Il 16 marzo 2015, a cura delle Biblioteche di Roma, nella Biblioteca Europea è stato presentato l’Annuario di Observa per il 2015, in anteprima romana dopo la presentazione a Torino del 13 febbraio.
I freschissimi dati sulla situazione della scienza e della cultura scientifica nel nostro paese presentati da Giuseppe Pellegrini, co-curatore del volume e sociologo a Padova, sono stati discussi con Luigi Berlinguer, Andrea Cerroni, sociologo a Milano-Bicocca, Adriana Valente, ricercatrice dell’IRPPS CNR.
Moderava Pietro Greco, giornalista scientifico e scrittore. Anche l’uditorio - presenti ricercatori, studiosi, insegnanti - ha partecipato in maniera vivace. Rimandando allo scorrevole ma denso volume di Observa e al video che prossimamente sarà messo in linea dalla Mediateca Roma, vorrei limitarmi qui a un aspetto del volume che mi sembra particolarmente preoccupante, incrociandolo con dati derivanti da altre fonti.
Dal 2007 Observa monitora annualmente l’“alfabetismo scientifico” con tre domande standard, somministrate ad un campione rappresentativo della popolazione italiana dai 16 anni in su. Nel 2015 emerge che il 49%, pari a 25 milioni di persone, ritiene che “gli antibiotici uccidano sia in virus che i batteri”.
Si può ipotizzare dunque un uso distorto di questi farmaci. Il 43,9%, 23 milioni di persone, pensa che gli elettroni siano più grandi degli atomi rivelando di non avere la benché minima idea di come sia fatto un atomo, di cosa sia la corrente elettrica ecc. In che modo, queste persone avranno decifrato la scoperta del bosone di Higgs, la vicenda del neutrino superluminale o interramento da parte della camorra di rifiuti radioattivi? Infine il 40,4%, pari a 21 milioni, pensa che il sole sia un pianeta illustre parere degli antichi e dei medievali smentito dalla rivoluzione copernicana [OBSERVA 2015, p. 11]. Il dato a mio parere più impressionante riguarda i laureati, che in Italia sono pochissimi al confronto con altri paesi sviluppati, il 13% nel 2014 della popolazione ultraquindicenne, pari a 6.619.381 [fonte ISTAT]. Observa rileva che il 45%, cioè 3 milioni di laureati, sbaglia almeno una delle tre domande [OBSERVA 2015, p. 12].
Così nemmeno la laurea assicura un livello sufficiente di acculturazione scientifica; livello che, ci assicura sempre Observa, tende poi a scendere rapidamente con l’aumentare dell’età ed il diminuire del grado di istruzione.
Ma come si colloca l’Italia tra i paesi europei ed in generale tra quelli più sviluppati? Troviamo la risposta nell’indagine OCSE-PIAAC (International Programme for Assessment of Adult Competencies), condotta tra il 2011 e il 2012 su ampi campioni di adulti tra i 16 e i 65 anni, nei paesi maggiormente sviluppati per misurarne le competenze in Literacy e Numeracy.
L’Italia è risultata ultima per Literacy e penultima per Numeracy, sia che si tenga conto solo dei paesi dell’Ue, sia che si considerino anche gli altri paesi OCSE.
L’indicatore di Literacy misura qui «l’interesse, l’attitudine e l’abilità degli individui a utilizzare in modo appropriato gli strumenti socio-culturali, tra cui la tecnologia digitale e gli strumenti di comunicazione per accedere, gestire, integrare e valutare informazioni, costruire nuove conoscenze e comunicare con gli altri, al fine di partecipare più efficacemente alla vita sociale», mentre quello di Numeracy rileva «l’abilità di accedere, utilizzare, interpretare e comunicare informazioni e idee matematiche, per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita adulta» [ISFOL 2013, p. 13].
È evidente che per avere una valutazione complessiva dell’acculturazione scientifica è bene integrare entrambi gli indicatori, cosa non difficile perché i due vettori hanno un’alta correlazione lineare (tenendo conto solo dell’Europa si ha 0,90). Il grafico 1, in cui i due indicatori PIAAC sono normalizzati, mostra chiaramente la criticità della situazione italiana.
L’indagine PIAAC registra lo stesso fenomeno individuato da Observa, ovvero il decrescere dei punteggi con l’età dei cittadini. Come si vede nel grafico 2a e 2b, il fenomeno si verifica in tutta l’area OCSE. I punteggi degli italiani, distanti dalle medie OCSE in tutte le età, decrescono in maniera rapidissima dopo i 35 anni.
Per la Literacy addirittura dopo i 24. Considerando i recenti innalzamenti dell’età pensionabile, se ne evince che la politica italiana ha intrappolato la forza lavoro a bassa acculturazione generale e scientifica, mentre i più giovani, che hanno performance inferiori dei coetanei esteri ma superiori ai loro genitori e nonni, restano disoccupati. La conferma viene anche dal Rapporto sulla situazione sociale del paese 2014 del Censis: per dissipazione di capitale umano, l’Italia è al 37° posto nel mondo, mentre in Europa fanno peggio di essa solo Polonia, Ungheria e Grecia [CENSIS 2014, p. 17].
Questi dati dicono, a mio parere che, nell’agenda della politica della scienza italiana, oltre al miglioramento del sistema educativo e alla promozione della ricerca, dovrebbe essere posto all’ordine del giorno il lifelong learning e in particolare l’adult learning, un apprendimento rivolto a tutti coloro che sono ormai fuori delle istituzioni formative formali: ai giovani laureati e diplomati senza lavoro affinché le loro competenze non divengano obsolete nella tristezza e nell’isolamento, e ai meno giovani perché la loro cultura cresca.
Si tratta di un tema praticamente assente anche dall’agenda politica dell’Ue, se si considerano gli scarsi finanziamenti che il Lifelong Learning Programme (LLP) 2007-2013 ha destinato a questo specifico aspetto, con il magro 4 % investito sul progetto “Grundtvig”, privilegiando invece progetti che coinvolgono chi va a scuola e all’università.
L’idea della tavola rotonda del 16 marzo è da comprendere in una strategia di lungo respiro di lifelong learning avviata dalle Biblioteche di Roma attraverso il loro ufficio Biblioscienze, per promuovere la formazione scientifica di tutti e specialmente di chi è fuori delle istituzioni formative formali.
In questo ambito è rientrata anche la presentazione, il 2 marzo, presso la biblioteca Mandela, nel popolare quartiere di San Giovanni, del libro di Pietro Greco su La Scienza e l’Europa. Non ne ho ancora capito a fondo le ragioni, ma si tratta di un libro incantato, emana un fascino misterioso che rapisce il pubblico. Forse perché vi si parla di Europa ed insieme di Italia in maniera europeissima ed insieme italianissima, ma anche meridionalistica. Un libro che fa sognare un futuro radioso per la nostra Italia, riportandoci ad un passato in cui la scienza era l’ospite illustre e coccolata nelle corti di imperatori come Federico II. Forse il libro ha catturato il sogno stesso di Federico per il nostro paese e l’Europa.
Come sempre negli incontri di Biblioscienze, ha prevalso il dialogo con un pubblico vario, studiosi insieme a quelli che un tempo si sarebbero detti uomini della strada, ricreando un dibattito sereno, curioso, empatico, col contrappunto di qualche discorde armonia, un’atmosfera conviviale.
Come far passare contenuti scientifici ad adulti carichi di preoccupazioni che inchiodano all’attimo presente? La conversazione con un autore intelligente, appassionato, l’immersione in un clima di cultura alta è utilissima, ma bisogna cercare anche altre strade. Una di queste è stata percorsa nel mese di novembre 2014 con la prima serie del ciclo BiblioFilmScienza. Conoscere la scienza attraverso l’occhio della cinepresa, con un focus sul “Mondo dei matematici”. Gli spettatori, 80-90 circa ogni volta, amano vedere film in compagnia, su grande schermo. C’è qualche giovane, pochi uomini di mezz’età, ma soprattutto signore, di quelle a cui piace rivedere Anna Magnani.
Un editore di cose scientifiche teme questo pubblico. Come potrebbero interessargli le storie raccontate in Will Hunting, A Beautiful mind, The Proof? Quelle son cose da giovani, da proiettare in un dipartimento di matematica. Non è così: sorprendentemente le signore di mezza età sono state rapite dall’umanità che emana da questi tre film. E desideravano il detestato dibattito morettiano.
Un’altra sperimentazione è stata BiblioTeatroScienza. Conoscere la scienza nei panni degli scienziati.
Nella Biblioteca “Guglielmo Marconi”, nel popolare quartiere omonimo, a due passi dalla Magliana, lo stesso della banda che ha seminato il terrore a Roma qualche decennio fa. Alla Marconi si incontra da tempo un gruppo affiatato di lettori ad alta voce. Sono adulti, prevalentemente donne, tra i 25 e i 65 anni. Si incontrano una volta la settimana con grande costanza, frutto di uno slalom tra i gravami della vita quotidiana. Normalmente leggono poesie o romanzi, da soli o per piccoli pubblici.
È stato proposto loro un testo di tematica scientifica: Farm Hall 45, di Giuseppe O. Longo. La pièce tratta di 10 scienziati nucleari che hanno lavorato all’atomica di Hitler. Nel 1945, nella Germania ridotta in macerie, vengono rapiti e segregati per oltre sei mesi, in una fattoria nei dintorni di Cambridge, Farm Hall. Non gli vengono comunicate accuse; sono lasciati lì, ignari del loro destino, mentre sono spiati senza che essi sospettassero di nulla (“gli inglesi non sono di certo la Gestapo!”). Si ricrea qualcosa di simile al Grande fratello televisivo, ma vero.
Emergono complesse dinamiche di gruppo: tensioni, complessi di colpa, riflessioni sulle responsabilità degli scienziati, scoramenti, tentativi di tirarsi su a vicenda o di scaricare le colpe l’uno sull’altro, si negozia quasi senza volerlo una verità comune dei fatti. Le audio-registrazioni, infine, sono state rese pubbliche. E Giuseppe O. Longo, triestino d’adozione, ora a Gorizia, da sempre con un piede in Italia e uno nella Mitteleuropa, con uno nelle astrazioni della teoria matematica dell’informazione e uno nella narrativa, ne ha fatto una pièce teatrale.
Sarebbe stata adatta questa pièce per un gruppo di persone non attori professionisti?
Nel dicembre scorso qualcosa di simile era stato fatto a Firenze, ma lì gli interpreti erano pur sempre 10 scienziati veri. Come sarebbe andata con persone che, prima di prendere in mano il testo, poco o nulla sapevano di scienza e, sicuramente, niente di fisica nucleare? Oltretutto il gruppo era a schiacciante maggioranza femminile. Così i dieci scienziati tedeschi sono stati interpretati da dieci donne italiane (un presagio per una scienza più al femminile, speriamo).
Un membro del gruppo ha magistralmente curato le musiche; mentre il narratore aveva una voce tonante.
Un’esecuzione perfetta ed appassionata. La sensibilità adulta di queste persone ha saputo interpretare l’umanità istillata dall’autore nei personaggi, ha fatto risaltare la loro anima, ha compreso il senso intimo della pièce: riflettere sull’etica della scienza, tanto che i Lettori hanno voluto il seguente titolo: “Farm Hall 45. Le responsabilità della scienza”. Un risultato davvero felice.
Giuseppe O. Longo, a distanza, si era prestato a seguire l’adattamento del testo alla lettura, partecipando allo stesso entusiasmo che cresceva tra i Lettori ed è venuto ad assistere all’interpretazione romana, trascinato infine nel gorgo di un lungo dibattito finale.