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Farm Hall 45, il dramma atomico

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Immaginiamo un esperimento ideale. Si isolino per sei mesi in segreto in una villa di campagna in località Godmanchester, nei pressi di Cambridge, nel 1945, prima e dopo il lancio delle due prime (e ultime) bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, dieci tra i maggiori scienziati tedeschi, che si sono occupati delle ricerche sulla fissione atomica. Si diffondano negli ambienti microfoni nascosti, non riconosciuti degli stessi scienziati, e si consenta loro di ascoltare la radio e di leggere i giornali, ma non di comunicare con l’esterno. E si stiano poi ad ascoltare i risultati dell’esperimento.

Così agirono davvero i servizi segreti inglesi, nell’«operazione Epsilon» alle spese di Werner Heisenberg, Max von Laue, Otto Hahn, Walther Gerlach, Paul Harteck, Kurt Diebner, Carl Friedrich von Weizsäcker, Karl Wirtz, Erich Bagge, Horst Korsching, catturati tra il primo maggio e il 30 giugno 1945 e internati dal 3 luglio 1945 al 3 gennaio 1946, esattamente per sei mesi, visto che la legge inglese impediva il fermo di polizia per un periodo maggiore, con il doppio obiettivo di sottrarre i migliori fisici tedeschi all’eventuale intervento dei sovietici  e di verificare sia le loro eventuali responsabilità nel nazismo, sia le loro future intenzioni.
Vi erano due premi Nobel per la fisica: Heisenberg (1932) e von Laue (1914). Un terzo premio Nobel, per la chimica, fu attribuito a Hahn nel 1944 per la scoperta della fissione nucleare, ma lo scienziato tedesco lo apprese a Farm Hall e poté ritirarlo soltanto nel 1946.
Gli scienziati non ebbero alcun sentore dell’esperimento che si consumava ai loro danni. Significativo un loro dialogo al proposito. Diebner: «Mi chiedo se ci sono dei microfoni istallati qui». Heisenberg: «Microfoni istallati? Ma no, non sono così astuti dopo tutto. Non credo conoscano i veri metodi della Gestapo. Sono un po’ arretrati sotto questo punto di vista».

Nel 2001 una parte di quelle registrazioni è stata desecretata e pubblicata nel libro di Jeremy Bernstein Hitler Il club dell’uranio. I fisici tedeschi nelle registrazioni segrete di Farm Hall (2001), intr. di D. Cassidy, tr. it. di A. Fabbri, M. Fabbri e M. Winters Sironi Editore, Milano 2005.
A questo punto interviene Giuseppe O. Longo, professore emerito di Informatica all’Università di Trieste, da tempo dedito anche alla scrittura letteraria e teatrale, che, con la sua intelligenza scenica, ne trae materia per una pièce teatrale. La messa in scena di alcuni dialoghi tra i migliori cervelli della fisica tedesca, edotti da giornali e radio di quanto avviene nel mondo in uno dei periodi più drammatici della storia umana, quello degli ultimi mesi della seconda guerra mondiale e dello scoppio delle bombe atomiche, riproduce l’esperimento un po’ sadico condotto dai servizi segreti inglesi e assume gli aspetti di una tragicommedia.

Il valore aggiunto dello spettacolo, proposto il 4 dicembre 2014 al Teatro Puccini di Firenze, alla presenza e con l’introduzione di Sergio Staino, che vi ha fondato il “Teatro Stabile della Satira e della Contaminazione dei Generi” nel 1991, dirigendolo fino al gennaio 1999, sta nella qualità degli interpreti.
Un nuovo esperimento. Gli attori sono dieci fisici, chimici, ingegneri tra i più noti dell’Università fiorentina : Paolo Blasi (voce narrante), Ignazio Becchi, Salvatore Califano, Emilio Mario Castellucci, Claudio Chiuderi, Marcello Colocci, Paolo Dapporto, Massimo Furi, Roberto Righini, Vincenzo Schettino, oltre a Giuseppe O. Longo. Inevitabile il coinvolgimento degli interpreti che si sono calati nei loro colleghi, rivivendo i loro dubbi, le loro fissazioni, le polemiche che hanno accompagnato la loro convivenza forzata a Farm Hall. Ma soprattutto ricordando i temi che non potevano mancare in quei giorni cruciali: il dilemma  sul rapporto tra libertà di ricerca e ruolo del potere politico, e quello correlato del rapporto tra ricerca di base e sue applicazioni militari. Ma anche le questioni più personali, soprattutto quelle relative al ruolo futuro che ciascuno di questi scienziati contava di giocare ancora in un’Europa denazificata, tra sentimenti filo-nazisti, esigenze di salvare reputazione e carriera, tentativi di mantenere una dignità e integrità scientifica, nell’altalenante espressione di nazionalismo, dissociazione e aperta denuncia del nazismo.

Lo spettacolo, sotto l’attenta regia di Cristiano Burgio e la direzione tecnica di Gemma Romanelli, ha chiuso il programma di iniziative legate al novantesimo anniversario del Circolo dei Dipendenti dell’Ateneo fiorentino, in un Teatro esaurito in ogni ordine di posti. E anche se gli interpreti hanno scontato – a eccezione di Longo, ben avvezzo a calcare le scene – la mancanza di professionismo, specie nell’uso della voce, la loro identificazione con i personaggi storici rappresentati è stata particolarmente efficace.
L’acme è stata toccata nelle reazioni seguite alla conoscenza, tramite la BBC, della notizia dello scoppio dell’atomica su Hiroshima, che provoca in tutti un grande stupore, misto all’invidia per chi è arrivato prima di loro all’atteso risultato e al timore per le conseguenze che questo evento unico avrà anche nelle vicende di ciascuno. In altri termini, viene messo in scena in questo frangente il problema cruciale del rapporto tra ricerca scientifica, potere e guerra, che ha raggiunto nel 1945 il suo punto di non ritorno. Un tema sul quale non mancano ricerche e testimonianze, come la straordinaria biografia di Robert Oppenheimer scritta da Kai Bird e Martin J. Sherwin Bird, premiata con il Pulitzer nel 2006 – Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato (2005), tr. it. di E. Vinassa de Regny e A. Vinassa de Regny, Garzanti, Milano 2007, o la ricostruzione delle vicende di dieci scienziati e protagonisti  della svolta nucleare, che raccontano le differenti versioni di vincitori e sconfitti, sulla realizzazione dell'arma atomica scritta da Stefania Maurizi: Una bomba, dieci storie. Gli scienziati e l'atomica Autore, Bruno Mondadori, Milano 2004.
Sulla scena tuttavia la presenza viva dei protagonisti, scienziati e interpreti, getta una luce più forte su quel momento in cui l’umanità si accorse di aver creato un ordigno che poteva distruggerla. Bello spettacolo dunque, che lascia un segno allo spettatore, e che si spera venga replicato a Firenze e altrove.


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