Trovare dei matematici
impegnati nella difesa e nello sviluppo della democrazia non è difficile,
soprattutto se intendiamo questo impegno come presenza nelle istituzioni civili
o come partecipazione alle vicende più drammatiche del proprio Paese quando si
avverte che la sua libertà è messa seriamente in
pericolo.
Una simile storia può
cominciare addirittura con Archimede, considerato unanimemente il più grande
scienziato dell’antichità. Siamo durante la seconda guerra punica, con la
Sicilia che è terreno di scontro tra Romani e Cartaginesi e Siracusa che deve
essere punita per aver cambiato alleanze schierandosi dalla parte di Cartagine.
Le vicende dell’assedio romano sono raccontate dallo storico greco Polibio che
descrive come Archimede abbia partecipato attivamente alla difesa di Siracusa
mettendo a disposizione della città tutte le sue conoscenze matematiche e
preparando balestre e catapulte per colpire le navi della flotta nemica; aveva
poi fatto aprire nelle mura delle feritoie da cui gli arcieri potevano rendere
inoffensiva o comunque rallentare l’avanzata degli
assalitori. Dulcis in fundo aveva costruito una “mano di ferro”, una
gru dotata di una catena che terminava con un rostro in grado di sollevare la
prua delle navi nemiche che poi, lasciate cadere, venivano così rovesciate.
Sui campi di battaglia
Per venire a tempi più
vicini a noi e alla realtà italiana, la storia della nostra nazione comincia di
fatto con le guerre risorgimentali e gli uomini di scienza – i matematici in
particolare – partecipano sui campi di battaglia al movimento per
l’indipendenza e l’unità del Paese in tutto il ventennio in cui queste si
realizzano. L’episodio più famoso rimane quello del Battaglione universitario, affidato
al comando del matematico e fisico Ottaviano Mossotti, composto da docenti e
studenti dell’Università di Pisa, che combatte nella battaglia di Curtatone e
Montanara della prima guerra d’indipendenza.
Ma non si può dimenticare l’intervento alle Cinque giornate di Milano di Francesco
Brioschi e il contributo alla difesa di Venezia di Luigi Cremona, premiato poi
per il suo comportamento con i gradi di caporale e di sergente.
Neppure si può dimenticare
Luigi Federico Menabrea, docente di Scienza delle costruzioni all’Università di
Torino, che partecipa con il grado di tenente generale del Corpo del genio alla
seconda guerra d’indipendenza e l’anno dopo all’assedio della fortezza di
Gaeta.
Molti di questi
studiosi, terminata la fase più eroica dell’epopea risorgimentale, torneranno a
vestire gli abiti borghesi e a riprendere la via delle aule universitarie.
Altri invece continueranno il loro impegno civile, trasferendolo dai campi di
battaglia al parlamento. È proprio il caso di Menabrea che, nel nuovo Stato
italiano, sarà ministro della Marina e dei Lavori pubblici prima di diventare
presidente del Consiglio dei ministri, a capo di tre successivi gabinetti dal
1867 al 1869. Ma è anche il caso di Brioschi (sottosegretario alla Pubblica
Istruzione), di Cremona (ministro dello stesso dicastero) e di numerosi altri
matematici eletti deputati o nominati senatori.
A cavallo tra
Ottocento e Novecento la passione civile dei matematici è ben rappresentata
dall’attività di uno dei loro maggiori esponenti, Vito Volterra, anche lui
nominato senatore (nel 1905), che con la fondazione della SIPS (Società
Italiana per il Progresso delle Scienze) sviluppa il tema dei rapporti tra
scienza e società sia attraverso alcune originali riflessioni, sia con delle
iniziative che pongono con determinazione la questione della necessaria presenza
del mondo scientifico all’interno della conduzione del giovane Stato italiano.
La sua diventa una scelta militante a favore della democrazia durante il
fascismo, quando si tratta di opporsi alla dittatura dai banchi del Senato e
quando, nel 1931, occorre un particolare coraggio per far parte di quella
sparuta schiera di docenti universitari che rifiuta di sottoscrivere il giuramento
di fedeltà a Mussolini e al suo regime.
È un impegno – questo
a favore del binomio scienza e società, per diffondere la consapevolezza dei
loro rapporti e l’opportunità per entrambi i contraenti di approfondirne
intensità e modalità – che vede importanti testimonianze anche nel secondo
dopoguerra. Ecco perché, alla luce dei nomi fatti e di altri che si potrebbero
fare, in Italia e in altri Paesi, non risulta particolarmente difficile parlare
di matematici e democrazia.
Più impegnativo è
affrontare il tema di matematica e
democrazia. L’accostamento appare proibitivo, quasi un ossimoro, ed è
sicuramente inusuale perché unisce due termini che sembrano appartenere a sfere
disgiunte: la Matematica evoca logica e certezze assolute; la democrazia
rimanda invece alle scienze morali, alla politica, alle sua passioni, alla sua
opinabilità. Eppure dei legami tra questi due mondi esistono; devono esistere
se pensiamo alla Matematica non come a un linguaggio esoterico ma come a una “normale”
attività umana di ricerca, inserita nel suo tempo e in determinati luoghi, necessariamente
collegata a tutti gli aspetti delle società in cui si sviluppa con interazioni
a volte più forti, a volte meno intense.
Il ruolo della formazione
Un primo aspetto di
questi rapporti riguarda l’insegnamento (e l’apprendimento) della Matematica.
In tutto il mondo, la disciplina figura tra le materie-base di ogni tipo di
istruzione e accompagna gli studenti per parecchi anni, in ciascuna fase della
loro formazione. In molti dei Paesi più sviluppati rappresenta una “forca
caudina” che non può essere aggirata: non è la sola e presenta una severità
diversa a seconda delle diverse tradizioni nazionali ma in ogni modo lo
studente che non raggiunge un certo livello nella sua preparazione matematica
non va avanti o procede a un ritmo più lento o, ancora, viene instradato su
percorsi periferici. Sappiamo che non c’è una perfetta identificazione tra
successo scolastico e avanzamento sociale con il raggiungimento di posizioni di
rilievo e la possibilità di realizzare carriere più o meno brillanti, ma la
correlazione rimane.
Il docente di Matematica ha nelle sue mani una delle
chiavi principali che permette di aprire determinate porte e stabilire chi è
meritevole e chi no di proseguire gli studi e di entrare nel mondo del lavoro a
un livello interessante. Con un’enfasi ridimensionata solo dalla crescente
consapevolezza di tutte le criticità che accompagnano i sistemi scolastici
nella loro funzione selettiva, possiamo dire che i professori di Matematica
continuano a giocare un ruolo importante nel funzionamento dell’ascensore
sociale e nella selezione della classe dirigente, insomma nel funzionamento
della democrazia.
Questo ruolo va al di
là del “pezzo di carta” – diploma, laurea, titolo di dottorato che sia – che lo
studente consegue al termine dei suoi studi e per il quale la prova di aver
acquisito determinate competenze matematiche rimane importante. Se democrazia
vuol dire partecipazione e quest’ultima vuole essere effettiva e non ridursi a
un semplice slogan, bisogna mettere i cittadini in grado di capire il mondo e
quella società alla cui costruzione vogliono e devono partecipare.
Se già il
mondo di Galileo parlava in linguaggio geometrico, un’educazione scientifica
oggi appare condizione necessaria per esercitare il diritto di cittadinanza. Se
non si conoscono gli elementi fondanti del linguaggio e del ragionamento
matematico e scientifico, si rimane esclusi da aspetti non secondari della vita
e della comunicazione di tutti i giorni; non si colgono dinamiche importanti o
se ne comprendono solo gli aspetti più superficiali. Matematica e democrazia,
Matematica ed effettiva possibilità di esercitare il diritto di cittadinanza:
una pesante responsabilità per i docenti di Matematica che, attraverso le loro technicalities
e al di là di queste, si trovano in prima linea nel formare
le competenze e l’attitudine a una mentalità critica delle future generazioni.
Libertà, partecipazione e verifica
Emerge, da quanto
detto, un legame con la democrazia che progressivamente caratterizza la
Matematica in un modo specifico. La Matematica è democratica!
Lo è nel suo giocare a
carte scoperte e nel mettere tutti in grado di intervenire e di decidere se un
ragionamento è corretto o meno. La partecipazione alla verifica della
bontà del processo deduttivo, e quindi del risultato ottenuto, è effettiva
perché tutti possono accedere alla conoscenza degli assiomi iniziali e delle
regole usate per svilupparli. Non solo: la libertà con cui questi assiomi sono
stati scelti trasmette il messaggio che non esiste un unico modo di intervenire
sul reale; non c’è a priori in Matematica nessun veto su costruzioni diverse e
alternative a quelle magari dominanti. Nessun veto iniziale ma, nel contempo,
ci si deve aspettare una verifica rigorosa di come la costruzione si
sviluppa e degli esiti cui perviene.
I matematici sono riusciti persino a inventarsi un mondo in cui per un punto
passa più di una retta (o nessuna) parallela a una retta data. È un messaggio
di fiducia sulle possibilità di costruire nuovi mondi. È un messaggio di
libertà per inventarsi nuove società e nuove democrazie. Ma è anche un
insegnamento di rigore e di serietà: i nuovi
mondi, le nuove società ecc. ecc. non possono essere solo sognati, auspicati,
invocati; bisogna saperli costruire e la costruzione, che magari richiede tempi
non brevissimi come nel caso delle Geometrie non euclidee, deve funzionare!
Tratto da Scienza & società - Scienza e Democrazia, Editore Egea