Frassica è certamente un
personaggio simpatico (come lo era il protagonista della precedente campagna,
Pozzetto); temo però che questo non basti per far diventare una campagna di
salute pubblica efficace (il video). Qualcuno sostiene che queste campagne (molto onerose
dal punto di vista finanziario) siano del tutto inutili.
La letteratura
scientifica invece mostra la loro potenziale efficacia nel modificare
comportamenti nocivi per la salute, e il fumo certamente lo è con il triste
carico di morti che porta ogni anno. Ma numerosi studi hanno messo in luce come
diverse condizioni debbano sussistere per la reale efficacia di una campagna informativa.
Alcune di queste, sorprendentemente, sono state del tutto ignorate in questa
ultima campagna, così come nelle precedenti promosse dal Ministero della Salute.
Cerco di descriverne
brevemente alcune. Il perdurare di alcuni comportamenti notoriamente negativi
per la salute, spesso si incardina su norme sociali (la percezione che
la gente ha che il comportamento sia “normale”) tipicamente difficili da
scalzare, anche perché la percezione del loro perdurare (“ma fumano tutti!”)
spesso è scorretta ed evidentemente autoconsolatoria.
Per scalzare una norma sociale non basta allora mostrarne la sua scorrettezza (il refrain “ma che sei scemo?” della campagna in questione); bisogna rendere evidente che non funziona più, che non è più attuale, che altre norme sociali possono essere più rilevanti e “attraenti”. Per questo, ad esempio, se il problema del fumo è preoccupante, come nel nostro Paese, soprattutto perché particolarmente presente tra i giovani, avere un testimonial di 64 anni non è il massimo: come può lui, vecchietto (visto dagli occhi di un ventenne) convincere che un giovane che fuma è scemo, quando questo giovane invece è convinto che nella sua propria esperienza (norma sociale) i giovani “fighi” fumano? Forse un testimonial con una quarantina di anni in meno sarebbe più convincente nel mostrare che fumare “non fa figo”…
E’ stato poi dimostrato
che una componente importante dell’efficacia delle campagne è la loro capacità
di mostrare chiaramente gli effetti nocivi dei comportamenti. Questo è in particolar
modo efficace verso quelle fasce di popolazioni più difficili da convincere,
riducendo così le disparità fin troppo presenti in molti Paesi. Come mostrano i
dati dei sistemi di sorveglianza (si veda ad esempio www.epicentro.iss.it/passi) l’Italia non fa eccezione, anzi: la prevalenza
di fumatori tra le classi sociali più basse è quasi il doppio (il 40% contro
poco più del 20%) di quelle più alte.
Real people, real stories (gente
vera, storie vere) è il tema ad esempio dell’ultima campagna della
CDC (Centro per la Salute statunitense, un corrispondente del nostro Istituto
Superiore della Sanità) che mostra senza sconti gli effetti deleteri che il
fumo può avere sulle persone. Ex-fumatori raccontano le loro storie mostrando
le mutilazioni che il fumo ha prodotto. Immagini forti, certo.
Ma temiamo che
il nostro pubblico non sia pronto per queste immagini? Vogliamo lasciarle solo
ai film di azione? Pensiamo che un po’ di ironia possa bastare a fermare il
disastro di vite umane e di anni di vita in buona salute persi? In altri paesi
campagne coraggiose accompagnate da interventi forti hanno ottenuto grandi
risultati (il dimezzamento del numero di fumatori in un decennio). In Italia la
prevalenza di fumatori è di oltre il 50% superiore rispetto a diversi paesi che
queste iniziative le hanno messe in atto (siamo a un 27% contro cifre ben
inferiori al 20% in paesi quali Australia, Stati Uniti o Gran Bretagna). C’è da
sperare che oltre alle buoni intenzioni (molto apprezzabili ed evidenti nei
suoi interventi) il nostro Ministro della Salute si faccia accompagnare anche
da una buona scienza, per mettere in campo interventi con comprovata efficacia.