fbpx Una vicina turbolenta | Science in the net

Una vicina turbolenta

Tempo di lettura: 4 mins

Distante da noi circa due milioni e mezzo di anni luce, la galassia di Andromeda è tra gli oggetti celesti più distanti che possiamo osservare a occhio nudo. Da quando, a metà degli anni Venti del secolo scorso, Edwin Hubble riuscì a provare che quella Nebulosa era un sistema stellare indipendente simile alla Via Lattea, Andromeda è stata sempre guardata con particolare attenzione dagli astronomi. La possibilità di osservare in modo estremamente agevole una galassia dall'esterno permette infatti di ottenere molte informazioni che per la Via Lattea, dato che ci troviamo al suo interno, ci sono precluse.

Anche i cosmologi, però, sono particolarmente interessati ad Andromeda: la sua relativa vicinanza permette infatti di verificare se le caratteristiche di quel sistema stellare sono in linea con il modello di Universo proposto. Tra le tante previsioni di un modello cosmologico, infatti, devono certamente figurare anche quelle relative ai meccanismi di formazione delle galassie e alla loro evoluzione.

Secondo il modello standard a materia oscura fredda (il cosiddetto modello Lambda-CDM), la formazione delle galassie è un processo gerarchico governato dalla presenza della materia oscura. Nell'evoluzione delle galassie, però, gioca un ruolo chiave la loro successiva interazione gravitazionale con i sistemi vicini e la possibilità concreta che tali interazioni sfocino in processi di fusione (il cosiddetto merging). E' proprio in seguito a tali episodi che le strutture più massicce accrescono ulteriormente la loro stazza inglobando le strutture meno massicce. Una aggregazione che solitamente nelle galassie suscita la nascita di una nuova popolazione stellare, ma che lascia un segno indelebile anche nelle stelle già presenti, sconvolgendo in modo deciso quello che era il loro tranquillo orbitare prima dell'interazione.

A tal proposito ha sempre suscitato molta perplessità l'apparente regolarità e tranquillità delle orbite stellari della nostra Galassia. Secondo i cosmologi, infatti, 7 galassie su 10 di quelle simili per dimensioni alla Via Lattea e Andromeda sono state coinvolte negli ultimi 8 miliardi di anni in almeno un episodio di cannibalismo cosmico, catturando e inglobando una galassia satellite più piccola. Osservando la struttura della nostra Galassia, però, non si registrano le tracce dello scompiglio che un simile evento avrebbe dovuto innescare. Il suo disco ci appare relativamente sottile, dunque non mostra il tipico ingrossamento che una collisione galattica inevitabilmente produce.

Approfittando di due importanti campagne di accurata osservazione delle stelle di Andromeda, il progetto SPLASH (Spectroscopic and Photometric Landscape of Andromeda's Stellar Halo) realizzato con lo spettrografo DEIMOS che equipaggia i telescopi del Keck Observatory e il progetto PHAT (Panchromatic Hubble Andromeda Treasury) realizzato con l'impiego del telescopio spaziale Hubble, il team di ricerca coordinato da Claire Dorman (University of California - Santa Cruz) ha potuto calcolare le velocità di oltre 10 mila stelle di Andromeda. Per oltre la metà di queste stelle, proprio grazie all'apporto decisivo delle osservazioni di Hubble effettuate a sei differenti lunghezze d'onda, è stato possibile determinare l'età, permettendo a Dorman e collaboratori di scoprire un legame tra i moti stellari e le età delle stelle. I risultati sono stati presentati al 225° Convegno dell'American Astronomical Society tenutosi all'inizio di gennaio a Seattle (qui il paper completo).

L'analisi degli astronomi ha messo in luce che, mentre i moti stellari delle stelle più giovani sono relativamente ordinati e gli astri percorrono diligentemente il loro cammino attorno al centro della galassia di Andromeda, le stelle più vecchie sono caratterizzate da moti molto più disordinati. In altre parole, le stelle di Andromeda che appartengono alla popolazione più recente mostrano orbite più regolari e con velocità molto simili; non così le stelle più vecchie, che mostrano un intervallo di velocità molto ampio e dunque una maggiore dispersione spaziale. Per usare le parole di Claire Dormant, “se noi potessimo osservare il disco di profilo, le stelle che appartengono alla popolazione più ordinata sarebbero disposte in un piano molto sottile, mentre le stelle della popolazione più disordinata formerebbero uno strato molto più gonfio.

Secondo gli astronomi, questa dicotomia sarebbe la prova concreta che la galassia di Andromeda ha effettivamente sperimentato nel suo recente passato quel meccanismo di cattura e inglobamento di sistemi stellari più piccoli previsto dagli scenari cosmologici. Le orbite delle stelle che a quell'epoca erano già formate sono state messe in subbuglio, mentre quelle delle stelle formatesi successivamente non ne sono state ovviamente interessate. L'inevitabile confronto con la nostra Via Lattea e la sua tranquillità orbitale ci indica insomma che la normalità nel cammino evolutivo delle galassie è quella, turbolenta, della galassia di Andromeda.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Neanderthal genes made Covid more severe

A primitive man with a spear, blazer and briefcase

The Origin study from the Mario Negri Institute has identified genetic variants from Neanderthals in the DNA of those who had the most severe form of the disease.

Image credits: Crawford Jolly/Unsplash

A small group of genes that we inherited from the Neanderthal man - and from his romantic relationships with our sapiens ancestors - exposes us today to the risk of developing severe Covid. This is the unique conclusion of the Origin study by the Mario Negri Institute, presented yesterday in Milan and published in the journal iScience.