes, risale a circa 786 mila anni fa ed è responsabile dell'attuale polarità del campo geomagnetico.

Nonostante l'intensa attività di studio dei geofisici, vi sono ancora molti punti oscuri nelle nostre conoscenze del meccanismo di inversione di polarità. Una recente ricerca ha però permesso di chiarire le idee almeno su un elemento chiave: il tempo impiegato dalla calamita terrestre a invertire i suoi poli. La ricerca è stata condotta da un team internazionale coordinato da Leonardo Sagnotti (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e pubblicata sull'ultimo numero di Geophysical Journal International (nei giorni scorsi abbiamo diffuso su SciRe il comunicato stampa del CNR).

L'analisi dei sedimenti dell'antico bacino lacustre di Sulmona, sfruttando la presenza di ceneri vulcaniche, ha permesso di datare con precisione il momento di inversione della polarità magnetica e di appurare che si trattò di un processo estremamente rapido. “E' sbalorditiva la rapidità con cui avvenne quell'inversione - commenta Courtney Sprain, specializzanda presso l'Università della California e coautrice dello studio - I dati paleomagnetici sono davvero ottimi. Si tratta di una delle migliori registrazioni mai raccolte finora riguardo a ciò che può accadere durante un'inversione.” Lo stupore è ben motivato: gli allineamenti magnetici emersi dalle accurate misurazioni del team indicano infatti che l'intero processo avvenne in meno di cento anni, dunque almeno dieci volte più rapidamente di quanto si ritenesse finora. Le fa eco Biagio Giaccio (Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria - CNR), anch'egli coautore dello studio: “Si tratta di un fenomeno che può svilupparsi in tempi comparabili alla durata di una vita umana. La nostra stima più conservativa è che l'inversione si sia sviluppata in meno di un secolo, probabilmente molto meno.

Non è l'estrema rapidità del fenomeno, però, l'unico dato che emerge dallo studio del team di Sagnotti (qui si può accedere al paper completo). Dalle analisi, infatti, emerge che l'inversione di polarità della transizione Matuyama-Brunhes è stata preceduta da un periodo di instabilità magnetica di almeno 6000 anni, con due intervalli temporali - un paio di millenni ciascuno - nei quali l'intensità del campo si era ridotta a meno della metà del suo attuale valore. Con un campo magnetico ridotto in queste condizioni è immediato chiedersi quali conseguenze vi potrebbero essere per la biosfera terrestre.

Della presenza del campo magnetico terrestre, sia ben chiaro, non ne beneficia solamente chi ha la necessità di consultare una bussola: se così fosse, il disagio che deriverebbe dall'inversione di polarità magnetica sarebbe minimo. Il fenomeno ha una portata ben più importante e critica. L'enorme calamita nascosta nel nucleo del pianeta, infatti, esercita una provvidenziale azione di schermatura della Terra, proteggendola sia dalla radiazione cosmica, sia dalle occasionali bizze della nostra stella domestica. Una drastica riduzione del campo geomagnetico ci lascerebbe dunque senza la protezione ottimale, con conseguenze davvero disastrose. Di una simile preoccupazione ne parlammo qualche mese fa proprio da queste pagine.

Per approfondire alcuni aspetti della scoperta e per chiarire i nostri dubbi sulle possibili conseguenze di un'inversione magnetica abbiamo contattato direttamente Leonardo Sagnotti, primo autore dello studio. Geologo, si occupa di paleomagnetismo e magnetismo delle rocce, è Dirigente di ricerca presso l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nonché responsabile del Laboratorio di Paleomagnetismo.

Dott. Sagnotti, iniziamo dal significato della scoperta. La rapidità dell'inversione magnetica da voi individuata a Sulmona è una caratteristica generale del fenomeno oppure ogni episodio può essere caratterizzato da tempi e modalità differenti? In che modo la scoperta potrà aiutare a decifrare il meccanismo di inversione magnetica terrestre?

La successione stratigrafica di Sulmona ha le caratteristiche idonee per fornire nuovi dati sperimentali ad alta risoluzione che permettono di ricostruire le variazioni ed i ratei di evoluzione del campo magnetico terrestre nei millenni che comprendono l’ultima inversione geomagnetica. La peculiarità di questo studio è data dall’accoppiamento tra eccellenti proprietà paleomagnetiche e la presenza di datazioni radiometriche molto precise per la scansione temporale del fenomeno. Non è facile trovare analoghe situazioni favorevoli per altre inversioni geomagnetiche precedenti. Tuttavia una recente sintesi delle dieci migliori registrazioni paleomagnetiche di diverse inversioni del campo magnetico terrestre, ottenute su sequenze di rocce vulcaniche da varie regioni del pianeta, suggerisce che le inversioni geomagnetiche possano essere accomunate da simili caratteristiche dinamiche, che prevedono l’esistenza di un precursore e di un transito rapido del polo geomagnetico da un’area polare all’altra, proprio come osservato a Sulmona per l’ultima inversione. Si stimava che il transito del polo geomagnetico si sviluppasse in meno di un millennio. La ricerca da noi condotta a Sulmona indica che il transito può avvenire in meno di un secolo, probabilmente molto meno.

Einstein considerava la comprensione del meccanismo che genera e governa la dinamica del campo magnetico terrestre come una delle più importanti ed irrisolte sfide della fisica. Il meccanismo che causa l’inversione del campo resta ancora oggi in gran parte ignoto. Studi come quello condotto a Sulmona portano un originale contributo sperimentale per vincolare e testare i modelli matematici che si prefiggono di comprendere e simulare i meccanismi che agiscono nel nucleo esterno fluido della Terra e che sono alla base dell’origine e della complessa dinamica del campo magnetico terrestre.

Una seconda inevitabile domanda riguarda proprio le cause del fenomeno. Perché la calamita del nucleo terrestre improvvisamente si orienta in modo differente? Si tratta di un evento in qualche modo governato dalle leggi del caos oppure è la normale conseguenza di un meccanismo ben preciso?

Come accennato, il campo magnetico terrestre è generato da complessi e vigorosi moti convettivi del materiale metallico fuso, fortemente conduttore, che forma il nucleo esterno della Terra. La teoria generale della magnetoidrodinamica indica che nelle equazioni il segno del campo magnetico non è dinamicamente importante e che dunque entrambi gli stati di polarità del campo sono egualmente probabili e stabili. Condizione che è di fatto verificata dalle registrazioni paleomagnetiche, che mostrano come nel tempo geologico i due stati di polarità del campo si sono alternati senza prevalenza di uno rispetto all’altro. La variabilità naturale del campo comprende momenti in cui, per ragioni ancora da comprendere appieno, il campo magnetico diminuisce fortemente di intensità e la circolazione dinamica nel nucleo esterno che lo genera e lo mantiene nei periodi di polarità stabile risulta fortemente disgregata. Durante questi episodi si possono manifestare le inversioni di polarità. Nel momento in cui la circolazione convettiva nel nucleo si rigenera e il campo ricresce di intensità, esso può assumere con uguale probabilità una configurazione normale o inversa. Il fenomeno è sicuramente nell’insieme molto complesso e caotico.

E' assodato come il campo magnetico terrestre eserciti una fondamentale azione protettiva per il nostro pianeta e i suoi abitanti. Quali effetti possono avere gli episodi di inversione magnetica su tale azione protettiva? Per quanto ne sappiamo, dagli episodi precedenti non risulterebbero effetti particolarmente significativi, ma sarebbe così anche con l'attuale livello di civilizzazione? La maggiore pericolosità risiederebbe nelle inversioni in sé oppure nei periodi di instabilità magnetica che la accompagnano?

Il campo magnetico terrestre ci protegge dall’azione diretta del vento solare. La Terra si trova dunque in una regione di spazio, nota come magnetosfera, fortemente schermata dal flusso di particelle cariche di origine solare e cosmica. La magnetosfera ha la forma di una cavità a goccia, compressa dal lato del giorno (ovvero del Sole) a causa della forza delle particelle in avvicinamento, ed estesa dal lato della notte. Un campo di intensità notevolmente ridotta implica un minor volume della magnetosfera con maggiore esposizione al vento solare ed ai raggi cosmici. Tuttavia anche un campo debole eserciterebbe comunque un parziale effetto di schermo da queste radiazioni e difatti non sono state trovate, nonostante numerose ricerche sul tema, correlazioni significative tra estinzioni biologiche e inversioni del campo geomagnetico. D’altra parte, il genere umano è sopravvissuto senza apparenti effetti a molti eventi di ampia instabilità del campo magnetico nel passato (le cosiddette “escursioni geomagnetiche”) e anche ad alcune inversioni complete del campo.

Nella nostra civiltà attuale, sempre più criticamente dipendente dalla tecnologia, sono senza dubbio da tenere in seria considerazione i potenziali effetti dovuti ad un campo di intensità fortemente ridotta e di una conseguente maggiore penetrazione del vento solare nella magnetosfera. Questi effetti comprendono la generazione di correnti elettriche indotte nella parte più esterna della Terra, legate alle correnti primarie generate dalla circolazione di particelle cariche di alta energia all’interno della magnetosfera terrestre, con possibili interruzioni frequenti e prolungate nei sistemi di comunicazione e nelle reti di distribuzione dell’energia elettrica. Senza tralasciare gli effetti, anche disastrosi, sui satelliti circumterrestri e sugli equipaggi delle navicelle spaziali intorno alla Terra.

Le ceneri dei sedimenti di Sulmona hanno permesso di datare con precisione l'ultima inversione mostrando che risale a quasi 800 mila anni fa. Secondo alcune valutazioni statistiche, però, sembrerebbe che in passato le inversioni magnetiche possano essere state più frequenti. Come interpretare il lungo intervallo che ci separa da quell'evento? Dobbiamo in qualche modo preoccuparci?

Le inversioni di polarità del campo non sono un fenomeno periodico e regolare. Sono documentate 21 inversioni geomagnetiche nel corso degli ultimi 5.3 milioni di anni, il che implica che in media durante questo periodo c’è stata un’inversione del campo ogni circa 250 mila anni. In effetti, l’ultima inversione completa del campo è ora datata a circa 786 mila anni fa e sappiamo che l’intensità del campo è in diminuzione sin dalle prime misure dirette di intensità del campo, effettuate da Gauss verso la metà del XIX secolo. Tuttavia, gli studi paleomagnetici indicano che durante gli ultimi 786 mila anni l’intensità del campo è variata continuamente e ampiamente. L’intensità del campo ha avuto un valore di elevato picco positivo circa 2000-2500 anni fa, per cui è normale che poi sia calata. Dunque, non è possibile stabilire se la decrescita di intensità del campo attualmente misurata rappresenti la prima fase della prossima inversione di polarità o faccia invece parte del naturale processo di variazione che caratterizza ogni intervallo di polarità magnetica stabile. Personalmente ritengo che l’imminenza di una prossima inversione completa del campo magnetica terrestre sia un evento certamente possibile, ma alla luce delle presenti conoscenze ancora poco probabile.


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