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Lo scienziato che spronava a non arrendersi

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"We shall never surrender". Non ci arrenderemo mai. Ho ascoltato spesso Paolo citare queste famose parole di Churchill. Le citava quando i nostri discorsi finivano per ricordare l'esempio che uomini coraggiosi del passato hanno lasciato e la visione del mondo di chi ha fatto la Storia.
Le citava quando le nostre discussioni scivolavano sul ruolo che la scienza deve avere (e non ha abbastanza) nella società.
Durante la vicenda Stamina, quando eravamo pochi e isolati a combattere per far aprire gli occhi su quella che alcuni mezzi di comunicazione, alcuni tribunali e una parte della politica dicevano essere una “cura” ma che in realtà era una misera truffa, lui fu duramente attaccato per le sue dichiarazioni pubbliche. La sua Università, i suoi colleghi furono inondati di email con la richiesta del suo licenziamento. Lui, medico attento ai malati, studioso di fama mondiale che si è dedicato allo studio delle staminali mesenchimali e scheletriche e di malattie complesse, non si capacitava di come nella nostra società si potesse così violentemente disconoscere la competenza, abbandonando malati e bambini nelle mani di pericolosi ciarlatani. Per due interi anni, ogni giorno, insieme ad un altro noto staminologo, Michele De Luca, abbiamo lavorato per ribaltare le assurdità dell’affaire Stamina. Non dimenticherò mai l’intensità di quei giorni, le azioni, i pensieri, i testi scritti, le ricerche incessanti, profonde e intelligenti, con i NAS e l’AIFA, che abbia vissuto insieme. Pochi giorni fa, nel ricordarle, mi disse per la prima volta: “Mi sento orgoglioso di quanto fatto e dei risultati raggiunti”. Ma sono stati due anni devastanti. Ho il timore che avesse smesso di prendersi cura della sua salute, come avrebbe dovuto. Era uno spirito libero. We shall never surrender. E anche quando non le pronunciava, era sorprendentemente evidente quanto quel convincimento guidasse le sue azioni.
Parlare di Paolo oggi, a pochi giorni dalla sua scomparsa, mi toglie il respiro. È difficile perché ogni parola rischia di essere sbagliata. Paolo era semplicemente immenso perché tale era la sua conoscenza, e non solo nella scienza. Capitava che nel mezzo di una discussione in merito a una scoperta scientifica si mettesse a recitare, in modo assolutamente pertinente e naturale, stralci dell’Amleto, in inglese, e io avevo la certezza che avrebbe potuto continuare per l’intera opera. Condividere e argomentare il suo pensiero e le sue conoscenze era il suo modo di rispettare le persone, la scienza e il mondo.  

Era un amante della scienza e della medicina. Vedeva la scienza di base come supporto essenziale e imprescindibile della medicina. I voli pindarici, le iperboli giornalistiche, sulle virtù terapeutiche dei trapianti di cellule staminali lo amareggiavano, consapevole della responsabilità che in quanto medico aveva verso i malati. Era più volte intervenuto, anche a livello internazionale, contro la foga della “traslazione” delle staminali, soprattutto mesenchimali richiamate a sproposito, in ambito clinico, nel malato, prima del tempo, prima delle prove. Scriveva su Nature, nel 2014: “Questo può solo portare al mercato di prodotti inefficaci, degradando la medicina e impoverendo tutti, eccetto forse, i fortunati venditori”. Ha sempre coraggiosamente contestato pubblicazioni superficiali, ed è sempre stato contrario a ciò che avrebbe potuto danneggiare la scienza o travisarne i dati. “I malati hanno bisogno di aiuto” diceva, non di speranze.
Sviluppare nuovi concetti scientifici per lui era naturale come respirare. Per lui era impossibile fermarsi a una valutazione superficiale dei dati, delle ipotesi, delle stesse parole e dei loro significati. Sapeva ancora stupirsi di fronte a una nuova scoperta, insieme ai suoi giovani e meno giovani collaboratori, che erano anche la sua famiglia.
La mia mente è piena di suoi bei ricordi, delle nostre discussioni senza fine. A volte anche estenuanti, ma più spesso rigeneranti. Sempre intelligenti, appassionate e responsabili.
Grazie Paolo, per la tua vita generosa e intensa. Grazie per tutti tuoi concetti scientifici per i quali hai combattuto e che si sono rivelati corretti. Grazie per non avere mai abdicato al ragionamento e alla realtà. Soprattutto nel nostro Paese. Anche quando sarebbe stato più facile o personalmente conveniente farlo.
L’eredita che ci lascia è immensa e splendida. Parla di onestà, di competenza, di integrità professionale, di impegno civile, di libertà nella e della ricerca scientifica. Finché tutto questo verrà fatto con rigore, il testimone di Paolo Bianco passerà felicemente di mano in mano, di mente in mente, in una maratona ben più lunga e affascinante della sola esistenza di ciascuno di noi.

Articolo pubblicato su La Stampa il 10 novembre 2015


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