Le grandi avventure astronomiche del
futuro sono basate sull’utilizzo di schiere di antenne o di telescopi che,
agendo di concerto anche se posti in luoghi tra loro distanti, sono in grado di
raggiungere sensibilità 10 o anche 100 volte migliori degli strumenti attuali.
Io coordino la partecipazione
dell’Istituto Nazionale di Astrofisica nel CTA – Cherenkov
Telescope Array, una schiera di un centinaio di telescopi che
rappresenta il futuro dell’astrofisica di altissima energia che studia i fotoni
10 trilioni di volte più energetici di quelli della luce visibile, prodotti dai
fenomeni più violenti che avvengono nell’Universo. I raggi gamma che verranno
rivelati da CTA non possono raggiungere il suolo. Una volta penetrati
nell’atmosfera, interagiscono con gli atomi che trovano sul loro cammino e
producono una cascata di particelle secondarie molte delle quali si muovono a
velocità superiore a quella della luce nell’aria (anche se la loro velocità
rimane sempre minore di quella della luce nel vuoto). Nel 1934, il fisico russo
Pavel Cherenkov notò che questo fenomeno produce una brevissima luminescenza
bluastra, concettualmente simile al boato sonico che accompagna il superamento
della velocità del suono: è quella che chiamiamo luce Cherenkov. CTA vedrà
proprio questa luce e, partendo dalle informazione che contiene, ricostruirà la
carta d’identità di ogni raggio gamma.
Ovviamente i nostri occhi non possono
vedere i lampi di luce bluastra prodotti dai raggi gamma celesti poiché si
tratta di fenomeni brevissimi (durano pochi miliardesimi di secondo) e molto
deboli (meno di un decimillesimo del fondo del cielo notturno). CTA li rivelerà
grazie ai suoi grandi telescopi ed ai suoi strumenti straordinariamente veloci
e sensibili. Il CTA avrà anche un’altra capacità: grazie alla molteplicità dei
telescopi, raccoglierà molte immagini della luce prodotta da ogni singolo
fotone gamma, permettendo di determinare con precisione la sua direzione
d’arrivo. (se siete incuriositi da questo tipo di astronomia vi consiglio di
visitare il nostro sito
divulgativo).
Bisogna riuscire a fare telescopi a
basso costo equipaggiati con rivelatori di grande sensibilità capaci di vedere
i segnali brevissimi che ci interessano, poi bisogna imparare a gestire un
diluvio di dati, gran parte dei quali si riferisce a luce Cherenkov prodotta da
raggi cosmici che nell’atmosfera si comportano esattamente come i fotoni di
alta energia, ma sono molto più numerosi. Poiché li potremmo confondere con i
raggi gamma li consideriamo rumore.
In altre parole, se vogliamo
sfruttare al meglio i nostri telescopi dobbiamo risolvere il collo di bottiglia
dell’analisi dei dati che saranno tantissimi e affogati dal rumore, ma andranno
esaminati in tempo reale per rendersi conto di quando nell’universo succede
qualcosa di veramente interessante, oppure se c’è un malfunzionamento nella
strumentazione, che pure deve essere seguita in tempo reale.
LA REGOLA DELLE “4 V”
Il grande volume dei dati prodotti dai telescopi del futuro come CTA sta ponendo l’astronomia di fronte a nuove sfide. Una di questa è quella che gli esperti chiamano il problema dei “Big Data”, riassunto dalle 4 V (che stranamente sono uguali in italiano ed in inglese).
1. Volume: la quantità di dati da analizzare;
2. Velocità: si riferisce alla velocità di generazione dei dati, collegata con la necessità di analizzare i dati in tempo reale;
3. Varietà: le diverse informazioni che devono essere acquisite e analizzate contemporaneamente;
4. Veridicità: separare il segnale (i raggi gamma) dal rumore (i raggi cosmici).
In più noi sappiamo che i nostri telescopi devono lavorare in
zone desertiche lontani da grandi centri di calcolo con possibilità di
connessione che certo non potrebbero permettere di trasferire tutti i dati.
L’analisi, almeno quella immediata, va fatta in loco con macchine che possono
contare su una potenza limitata.
Da qui la necessità di trovare macchine dalle grandi prestazioni
ma di poco ingombro e di pochissimo consumo che ci permetteranno di fare
l’analisi in tempo reale dei dati, e anche di trovare nuove soluzioni ai nostri
problemi organizzativi, che non sono da poco. Per minimizzare le spese di
gestione e la necessità di personale in loco, abbiamo anche cominciato a
chiederci come ottimizzare la gestione dei nostri telescopi tenendo sotto
controllo tutti i loro sottosistemi. Ci sarebbe bisogno di un sistema
intelligente ed amichevole, che ci aiutasse nella gestione remota del nostro
osservatorio avvisandoci quando si verificavano anomalie che facciano presagire
una prossima rottura.
WATSON E IL COGNITIVE COMPUTING
In questa ricerca abbiamo parlato
anche con IBM, che, grazie ad una lunga tradizione di collaborazione con
progetti di astronomia, si è dimostrata sensibile alle nostre istanze. Così
abbiamo scoperto che il cognitive computing poteva essere l’approccio giusto
per risolvere i nostri problemi. Confessando senza vergogna la mia ignoranza in
materia, mi sono documentata e ho scoperto Watson
e la nuova prospettiva della collaborazione uomo macchina.
Mentre i computer con i quali ho
sempre lavorato io sono programmati per fare certe operazioni, più o meno
lunghe e difficili, Watson è stato progettato per poter rispondere a delle
domande formulate in linguaggio naturale sulla base di biblioteche di
informazioni che ha precedentemente acquisito.
Il nocciolo del problema sono gli algoritmi che permettono di
comprendere il contesto della domanda. Come confronto immediato, pensiamo che
Google ricerca sulle parole ma non è in grado di rispondere ad una domanda e
men che meno comprenderne il contesto. Una volta capita la domanda, Watson
cerca le possibili risposte e le ordina in base alla probabilità che siano
corrette (a suo giudizio, naturalmente). Dopo anni di tentativi, il fenomeno
Watson (che prende il nome dal primo CEO di IBM non dal collaboratore di
Sherlock Holmes) è esploso nel 2011, quando la macchina ha battuto due campioni
nel quiz televisivo Jeopardy.
IBM Watson: Final Jeopardy! and the Future of Watson
Guardando il video (un po’
IBMcentrico) si capisce che Watson non sempre afferra il significato delle
domande che sono volutamente complicate, tuttavia il suo enorme bagaglio di
conoscenza, insieme alla potenza di calcolo e all’abilità dei suoi preparatori,
alla fine lo portano alla vittoria.
Era l’esposizione mediatica che IBM
voleva per lanciare il cognitive computing anche se è doveroso riconoscere che,
dal punto di vista energetico, Watson è straordinariamente meno efficiente del
cervello umano. Nei momenti più intensi di Jeopardy, i computer dietro a Watson
consumavano 85 kwatt contro i 20 watt del cervello di un umano.
Una volta acquisita la capacità di
apprendimento statico (leggo tutte le info richieste e le metto in relazione
tra loro per rispondere alle domande) il passo successivo era passare
all’apprendimento dinamico grazie al quale imparo sulla base di quello che faccio,
per esempio imparando dalle scelte giuste e da quelle sbagliate che ho fatto.
E’ su questo secondo approccio che si gioca la collaborazione uomo macchina con
Watson che viene visto come un consigliere sempre super aggiornato che risponde
alle domande di un umano.
WATSON E’ UN MEDICO, UN BROKER, UNO CHEF
Ovviamente tutti i campi della
conoscenza possono essere insegnati a Watson ma, comprensibilmente, alcuni sono
più commercialmente interessanti di altri. Tra le prime applicazioni di
Watson, il campo medico la fa da padrone, con qualche tentativo
anche in campo finanziario e nel mondo dei giocattoli.
Watson ha ingerito migliaia di
ricette da ogni parte del mondo insieme alle fondamentali nozioni della chimica
dell’accoppiamento dei sapori. Una volta acquisita la cultura culinaria, a
Watson è stato chiesto di proporre degli accoppiamenti nuovi elaborando ricette
già note oppure proponendone delle nuove. Scopo dell’esercizio era produrre
qualcosa di originale che fosse libero dai pregiudizi che ogni cuoco ha nel
retro della testa. La nonna ci ha insegnato che le patate vanno d’accordo con
il rosmarino, la tradizione anglosassone accoppia le uova al bacon e così via.
A Watson è stato chiesto di andare oltre gli accoppiamenti già noti. La lista
di ingredienti potenzialmente accostabili è stata quindi sottoposta allo
Istitute of Culinary Education di New York dove gli chef hanno lavorato sulle dosi
per arrivare a ricette gradevoli al palato, oltre che originali.
Così è nato Cognitive
Cooking with Chef Watson una sessantina di ricette che esplorano
inedite combinazioni di sapori. Il risotto alla zafferano con semi di finocchio
sfumato con vermut e gin, il Gazpacho andaluso con lo zenzero, croissant alla
vaniglia con sapore di porcini e un tocco di menta.
Confesso di non avere ancora provato nessuna delle ricette.
Purtroppo (per le persone normali) sono state elaborate da chef che passano la
loro vita in cucina e tendono a proporre ricette complicate e lunghissime da
fare. Tuttavia la lettura è sufficiente per incuriosire.
Con questi presupposti, sono sicura che, con un po’ di
pazienza, Watson potrà imparare la papirologia o l’astrofisica. Chissà che la
sua visione senza pregiudizi non ci aiuti a trovare la soluzione dei problemi
che resistono a tutti i nostri sforzi.
Pubblicato su Che Futuro