fbpx Infinito? No, grazie | Science in the net

Infinito? No, grazie

Primary tabs

Read time: 7 mins

Vi sono molti concetti – matematici, fisici, astronomici – che, sebbene complessi, ci sono familiari, se non altro per averli incontrati ripetutamente nelle nostre letture, sentiti in conferenze e congressi, e che, noi del mestiere, utilizziamo in ambito professionale. Quando però li dobbiamo spiegare a un pubblico curioso e istruito, ma non specializzato, ci accorgiamo – spesso – di essere in difficoltà, forse perché non li abbiamo capiti veramente bene nemmeno noi. Le varie “banalizzazioni” a cui ricorriamo, i paragoni con situazioni simili e intuitive tratte dalle nostre esperienze quotidiane, reggono solo se chi ascolta le nostre spiegazioni si accontenta della banalizzazione e non sente la necessità di andare oltre. Se invece vuole approfondire ci mette talvolta in difficoltà.

Com’è fatto un atomo? Difficile non ricorrere al paragone con un sistema planetario composto da una stella (il nucleo) e da un certo numero di pianeti (gli elettroni) che vi orbitano attorno. Ma la banalizzazione non regge e poche domande successive, sul principio di esclusione di Pauli o sulla localizzazione degli elettroni alla luce del principio d’indeterminazione di Heisenberg, piuttosto che sulle interazioni tra i quark che compongono i protoni e i neutroni del nucleo i quali, scambiandosi pioni, si trasformano continuamente l’uno nell’altro e viceversa, ci fanno capire che non è facile “immaginare” o “vedere” il microcosmo. Abbiamo scoperto che su scale molto più piccole di quelle della nostra quotidianità, la fisica cambia registro; il “continuo” e il determinismo non permettono una descrizione adeguata del mondo microscopico e sono invece necessari il “discreto” e il probabilismo della fisica quantistica. Il più semplice atomo, quello d’idrogeno – un solo protone (tre quark) e un solo elettrone, ben descritto dalle soluzioni dell’equazione di Schroedinger – assume aspetti diversi a seconda dei suoi possibili livelli energetici. 

Dal piccolo al grande

Non va meglio se dall’estremamente piccolo passiamo all’estremamente grande. Siamo tutti familiari con l’espansione dell’universo; la ritroviamo persino sulla Settimana Enigmistica. Due orizzontale; dieci lettere: “Lo è l’espansione dell’universo”. “Accelerata”. Ma cosa vuole veramente dire che l’universo si espande? Quando lo proviamo a spiegare proponiamo palloni che si gonfiano – per mostrare come i punti disegnati sulla sua superficie (le galassie) si allontanano l’uno dall’altro – oppure panettoni che lievitano, con la relativa uvetta e i canditi che si diradano in un impasto che si gonfia. I più smaliziati notano che nel primo caso i punti disegnati sulla superficie del pallone s’ingrandiscono durante l’espansione mentre nel secondo caso uvetta e canditi rimangono grandi uguale. Poi aggiungono che quello che cresce, cresce all’interno di un contenitore, il quale implica appunto che vi sia un “dentro” e un “fuori”. Qual è il fuori dell’universo? 

Il panettone che lievita rende meglio l’idea visto che gli atomi, le stelle e le galassie non diventano più grandi per effetto dell’espansione? Le loro dimensioni sono determinate dalle forze nucleari che tengono legati i quark a formare e legare i protoni e i neutroni del nucleo; dalle forze elettromagnetiche che legano tra loro atomi e molecole e dalla forza di gravità che raggruppa le stelle in galassie. Ma allora cos’è veramente che si espande visto che non c’è un contenitore all’interno del quale qualcos’altro va crescendo? È lo spazio, o meglio lo spazio-tempo della relatività generale, con le tre dimensioni geometriche che conosciamo, che si espande all’interno di una quarta dimensione come suggerisce l’analogia del pallone che si gonfia? (la sua superficie 2D cresce nel volume 3D). E se lo spazio è quantizzato, cosa succede alla sua quantizzazione durante l’espansione? Non credo lo si possa capire senza rinunciare a ricondurre il concetto alle nostre esperienze quotidiane e senza piuttosto affidarsi alla matematica e alle sue equazioni. Ma un concetto ancor più difficile da spiegare è quello di infinito. Perché è impossibile capirne la profondità e, soprattutto, capirne tutte le implicazioni. Io ci ho rinunciato, un po’ come ho rinunciato a capire come funziona molta dell’elettronica di uso quotidiano. La so usare e lo faccio e va bene così. La stessa cosa mi succede con il concetto d’infinito che ai fisici piace pochissimo mentre ai matematici piace molto, tant’è che lo trattano con familiarità e addirittura ne hanno (di infiniti) più di un tipo. 

L’infinito l’abbiamo incontrato già alle scuole elementari. Ce l’hanno presentato facendoci contare per numeri naturali, i più intuitivi. Si può sempre dire “più uno” e dunque non finiscono mai, sono appunto infiniti e diventano sempre più grandi. Ma infinito non è un numero grande e ogni numero, per grande che sia al suo confronto è piccolo (a piacere). 

Poi abbiamo incontrato un secondo infinito, di natura diversa, quando ci hanno insegnato che esistono i numeri reali. Qui i numeri non diventano necessariamente sempre più grandi, piuttosto non sono mai completamente definiti e serve un numero infinito di cifre per caratterizzarli. Come π ad esempio, o la radice quadrata di 2. 

Quanti infiniti signor Cantor!

Numerabile il primo infinito, non numerabile (dunque più grande) il secondo. È Georg Cantor che alla fine del 1800 ci ha spiegato che di infiniti ne esistono infiniti (!) e che si possono paragonare tra loro (con il suo metodo della diagonale ad esempio) per stabilirne la gerarchia. Resta comunque un concetto che non riusciamo a rappresentare mentalmente, è inimmaginabile, a differenza del concetto di illimitato di cui riusciamo facilmente ad avere ragione. È illimitata, ad esempio, la superficie di un toro o di una sfera, pur essendo infinita e misurabile. Gli infiniti vanno saputi maneggiare, soprattutto se derivano da serie divergenti, altrimenti si prestano a produrre risultati apparentemente assurdi. Probabilmente non tutti sanno che la somma degli infiniti numeri naturali (1 + 2 + 3 + ...+ n + ...) è uguale a -1/12. Scettici e curiosi possono trovare la dimostrazione su youtube e leggere qui

Ai fisici gli infiniti non piacciono e quando li incontrano pensano che siano indicatori di inaccuratezza o d’incompletezza del modello in esame, dunque un campanello di allarme. Anche il matematico David Hilbert (quello dell’Hotel con un numero infinito di stanze, tutte occupate, in cui riusciva comunque a sistemare l’arrivo di un ulteriore numero, anche infinito – purché numerabile – di turisti), sosteneva che infinito è un’astrazione matematica e non ha alcun significato fisico. E in effetti i fisici sono riusciti a tenere gli infiniti lontano dalle loro teorie e dal loro formalismo sviluppando una fisica alternativa che li evitasse, ogni qualvolta sembravano fare la loro comparsa. 

Quando la fisica “classica” arrivò a predire, all’inizio del secolo scorso, che un corpo nero ideale avrebbe dovuto emettere radiazione con potenza infinita (la cosiddetta catastrofe di Rayleigh–Jeans o catastrofe ultravioletta) si capì che qualcosa andava rivisto e la revisione portò allo sviluppo della fisica quantistica. L’elettrodinamica quantistica (QED) è attualmente la miglior teoria fisica di cui disponiamo (il gioiello della fisica, la definì Feynman), in grado di predire in maniera estremamente accurata molte quantità fisiche. A condizione che vengano opportunamente trattati gli infiniti che produce! (con un processo chiamato “rinormalizzazione”). Molti fisici però erano (e sono) insoddisfatti di questo processo, convinti che gli infiniti indichino, ancora una volta, la necessità di migliorare la teoria. 

Se da un lato si continua a considerare che gli infiniti siano incompatibili con il mondo fisico, dall’altro, alcuni cosmologi a seguito degli sviluppi della teoria dell’inflazione cosmica, stanno seriamente considerando la possibilità che esista addirittura un numero infinito di universi a struttura frattale. Risolvono così anche il problema del “fine tuning” del nostro universo derivante dal principio antropico (le varie costanti fisiche hanno proprio i valori che ci permettono di essere qui a misurarle). Altri aborrono il Multiverso – o comunque non lo considerano un modello da considerare – in quanto pensano che renderebbe impossibile calcolare le probabilità di differenti tipi di universi, di fare qualsivoglia previsione sul risultato di qualunque esperimento. Per dirla con Alan Guth, uno dei padri delle teorie inflattive: “se vi è un solo universo, le mucche con due teste sono molto più rare delle mucche con una sola testa e si può calcolare il rapporto tra i due numeri. In un multiverso con un numero infinito di universi ci saranno infinite mucche con una testa e infinite mucche con due teste. Il rapporto – infinito diviso infinito – sarà indeterminato”. 

Addio dunque al potere predittivo che qualifica una buona teoria e addio alla conoscenza. Questo problema è noto come il problema della misura. Di nuovo, è un problema con gli infiniti e molti fisici e cosmologi stanno cercando una soluzione per capire come sia effettivamente la realtà delle cose. Realtà: se ci pensate bene è un altro concetto estremamente difficile da capire... 

Pubblicato su Le Stelle n. 147, pp 7-9.

 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Oppenheimer, a film that equally addresses science and ethics

The story of the physicist Robert Oppenheimer is a controversial one, filled with both highlights and shadows. Although it has already been the subject of numerous biographies, it is now the focus of the eponymous film directed by Christopher Nolan. Fabio Terragni reviews it for 'Scienza in rete'.

It's true: Robert Oppenheimer didn't "invent" the atomic bomb. The most tragic achievement of 20th-century science and technology was the result of the first example of Big Science: the Manhattan Project, an unprecedented effort by the American government to outpace Nazi Germany, which cost over two billion dollars and involved tens of thousands of top-tier physicists, engineers, and technicians.