Competere
nel sistema dell’economia della conoscenza significa anche saper proteggere i
prodotti dell’ingegno con brevetti e marchi di fabbrica. Il brevetto è il più
importante tra i mezzi a disposizione dei ricercatori universitari e degli
Atenei per trarre vantaggio in termini economici, e non solo, dai risultati più
innovativi della ricerca scientifica, eppure in Italia è poco utilizzato
rispetto agli altri paesi.
Secondo
l’ultimo rapporto VQR 2004-2010, nel corso di tale periodo il numero di
brevetti registrati nel nostro Paese è aumentato con un indice di crescita pari
a 7,8 e, in sei anni, gli atenei italiani hanno raccolto in tutto 1321 brevetti.
Tra
il 2002 e il 2011 sono 1.081 le domande di brevetto depositate dagli enti di
ricerca pubblica italiana e dalle università presso l’Ufficio europeo dei
brevetti (EPO). La nostra ricerca detiene una quota del 2,7% delle domande
italiane di brevetto europeo ma registra un incremento medio annuale del 9%, pari
a una media di 108 nuove scoperte l’anno.
Il
10,8% degli oltre mille brevetti depositati all’Epo si deve all’attività del
Cnr (con 117 domande) seguito dal Politecnico di Milano (86), dall’Università di
Roma La Sapienza (49), dall’Università di Milano (47) e dall’Ateneo di Bologna
(37).
Secondo l’AIRI poi, in Italia nel 2011 sono
stati depositati all’Ufficio Europeo Brevetti 37,4 brevetti ogni mille
ricercatori. Un numero molto basso se confrontato con i 77,5 della Germania.
Tra gli istituti di ricerca italiani più competitivi in questo settore compare il Politecnico di Milano che alcune settimane fa ha brevettato i risultati di una ricerca innovativa nel campo della nautica. L’équipe di ricerca guidata da Fabio Fossati ha progettato e realizzato vele che rispondono perfettamente alle reali esigenze di utilizzo. L’invenzione consiste in una speciale telecamera che deve essere posizionata sul piano di coperta dell’imbarcazione, in posizione tale da poter riprendere l’intera superficie della vela per acquisirne la forma tridimensionale. Il dispositivo utilizza per la ripresa delle vele la tecnologia del “tempo di volo” (TOF – Time of Flight). Grazie a questo metodo sarà possibile analizzare il comportamento delle vele mentre sono issate e soggette all’azione del vento, offrendo in tal modo indicazioni molto utili per ottimizzarne la struttura, i profili, le regolazioni e, più in generale, la forma. Questo brevetto potrebbe aiutare a risollevare il mercato della vela italiano che dal 2005 al 2013 ha visto un calo delle vendite di circa l'80%. “Il prossimo passo sarà quello di sviluppare un piano di promozione del brevetto cercando di organizzare incontri anche con le aziende del settore. La fase post-deposito del brevetto è cruciale e i ricercatori non devono essere lasciati soli ma aiutati nella definizione del valore del brevetto e del frame giuridico migliore”, afferma Roberto Tiezzi del Servizio Valorizzazione Ricerca del Politecnico di Milano.
La ricerca del Politecnico è stata possibile grazie al finanziamento di 2,5 milioni di euro da parte di Fondazione Cariplo. Aspetto importante dei progetti finanziati dalla Fondazione è il fatto che tutti i beneficiari dei contributi sono tenuti ad aderire alla policy in tema di tutela della proprietà intellettuale. “La Fondazione vuole essere informata dei risultati relativi alle ricerche che finanzia in tutte le sue fasi – spiega Diana Pozzoli di Fondazione Cariplo – “ma anche al termine dei progetti vogliamo essere coinvolti negli eventuali sviluppi che uno studio può avere come la registrazione di un brevetto. Solo così possiamo avere un indicatore della bontà del nostri investimenti.” Altro elemento da sottolineare della policy di Cariplo sta nel fatto che qualora il gruppo di ricerca non voglia procedere ad alcuna forma di tutela delle proprie invenzioni, Fondazione si impegna a rendere pubblica e accessibile a tutti l’innovazione prodotta.
Nel caso in cui una ricerca porti alla registrazione di un brevetto, come nel caso del Politecnico di Milano, l’ente beneficiario del finanziamento si impegna a proseguire una politica di gestione “etica”. Ma cosa significa “gestione etica”? “Dai brevetti co-intestati, Fondazione Cariplo non ha nessuna pretesa economica ma chiede solo ai ricercatori di preservare la finalità etica delle loro ricerche. Non possiamo permetterci, per esempio, che determinate scoperte possano essere adoperate per creare nuovi armi. La nostra gestione è nel pieno rispetto dei principi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”. La Policy prevede inoltre che gli utili prodotti dallo sfruttamento dei diritti di un brevetto vengano re-investiti. “Chiediamo ai nostri ricercatori di utilizzare almeno il 50% dei capitali ottenuti dalle loro ricerche in successive forme di ricerca e sviluppo”, sottolinea Pozzoli.
Risorse che possono arrivare quando, per esempio, un brevetto viene concesso in licenza d’uso. Più comunemente della vendita, infatti, la concessione in licenza di un brevetto a terzi consente di ricevere periodicamente delle retribuzioni (di solito si tratta di royalty) a fronte dell'autorizzazione all'utilizzo. Per tale motivo la concessione di una licenza può essere una strategia finanziaria molto valida dal punto di vista economico, particolarmente utile se il soggetto titolare del brevetto non si trova nella condizione di utilizzare il brevetto a fini produttivi. Inoltre tramite la licenza si rimane titolari del brevetto, detenendone il controllo e mantenendo la possibilità di stipulare eventuali ulteriori accordi per aree geografiche diverse o campi d’utilizzo della tecnologia differenti.
E’ quanto ha fatto il gruppo guidato da Leonardo Formaro e da Mariangela Longhi dell’Università degli Studi di Milano. Nel 2008, attraverso un finanziamento di 250mila euro da parte di Fondazione Cariplo, nell’ambito di un progetto inerente a nuovi materiali sono stati sviluppati nuovi catalizzatori.
Una delle applicazioni di tali catalizzatori, peraltro non la principale, riguardava lo sviluppo di elettrodi per celle elettrolitiche. Il progetto sviluppato in Statale ha portato a nuovi dispositivi catalitici esenti da Platino e altri metalli preziosi con buone caratteristiche per la riduzione elettrochimica di ossigeno. La preparazione impiega una soluzione contenente, tra l’altro, zuccheri e quindi i composti hanno un basso impatto ambientale e costi di produzione contenuti. “A distanza di un anno dalla registrazione del brevetto – spiega Chiara Soncini del Centro d'Ateneo per l'Innovazione e il Trasferimento Tecnologico dell’Università di Milano (UNIMITT) – siamo stati contattati da un’azienda lombarda interessata ad un applicazione elettrolitica del trovato, con la quale abbiamo negoziato un accordo per lo sfruttamento commerciale. Dopo una breve fase di latenza successiva alla firma del contratto, l’azienda ci ha fatto partecipi della strategia di sviluppo del trovato, coinvolgendo anche i nostri ricercatori, e ora confidiamo che si possa procedere al meglio allo sviluppo industriale dei catalizzatori. La collaborazione con partner industriali è fondamentale per finalizzare una ricerca che vuole essere innovativa e andare oltre alle prove su scale di laboratorio".
Abbiamo sottolineato come il nostro Paese sia indietro per numero di brevetti registrati, ma, a tale proposito, conta di più la quantità o la qualità? “Se guardiamo i parametri scelti dall’Anvur per la valutazione della ricerca – continua Soncini – non ci sono dubbi: un ateneo deve produrre molti brevetti (ma un brevetto pubblicato non è sinonimo di brevetto concesso ne tantomeno di brevetto trasferito). Se è certamente vero che un alto numero di brevetti è indice di investimento sull’innovazione, non è altrettanto vero che questo voglia dire alta qualità dei progetti. Quando si raccolgono e si citano dati, occorre essere consapevoli per rispondere a quali domande ed esigenze essi siano stati raccolti: in altri termini ritengo che non ci si debba limitare ai dati Anvur per misurare le attività di trasferimento tecnologico di un’università. All’Università degli Studi di Milano operiamo una selezione molto stretta dei brevetti da registrare: solo le ricerche più innovative e con effettive prospettive di impatto sociale e/o ambientale ed economico vengono brevettate. Nel 2014 su venti richieste di brevetti ne abbiamo registrato solo dieci”, afferma Chiara Soncini.
Il Politecnico di Milano nello stesso anno è risultata la prima università come numero di brevetti depositati. “Nel processo di selezione non possiamo considerare solo il livello scientifico della ricerca ma anche il possibile impatto industriale, un aspetto su cui poniamo grande attenzione. Per questo occorrono strutture apposite, come gli Uffici di Trasferimento Tecnologico (TTO), impegnate nel favorire il confronto dei ricercatori con il mercato. Una ricerca di grande rilievo scientifico non sempre, infatti, è in grado di interessare potenziali finanziatori, in assenza di un risvolto applicativo apprezzabile dall’Industria che va vagliato sul campo”, conclude Roberto Tiezzi.