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Planck smentisce BICEP2: non erano onde gravitazionali

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È passato quasi un anno da quando, nel marzo 2014, il team di BICEP2 – un esperimento situato in Antartide dedicato allo studio della radiazione cosmica di fondo (CMB) – ha elettrizzato la comunità scientifica con un claim eccezionale: la scoperta di modi B dovuti a onde gravitazionali primordiali nelle mappe di polarizzazione della CMB.
La straordinarietà stava nel fatto che rappresentava la prova schiacciante di una delle teorie più importanti di tutta la cosmologia: l’inflazione.

Niente inflazione (per ora)

Dubbi sulla bontà del lavoro fatto dal team di BICEP2 sono comparsi presto, ma il vero passo indietro avvenne in settembre, quando il gruppo di Planck pubblicò dei risultati decisamente sfavorevoli: il segnale osservato da BICEP2 sarebbe infatti compatibile con l’effetto delle polveri presenti nella nostra galassia. In seguito i due gruppi hanno cominciato a collaborare per un’analisi congiunta dei dati raccolti da entrambi gli esperimenti.
La collaborazione tra i due gruppi “rivali” è stata una scelta naturale, dal momento che BICEP2 e Planck presentano forti elementi di complementarità: il primo è più sensibile, ma il secondo ha a disposizione ben sette canali di osservazione in grado di misurare la polarizzazione della CMB. In questo modo, il satellite europeo è stato in grado grado – combinando i suoi dati con quelli di BICEP2 – di discernere la natura dei modi B osservati dall’esperimento in Antartide.
Ora l’attesa è finita: la collaborazione tra i due gruppi di ricerca ha finalmente rilasciato un articolo, sottomesso alla rivista Physical Review Letters, che espone i risultati dell’analisi. E il risultato è chiaro e condiviso: quello che BICEP2 ha visto era dovuto a polveri galattiche, non a onde gravitazionali primordiali. I risultati sono sufficientemente solidi (si parla di 7σ di significatività statistica) da porre una volta per tutte la parola “fine” ai dubbi e ai dibattiti che imperversano dallo scorso marzo.
Questo risultato, sebbene largamente previsto, lascia un po’ di amaro in bocca. L’inflazione è una componente cruciale della nostra comprensione del cosmo, ma finora non ha mai ricevuto nessuna prova osservativa. Quella di BICEP2 sarebbe stata la prima, e avrebbe sicuramente dato dei riconoscimenti altissimmi. C’è da dire però che l’analisi di Planck non rappresenta in alcun modo una prova contro l’inflazione. Cosmologi e appassionati di cosmologia potranno quindi continuare a dormire sonni tranquilli. 

Un annuncio prematuro

A creare il “caso” non è stato un errore nei dati di BICEP2, ma nella loro analisi. Ce lo spiega John Kovac, il responsabile dell’esperimento: «Quando rilevammo per la prima volta il segnale ci affidammo ai modelli d’emissione di polvere galattica disponibili all’epoca. Modelli che sembravano indicare che la regione di cielo scelta per le osservazioni presentasse un contributo in polarizzazione dalla polvere assai inferiore al segnale da noi rilevato».
In realtà la faccenda sembra avere avuto più ombre di quante ne ammetta Kovac, e in generale pecca di troppa urgenza comunicativa. Prima di pubblicare un paper sulla questione e sottoporlo a peer-review, il team di BICEP2 ha annunciato pubblicamente la sua scoperta in una conferenza stampa, anticipata da un comunicato stampa che, non spiegando nulla, aveva una pura funzione di trailer. In conferenza stampa sono stati presentati dati, grafici e analisi statistiche dettagliate: insomma, abbastanza per far capire a tutta la comunità scientifica di trovarsi di fronte a qualcosa di grosso. L’affare più grosso – questa è stata l’impressione per tutti – dopo la scoperta del bosone di Higgs nel 2012.
Una strategia di comunicazione, insomma, decisamente aggressiva. La stessa, peraltro, usata dal Cern per comunicare la scoperta del bosone di Higgs. Ma quella era una situazione diversa, perché il Cern aveva usato i suoi stessi dati ed era nella posizione di affermare con certezza quello che stava affermando. Il Cern “aveva” la scoperta, BICEP2 la stava semplicemente “tentando”.
L’uscita di BICEP2 risulta ai limiti dello scorretto se pensiamo che l’analisi dei dati, per quanto condotta in maniera impeccabile da un punto di vista statistico, era stata fatta su dati provvisori e approssimativi raccolti da un semplice pdf durante un convegno sulle misure in polarizzazione di Planck. Non era abbastanza per fare un annuncio al mondo. Sono in molti a pensare che fosse assolutamente prematuro indire una conferenza stampa su una scoperta così importante senza aspettarne una validazione tramite peer-review (che – oggi lo sappiamo – avrebbe dimostrato la non-correttezza della scoperta), visto che i dati e i modelli utilizzati non erano tra i più raffinati.

Sembra, in conclusione, che il team di BICEP2 abbia avuto una grande intuizione e abbia voluto “metterci sopra il cappello” per assicurarsi la paternità della scoperta nel caso in cui si fosse rivelata corretta. Cosa non incomprensibile, visto che avrebbe con ogni probabilità fruttato dei Nobel. Diciamo che BICEP2 ci ha provato, ma non gli è andata bene.
Questa vicenda dimostra in ogni caso che la caccia al claim non paga nel lungo termine: ciò che paga, in scienza, è la collaborazione. È stata una grande lezione per tutti noi vedere come due gruppi rivali si siano uniti per condividere i propri dati e analizzarli insieme, in nome della verità e della conoscenza. È questo atteggiamento che dovremmo imparare da questa vicenda.

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