Sono circa trecentomila i professionisti italiani che attualmente lavorano all'estero, ma certamente il numero che include anche i ricercatori è sottostimato. Non bisogna dimenticare che queste persone sono state formate in Italia e hanno rappresentato per tutti coloro che pagano le tasse una spesa alta, che viene offerta gratuitamente ad altri paesi in concorrenza con noi. Non è certo un buon affare.
E' stata annunciata
recentemente una nuova legge che segue ad altre di simile natura ma risultate
inefficaci.
La nuova legge alleggerisce le tasse del 30 percento ai professionisti che
desiderano ritornare in Italia.
Pur con tutta la buona volontà che la anima, la legge, almeno per il mondo
della ricerca, è completamente sbagliata per alcune ragioni qui sotto riportate.
Anzitutto, il problema
della ricerca italiana non è quello di perdere ricercatori italiani -
certamente molto grave - ma quello di perdere addetti alla ricerca, perché per
milione di abitanti siamo circa la metà della media degli Stati appartenenti
all'Unione Europea.
In un mondo «globale» non è importante se siamo tutti italiani o con una forte
componente straniera: è importante avere una massa critica per essere competitivi.
Perché scappano i ricercatori italiani e non vengono gli stranieri? Perché il
Paese Italia non è attrattivo: siamo circa al 30° posto nella scala
internazionale. Mancano le infrastrutture, mancano gli incentivi ed abbondano
invece ostacoli di tutti i tipi. Alcuni ideologici, come la impossibilità di
lavorare su OGM (organismi geneticamente modificati), la difficoltà ad effettuare
sperimentazione animale o la mancanza di allevamenti di alcune specie animali,
altri di tipo burocratico. Tonnellate di carta per ogni permesso per effettuare
ricerche, tempi biblici per ottenere la possibilità di effettuare studi clinici
controllati o ritardi in- sostenibili nei rimborsi IVA.
C'è un altro aspetto fondamentale: i ricercatori che ritornano in Italia quali
fondi troveranno per svolgere le loro ricerche? La spesa, si dovrebbe dire
l'investimento, per effettuare ricerca è una delle più basse d'Europa
rispetto al prodotto interno lordo. In questi anni i tagli sono stati continui.
A parte alcune charities, come AIRC, che permettono la sopravvivenza per la
ricerca oncologica e che, analogamente a Telethon, permettono il ritorno di
ricercatori, ma con dote (non con sconti fiscali!) per effettuare ricerca, lo
Stato brilla per la sua assenza e per la sua inattendibilità. Come si fa ad
attrarre i ricercatori a ritornare in Italia quando non si sa il tempo in cui
avverranno i pochi bandi concorso che ancora esistono? Si stanno utilizzando
attualmente i bandi del 2012-2013. E' non solo la disponibilità di fondi che
crea attrattività, ma è anche la regolarità nei tempi di espletazione dei bandi
che crea sicurezza e possibilità di programmazione.
Queste sono le cose di cui questo Governo, per molti aspetti così dinamico,
deve occuparsi, ascoltando chi ha esperienza nell'organizzazione della ricerca
scientifica e con la convinzione che la ricerca è essenziale per lo sviluppo culturale
ed economico di un Paese. Solo con l'incentivo delle ritenute fiscali qualcuno
ritornerà, ma saranno prevalentemente i soliti a fine carriera o senza grandi
prospettive, che ritorneranno perché dopo tutto in Italia la qualità di vita è
ancora buona.
Articolo pubblicato su La Stampa il 22 luglio 2015