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Darwin tra Einstein e la cibernetica: dalla selezione naturale alle smart things

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Nel mese in cui il mondo celebra Darwin si è parlato, giustamente, di Einstein. A rubare la scena al padre dell’evoluzionismo, lo sappiamo tutti, l’osservazione diretta delle onde gravitazionali che, esattamente a un secolo dalla loro predizione, conferma in via definitiva la teoria della relatività generale. Incarnazione pura dell’understatement britannico, Darwin non amava granché mettersi in mostra e, pace all’anima sua, certo non lo avrà infastidito più di tanto l’overlooking del collega. Eppure un piccolo risarcimento lo merita. E tanto più significativo se a darne il pretesto è proprio Einstein.

Nel suo (primo) capolavoro, la Teoria della relatività ristretta, lo scienziato tedesco elabora la celebre equazione che stabilisce il fattore di conversione tra l'energia e la massa di un sistema fisico: e=mc². Ecco, prima di lui anche Darwin aveva fatto qualcosa di analogo. Darwin trova infatti una formula di convertibilità tra biologia (materia) e spirito (energia). Hardware e software, dimensione materiale e quella immateriale si intrecciano e lo fanno in un modo che mai nessuno prima nella storia s'era sognato di concepire.

La naturalizzazione dell'anima

Oltre a spiegare come funziona la natura, la selezione naturale spiega infatti anche la nascita della mente e la genealogia della morale. E non è un caso che nel tracciare da par suo il meraviglioso percorso della vita sulla terra, uno dei più autorevoli filosofi della biologia, Daniel Dennett, parla di “Evoluzione della libertà” (D. Dennett, L'evoluzione della libertà): sono i principi evoluzionistici scoperti da Darwin a spiegare come possa esserci un rapporto di continuità tra infusori e coscienza, tra la meccanica della materia e le imprevedibili traiettorie dello spirito.

Darwin “naturalizza l’anima”, solo che a differenza dei materialisti del Settecento o dei sociobiologi cruenti e ingenui che nel Novecento millanteranno di seguirne la lezione, riesce a piantare il pensiero nella natura senza imprigionare la coscienza ai determinismi della materia. Il colpo di genio elaborato da Darwin per riuscire nell'impresa si chiama “effetto reversivo dell’evoluzione” (copyright Patrick Tort) ed ecco in cosa consiste (vedi P. Tort, Effetto Darwin)

La morale, ovvero il paradosso della selezione

Darwin considera come prodotti dell’evoluzione anche gli istinti sociali, vale a dire i presupposti della morale, che esattamente come tutti gli altri prodotti evolutivi, vengono sottoposti al vaglio della selezione naturale. Lo spiega ne L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali, pubblicato nel 1872, l’anno successivo alla pubblicazione dell’Origine dell’uomo.

Secondo lo scienziato inglese è il successo evolutivo degli istinti sociali che fa sì che ai meccanismi esclusivi della selezione naturale si sostituiscano progressivamente, in seno ai gruppi umani, i meccanismi inclusivi dei sistemi morali. Detto in altri termini, la selezione finisce progressivamente (e paradossalmente) per eliminare se stessa.

È per questa ragione che il capolavoro dell’evoluzione, per Darwin, è l’etica, frutto essa stessa della selezione naturale. E lo stesso discorso vale per tutti i fenomeni mentali (vedi G. Edelman, La materia della mente)

In barba a Cartesio, per il naturalista inglese anche le idee hanno un’origine densa di storia e di materia. In uno dei suoi più dissacranti appunti annota: “al posto di preesistenza leggi scimmie”, poche parole che da sole valgono più di migliaia di pagine di teologia naturale e di antropologia sistematica. Da questo punto di vista Benjamin Farrington coglie nel segno quando osserva che, in fondo, “Darwin non arrivò mai a cogliere la distinzione tra un fatto biologico e un atto mentale” (B. Farrinton, Che cosa ha veramente detto Darwin).

Lo spirito nasce insomma dalla materia e il poco più che trentenne Darwin forse già lo sospettava quando, in giro per il mondo sul Beagle, scriveva nei suoi taccuini che “Colui che comprende il babbuino contribuirà alla metafisica più di Locke”.

Oltre il sistema binario

Quel che Darwin proprio non avrebbe mai potuto sospettare è invece il fatto di poter essere l’artefice oltre che della reinvenzione della vita anche della reinvenzione della logica. E qui torniamo ad Einstein.  

Negli anni ’60, in un’opera tanto bizzarra quanto geniale, Cybernetic Ontology, il teorico dell’informazione Gottard Günther riflette su quello che oggi definiremmo “oggetti intelligenti” e spiega che, secondo la logica occidentale “bivalente”, per cui da un lato c’è lo spirito intelligente dall’altro la bruta materia, si tratterebbe né più né meno che di “Ufo”, di oggetti non identificati nella grammatica dell’essere. Da Platone a Heidegger mente e materia non possono mescolarsi. “Non vi è tuttavia – scrive Günther – una distinzione di questo tipo tra lo stato energetico e lo stato materiale dell’universo. L’equazione di Einstein secondo cui stabilisce che l’energia può convertirsi in massa e viceversa. Ma non vi sono formule analoghe per la conversione del pensiero in materia o del significato in energia. Dal punto di vista della nostra classica logica la ricerca di una formula siffatta potrebbe sembrare poco meno che una follia”. (vedi G. Gunther, Cybernetic Ontology and Transjunctional Operations).

Darwin, lo abbiamo visto, compie esattamente questa follia: nel tracciare le origini di un angelo caduto mette insieme l’elemento morbido della cultura e quello duro della natura e dimostra che il comune denominatore tra mente e materia è di natura fisica invece che metafisica. Nel preferire la bruta ascendenza scimmiesca alla purezza delle idee platoniche, Darwin si rivela il più audace dei “teorici del sospetto” perché finisce per riconoscere un tertium datur tra la presunta “stupidità” degli oggetti e pienezza dello spirito. Scandalo per i filosofi, follia per gli scienziati.

Nel ricongiungere l’immaterialità dell’idea alla materialità del corpo Darwin compie un gesto filosofico ipermoderno, individua una backdoor nel sistema binario della logica che oppone intelligenza e cose e prepara il campo a chi dopo decenni avrebbe cominciato a progettare smart things


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