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Staminali e Parkinson: una connessione di successo

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Da oggi la medicina rigenerativa ha un'arma in più. In uno studio, appena pubblicato su Cell Stem Cell, viene dimostrato per la prima volta come neuroni derivati da cellule staminali umane sono in grado di creare, una volta trapiantati in modelli animali, specifici circuiti neuronali. Un risultato importante che apre la strada all’applicazione clinica delle cellule staminali nei pazienti affetti da Parkinson.
Da molti anni diverse ricerche stanno cercando di utilizzare cellule staminali per tentare di rimpiazzare le cellule nervose che sono degenerate a causa della malattia, come i neuroni dopaminergici nel morbo di Parkinson.
I dati ottenuti, finora, non erano della qualità sufficiente però per passare alla sperimentazione clinica. Il problema stava nel fatto che questi neuroni derivati da cellule staminali, anche se in possesso di alcune delle caratteristiche dei neuroni dopaminergici che muoiono nel Parkinson, non erano sufficientemente differenziati e maturi per formare le giuste connessioni nei circuiti nervosi dell’ospite, connessioni necessarie per il ripristino di una corretta attività cerebrale. In assenza di queste proprietà, queste cellule se trapiantate non erano in grado di migliorare le condizioni cliniche dei pazienti.

Ora però il gruppo di ricerca dell’Università di Lund in Svezia, guidato da Malin Parmar, ha ottenuto un risultato decisivo per l’applicazione clinica della medicina rigenerativa. Gli scienziati, che fanno parte dei consorzi Europei NeuroStemcell e NeuroStemcellRepair coordinati da Elena Cattaneo dell’Università degli Studi di Milano, hanno dapprima ottenuto neuroni dopaminergici “veri” a partire da cellule staminali embrionali umane.
Questi neuroni di ultima generazione sono stati quindi trapiantati nei modelli animali di Parkinson, dimostrando che erano in grado di imitare le caratteristiche dei neuroni danneggiati. Infine è stata studiata la capacità dei nuovi neuroni di riconnettersi con quelli del cervello ospite. E qui è arrivata la sorpresa maggiore: si è visto che le cellule trapiantate potevano connettersi con i neuroni del tessuto ospite attraverso una fitta rete di ramificazioni che raggiungevano le aree cerebrali bersaglio.
Questi neuroni erano in grado, quindi, di ricreare la via dopaminergica “nigro-striatale”, la quale è parte fondamentale del cosiddetto sistema extrapiramidale, ossia quell'insieme di vie e centri nervosi che, organizzato a più sinapsi, comunica con la corteccia cerebrale e regola il tono muscolare e la sua motilità, e il cui danneggiamento provoca malattie proprio come il morbo di Parkinson.
“E’ un risultato sorprendente – spiega Vania Broccoli, capo unità della Divisione di neuroscienze Stem cell research Institute, Ospedale San Raffaele Milano – per la prima volta si è riusciti a ricostruire in un modello animale della malattia di Parkinson un circuito neuronale”. Già alcuni anni fa l’équipe di Parmar era riuscita a ottenere da cellule staminali umane embrionali dei neuroni dopaminergici e innestarli in un modello murino ma non aveva compreso se il ripristino della funzione motoria da parte dei topi fosse legato a una secrezione di citochine o al ripristino della via dopaminergica.
“In questo nuovo studio, i ricercatori hanno marcato i neuroni ricavati dalle cellule staminali e li hanno trapiantati nei topi. La marcatura ha permesso di capire che i neuroni una volta impiantati nel modello animale fanno sinapsi con le cellule nervose striali portando così al ripristino della funzione motoria”, sottolinea Vania Broccoli.

Una connessione tutta europea 

Il nuovo studio svedese prende forma proprio nel contesto dei consorzi europei Neurostemcell e Neurostemcellrepair e nel consorzio Transeuro coordinato da Roger Barker.
“L’Unione Europea ha cambiato il modo di fare ricerca nei nostri laboratori, abbattendo i confini tra le nazioni, sollecitando sinergie e collaborazioni, promuovendo la mobilità dei giovani e lo scambio di materiali, cellule, idee affinché siano verificabili da altri colleghi. Il viaggio tra i laboratori europei è continuo per confrontare esperimenti, strategie, risultati. Lavoriamo in network, come se fossimo parte di un super-laboratorio transnazionale capace di aumentare la competitività europea e di vincere sfide di conoscenza e innovazione con gli altri continenti. Capita che si preparino le cellule a Milano, poi si mettano in un incubatore portatile, si prenda quindi un aereo e poche ore dopo si atterri in Svezia o in Inghilterra dove verranno trapiantate. Lì ci sono gruppi forti nelle strategie di trapianto e allora ci mettiamo insieme. Così si guadagna tempo e qualità. Si creano le nuove generazioni di scienziati. Ciascuno ha responsabilità verso il progetto comune.” spiega Elena Cattaneo. 

Parkinson ma non solo

Lo stesso approccio utilizzato in questa ricerca potrebbe essere utilizzato, per esempio, per lo sviluppo di nuove strategie per la cura della malattia di Huntington. In questa patologia la regione cerebrale colpita è quella dei gangli della base e i primi neuroni che degenerano sono gli spinosi medi dello striato.  
Questi neuroni hanno fisiologicamente il compito di inibire, attraverso la via talamica, l’eccitazione corticale. La loro degenerazione porta a una ipereccitazione corticale che provoca disturbi motori. Proprio questi neuroni potrebbero essere gli indiziati per uno studio di medicina rigenerativa.
“La conquista di Malin Parmar nel modello di Parkinson rivela anche aspetti importanti per noi che a Milano lavoriamo sull’Huntington. Questi consorzi accelerano i percorsi di studio in tante direzioni. Abbiamo potuto conoscere i risultati svedesi prima del tempo, discuterli, incorporarli nei nostri esperimenti. In questa prospettiva, la collaborazione europea emerge ancora una volta come qualcosa di enormemente prezioso e da cui, per nessun motivo, le nostre società dovrebbero prendere le distanze”, conclude Cattaneo.

 

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