Distante poco meno di 1500 anni luce in direzione della
costellazione del Cigno, KIC 8462852
è una delle oltre 100 mila stelle che l’osservatorio spaziale Kepler tiene
costantemente sotto controllo. Costruito dalla NASA e lanciato nel marzo 2009,
Kepler misura a intervalli di circa mezz’ora la luminosità delle stelle affidate
alla sua cura (sparse in una zona di 115 gradi quadrati tra le costellazioni
del Cigno e della Lira) cercando possibili cali di luce dovuti al passaggio di
un pianeta davanti al disco stellare. Si chiama tecnica dei transiti ed è uno tra i più efficaci metodi di caccia
ai pianeti extrasolari messi in campo dagli astronomi. Non è un caso che
Kepler sia il re indiscusso delle individuazioni planetarie: oltre la metà dei pianeti
finora confermati sono infatti dovuti alle sue accurate misurazioni di luce.
L’incredibile mole di dati raccolte da Kepler non è facile
da gestire. Viene analizzata da potenti programmi che indagano sulla possibile
presenza di periodicità, ma qualcosa può sfuggire all’analisi automatica. Per
questo motivo nel dicembre 2010 venne lanciato il progetto Planet Hunters,
una grande scommessa sull'abilità delle persone non solo di individuare le
anomalie attribuibili a transiti planetari, ma di riuscire a farlo meglio delle
routine automatizzate. Scommessa vinta, come dimostra il numero di candidati
pianeti sfuggiti al software e il numero di pianeti la cui esistenza è stata
confermata grazie al lavoro di 300 mila volontari.
Tra le tante anomalie e stranezze individuate dai Planet
Hunters nei dati di Kepler, figuravano anche le diminuzioni di luce di KIC
8462852. Diminuzioni anomale non solo perché prive di periodicità, ma anche perché di entità davvero notevole:
in un caso il calo di luminosità era del 15% e in un altro raggiungeva il
valore record di oltre il 20%. Una vera esagerazione: anche ipotizzando un
pianeta della stazza di Giove, il calo di luce sarebbe intorno all’1%.
Del curioso caso di KIC 8462852 si è fatta carico Tabetha Boyajian (Yale University), che
con un gruppo di collaboratori - tra i quali un paio di Planet Hunters - ne ha
tratto uno studio proposto per la pubblicazione su MNRAS (qui il paper
originale). L’analisi è completa e molto dettagliata, finalizzata a
chiarire quale meccanismo possa essere in grado di provocare un simile calo di
luminosità e altri strani comportamenti della stella.
Boyajian esclude anzitutto che si possa trattare di un
qualche anomalia nei dati. L’analisi dei quattro anni di osservazione di Kepler
mostrano una stella che, a dispetto del suo tipo spettrale, è tutt’altro che
tranquilla. Le variazioni di luminosità non si limitano a quelle -
spaventosamente grandi - osservate intorno a 790 e 1520 giorni. L’esame più
dettagliato, infatti, mostra un gran numero di variazioni di luminosità di
minore intensità, ma senza alcuna periodicità e con profili tutt’altro che
regolari, il che rende impraticabile la loro attribuzione a un transito
planetario. Un comportamento bizzarro per un astro che, per quanto se ne sa,
dovrebbe trovarsi ormai in uno stadio evolutivo di maturità, dunque non più
soggetto alle bizze tipiche di una giovane stella.
I dati di Kepler indicano in molti casi una periodicità di
una ventina di giorni, ma tale periodicità è limitata a periodi di qualche
settimana e poi scompare. Impossibile, dunque invocare un piccolissimo pianeta
in orbita molto stretta. Impossibile anche chiamare in causa l’esistenza di
pulsazioni stellari, come pure il ciclo naturale di macchie solari, anche
perché la rotazione di KIC 8462852 è piuttosto rapida (una ventina d’ore). Insomma,
per quanto ci è dato sapere il motore di questa strana stella sembra proprio
non avere nulla di anomalo.
La notizia più inaspettata, però, viene dall’analisi della radiazione infrarossa di KIC 8462852. Tra le prime cause ipotizzate dagli astronomi per spiegare quegli imprevisti cali di luce, infatti, figurava la possibilità che la luce della stella fosse intercettata da nubi di polveri provenienti da impatti distruttivi tra oggetti planetari. Collisioni come quella che, miliardi di anni fa, portarono alla nascita della Luna sono in grado di generare enormi quantità di detriti. Si tratterebbe però di polveri calde, in grado di emettere radiazione infrarossa. Peccato che di tale flusso infrarosso nella radiazione di KIC 8462852 non vi sia traccia. Non a caso il nomignolo con il quale l’astro è stato ribattezzato è WTF star (da Where’s The Flux? - Dov’è il flusso?)
Nessuna spiegazione, dunque, per quei misteriosi cali di
luce? Non proprio.
Nello studio, infatti, Boyajian e collaboratori propongono
questo scenario: intorno a KIC 8462852 potrebbe esistere una vasta riserva di
comete - più o meno come la nostra Nube di Oort - soggetta a possibili
influenze delle stelle di passaggio e uno sciame
di comete dirottato verso le regioni più interne di quel sistema stellare e
distrutte dall’azione gravitazionale della stella potrebbe avere come
conseguenza proprio l’offuscamento della luce stellare rilevato da Kepler.
Uno scenario sicuramente plausibile, ma che lascia ancora
qualche aspetto problematico. Anzitutto si sta parlando di un evento piuttosto
raro e noi avremmo dunque avuto una bella fortuna a coglierlo sul fatto. Si
tratta inoltre un evento le cui tracce spariscono molto rapidamente, il che non
fa che aumentare ancor di più la fortuna che ci è capitata. Secondariamente, anche
uno sciame di comete dovrebbe comunque produrre un eccesso di radiazione
nell’infrarosso. La mancata rilevazione - finora - si potrebbe però giustificare
grazie al fatto che tale emissione è più lieve rispetto a quella della polvere.
Sembrerà strano, ma lo studio del team di Boyajian si ferma
a questa ipotesi. Nulla di più. Ma
allora, perché tanto clamore mediatico?
Per quello si deve chiamare in causa un secondo studio,
opera di Jason Wright (NASA Nexus for Exoplanet System Science)
e collaboratori e proposto per la pubblicazione a The Astrophysical Journal. I cinque autori avanzano l’ipotesi che
alcuni anomali cali di luce rilevati in alcune stelle da Kepler, tra i quali compare
anche la situazione di KIC 8462852, possano essere dovuti a megastrutture costruite da civiltà
extraterrestri. Lo studio è molto dettagliato e suggerisce i possibili modi
per individuare la vera natura di tali megastrutture e non confonderle con
altre cause più naturali quali, per esempio, i transiti planetari.
Praticamente, Wright chiama in causa quel tipo di struttura
che viene comunemente indicata con il termine di sfera di Dyson.
Piuttosto famosa nelle trame di fantascienza, tale struttura prende il nome da
quello di Freeman Dyson, l’astronomo
britannico che per primo la propose alla fine degli anni Cinquanta ipotizzando
che una civiltà aliena a corto di energia potrebbe ovviare a questa carenza
realizzando una struttura orbitante in grado di sfruttare al meglio l’energia
emessa dalla sua stella. Gli strani sbalzi luminosi di KIC 8462852 potrebbero
insomma essere la conseguenza di molteplici strutture artificiali (un Dyson swarm) in orbita intorno alla
stella costruite da una civiltà tecnologicamente molto evoluta.
Bisogna sottolineare che, senza dubbio, l’idea è molto
accattivante, ma per il momento rimane solamente una mera speculazione. Ovvio
che, al solo sventolare la bandiera di ET, molti si siano buttati a capofitto
sulla ghiotta notizia, ma è opportuno ricordare che proporre spiegazioni -
anche le più fantasiose - e verificare se possono essere plausibili o
assolutamente inaccettabili fa parte del normale
processo scientifico. Ben vengano, dunque, le speculazioni su possibili tracce
di civiltà extraterrestri, purché sia ben chiaro che quanto abbiamo osservato
nella luminosità di KIC 8462852 non è assolutamente una prova a favore della
loro esistenza.
Comprensibile che, in ambito scientifico, i più interessati
a verificare questa possibilità siano proprio i ricercatori del SETI Institute
(Search for Extraterrestrial Intelligence),
l’organizzazione che fa della ricerca di civiltà extraterrestri la sua mission. Poiché la presenza di strutture
artificiali intorno a KIC 8462852 e le attività connesse alla loro
realizzazione potrebbero essere associate a comunicazioni radio, il primo passo
che hanno fatto Boyajian, Wright e Andrew Siemion, direttore del SETI Research
Center presso l’University of California a Berkeley, è stato quello di cominciare
a utilizzare le 42 parabole dell’Allen Telescope Array. La possibilità
di coprire l’intera gamma di frequenze radio da 0.5 a 11.2 gigahertz ci
potrebbe permettere di scovare radioemissioni artificiali dalle parti di KIC
8462852.
Sempre ammesso che quella civiltà così evoluta utilizzi
segnali radio per comunicare e le nostre apparecchiature riescano a captarli e
riconoscerli.
Ultim’ora…
Si diceva dell’Allen Telescope Array puntato dal SETI Institute
in direzione di KIC 8462852. Lo scopo era quello di cogliere sul fatto
promettenti segnali radio. Dopo oltre due settimane di osservazione,
registriamo un comunicato del SETI che lascerà la bocca amara a chi
sperava nella favola di ET.
Nella nota si segnala che l’indagine ha interessato due
differenti tipologie di segnale radio: la prima - a banda stretta - è il tipico
segnale che ci si potrebbe attendere da una Civiltà aliena desiderosa di annunciare
ai quattro venti la sua presenza; la seconda - a banda larga - è il segnale
riconducibile ai sistemi di propulsione delle navi spaziali coinvolte nell’ipotetico
megaprogetto costruttivo dalle parti di KIC 8462852. Ebbene, secondo i ricercatori
del SETI Institute i dati raccolti non deporrebbero affatto in favore
dell’ipotesi aliena.
Chi desiderasse approfondire, da questo link può
accedere al paper pubblicato su
arXiv.org contenente l’analisi dettagliata dei dati raccolti.
Anche accettando per buono lo scenario ipotizzato per primo
da Freeman Dyson, insomma, sembra proprio che per l’anomalia di KIC 8462852 ci
si debba rivolgere a fenomeni naturali. Questo non impedisce, ovviamente, che
al SETI Institute l’indagine continui. Significativo, a questo proposito, il
commento di Seth Shostak (Director
of SETI Research): «La storia dell’astronomia ci insegna che ogni volta che
abbiamo captato un ipotetico segnale alieno, ci siamo sbagliati. Ma la prudenza
non è mai troppa.»