Quest'anno l'avvio della
campagna di vaccinazione antinfluenzale deve fare i conti con un
rincorrersi di notizie spesso riprese dai mezzi di comunicazione con toni
allarmistici, che il più delle volte risultano poi ingiustificati.
E' stato
così per la notizia dei decessi di persone anziane, inizialmente presentati
come correlati alla vaccinazione, anche se tutti gli esperti ammonivano che non
c'era nessuna evidenza in tal senso, e poi, come atteso, rivelatisi dovuti a
cause naturali indipendenti dalla vaccinazione (si trattava di persone anziane
e affette da gravi patologie). Ma è bastata la campagna mediatica di pochi
giorni per creare un clima di sfiducia e allarme, che ha causato un drastico
calo delle vaccinazioni (il Sindacato Medici Italiani parla addirittura di un
crollo dell'80%).
E' di queste ore un'altra notizia destinata, forse, a
rinfocolare le polemiche dei giorni scorsi sul vaccino e che rischia di aumentare
l'effetto negativo sulla campagna di vaccinazioni. Per questo è necessario fare
chiarezza.
La notizia viene dagli Usa e precisamente dal centro controllo
malattie (i CDC di Atlanta), l'organismo federale incaricato di implementare le
politiche di sanità pubblica. Negli Stati Uniti la stagione influenzale
solitamente inizia con qualche settimana di anticipo rispetto all'Europa e
caratterizzando i virus circolanti, i ricercatori dei CDC si sono accorti che
il ceppo prevalente, H3N2, aveva alcune differenze rispetto a quello inserito
nel vaccino.
Cosa significa, innanzitutto? Potrebbe non voler dire nulla, nel
senso che le differenze riscontrate potrebbero non invalidare in alcun modo
l'efficienza della vaccinazione. Tuttavia c'è la possibilità che, invece, il
vaccino risulti meno protettivo del previsto. Ma è chiaro che nessuno può
prevedere quale dei due scenari sia il più probabile, né quanto, eventualmente,
lo scostamento tra i ceppi circolanti e quelli vaccinali, potrebbe diminuire
l'efficacia della vaccinazione.
Come è possibile che si "sbagli" il
vaccino? Non certo per negligenza o superficialità.
Il fatto è che, per
preparare il vaccino, occorrono circa sei mesi. Per questo l'Organizzazione
Mondiale della Sanità a febbraio si riunisce e, sulla base delle
caratteristiche epidemiologiche della stagione influenzale appena trascorsa,
emana le direttive per la composizione del vaccino da usarsi nell'emisfero
settentrionale per la stagione successiva. A settembre un'analoga riunione
determinerà la composizione del vaccino per l'emisfero australe (la stagione influenzale
sotto l'equatore si registra da marzo a settembre, ovvero nella stagione
invernale per l'emisfero opposto al nostro). Purtroppo il virus dell'influenza
è in grado di cambiare velocemente e può accadere che, durante i mesi in cui il
vaccino viene preparato, un ceppo leggermente diverso inizi a circolare nella
popolazione umana.
Attenzione però, non si tratta di un virus
"diverso", come quello pandemico ad esempio. Si parla comunque dello
stesso tipo di virus (ad esempio H3N2 come in questo caso), in cui sono
presenti minime differenze rispetto a quello usato per i vaccini. E' per questo
che è molto difficile stabilire se queste piccole mutazioni potranno
effettivamente ridurre l'efficacia del vaccino. Quanto osservato non è un fatto
nuovo. Anche in passate stagioni, si era verificato uno scostamento tra ceppi
circolanti e ceppi vaccinali. La conseguenza in alcuni casi era stata una
ridotta efficacia della vaccinazione. Ricordiamo però che nessun vaccino è
efficace al 100% e soprattutto che l'efficacia varia da persona a persona, in
quanto il vaccino non fa altro che stimolare le nostre difese immunitarie, che
sono diverse, appunto, per ognuno di noi.
Questo significa che
vaccinarsi è inutile? Assolutamente no. Anzi. Se davvero c'è la possibilità
che il vaccino sia meno protettivo del previsto, questo dovrebbe indurre le
persone a vaccinarsi di più. Se il vaccino, infatti, è meno efficace significa
che ci potrebbero essere più casi di influenza. Se però molte persone sono
vaccinate (e quindi in qualche misura comunque meno suscettibili
all'infezione), il virus avrà più difficoltà a passare da una persona
all'altra. Quindi è auspicabile semmai che si vaccini un maggior numero di
persone. Ma quanto succede negli Usa necessariamente accadrà anche da noi? La
risposta è ancora una volta no. L'allarme negli Stati Uniti è scattato perché
il ceppo dominante, H3N2, aveva causato nel 2012-2013 un'epidemia influenzale
piuttosto severa.
La stessa stagione, in Italia, era invece stata dominata dal
virus H1N1 ed era stata di modesta entità. In realtà, le ultime tre stagioni
influenzali in Italia sono state modeste, in termini di casi e soprattutto di
gravità delle infezioni, indipendentemente dal ceppo dominante.
Nel 2011-2012
era predominante H3N2, nel 2012-2013 invece aveva dominato H1N1 (contrariamente
agli Usa) e l'anno scorso la maggior parte delle infezioni erano state causate
dall'influenza di tipo B, mentre, tra quelle di tipo A, dominava di poco H3N2
rispetto a H1N1 (mentre negli Usa la maggioranza delle infezioni era da H1N1).
Questo per ricordare che, sebbene i ceppi influenzali circolanti in tutto il
mondo a ogni stagione siano sempre del tipo influenza A H3N2 e H1N1 e influenza
B, ci può essere una differenza su quale dei tre predomini localmente. Per cui
non è detto che la prevalenza dell'H3N2 "sbagliato" si riproduca
anche in Europa.
Il vaccino comunque è in grado di proteggere efficacemente
contro H1N1 e influenza B e, in ogni caso, è in grado di offrire una protezione
anche contro H3N2. Per cui vaccinarsi è sempre meglio, soprattutto per quelle
categorie a rischio, che potrebbero andare incontro a serie conseguenze, anche
letali, in caso di infezione: anziani, cardiopatici, diabetici, persone affette
da malattie respiratorie croniche o da sindromi immunodepressive. Inoltre la
vaccinazione è raccomandata per i bambini da 6 mesi a 4 anni, che rappresentano,
insieme agli anziani, la fascia più colpita.