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Alla ricerca serve un'Agenzia. E nuovi meccanismi di finanziamento dell'Università

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Un’Agenzia italiana per la governance della ricerca scientifica

La proposta di istituire un’Agenzia Italiana per la Ricerca Scientifica presentata da Gruppo 2003 in occasione del convegno "Il futuro della ricerca in Italia" del 10 febbraio a Roma, intende creare una forte discontinuità rispetto al passato. Si tratta di seppellire l’attuale sistema burocratizzato e frammentato e di sostituirlo con una struttura in linea con i tempi, capace di amministrare in modo agile e flessibile la ricerca scientifica italiana nel suo insieme grazie all’abolizione graduale di tutte le leggi speciali accumulatesi nel tempo che assegnano fondi ad istituzioni di ricerca senza adeguati sistemi di referaggio. Competitività, meritocrazia e affidabilità devono essere le parole chiave su cui si reggerà la nuova Agenzia. L’Agenzia deve consentire alle organizzazioni scientifiche di poter programmare le loro attività di ricerca con fiducia, avendo certezze sui tempi dei bandi di concorso, sulla disponibilità delle risorse, sulla continuità dei programmi. 

L’Agenzia non deve essere un altro “carrozzone” che si aggiunge a quelli già esistenti ma una struttura esecutiva molto snella, che risponde alla Presidenza del Consiglio, guidata da un Consiglio di Amministrazione formato da poche persone rappresentanti il mondo della ricerca, della tecnologia, della cultura e dell’industria, con un Direttore che ha il compito di coordinare i vari Dipartimenti che la compongono. I Dipartimenti devono rispecchiare grandi aree di interesse nazionale: ad esempio l’energia, l’ambiente, la salute e così via, che devono comprendere una forte componente di ricerca di base a lungo termine e aree di natura più applicativa, che vanno mantenute sotto lo stesso tetto per avere possibilità di forte interazione. Compito dell’Agenzia dovrebbe essere la realizzazione di bandi di concorso con caratteristiche pluriennali, aperti a tutte le istituzioni di ricerca non-profit e alle partnership pubblico-privato. E’ importante che l’assegnazione dei fondi avvenga con seri criteri meritocratici con peer review internazionali e site visit in armonia con ciò che avviene in tutti i Paesi europei. 

La realizzazione dell’Agenzia non dovrebbe comportare spese insostenibili, perché sarà possibile reclutare ricercatori e dipendenti di EPR interessati a mettersi al servizio della comunità scientifica attraverso la loro esperienza. 

Tutte le istituzioni che operano in campo scientifico nel Paese quali Università, CNR e tutti gli altri EPR, Istituto Superiore di Sanità, IRCCS, Fondazioni ed altre organizzazioni pubbliche e private no-profit dovrebbero poter accedere in modo competitivo ai fondi disponibili messi a disposizione attraverso bandi di concorso. L’istituzione dell’Agenzia non è in contrasto con la funzione dell’ANVUR, che ha il compito di controllare le strutture (non i progetti), valutare i risultati delle Università e degli enti pubblici di ricerca, e per sua natura non eroga finanziamenti. Infine, una funzione essenziale dell’Agenzia è l’interfaccia con attività internazionali ed in particolare con i programmi di ricerca dell’Unione Europea, anche per aiutare la ricerca italiana ad aumentare il recupero delle risorse messe a disposizione dall’Italia.

Silvio Garattini, Giuliano Buzzetti

Come reagire alla grave crisi della nostra accademia

Dato che l’università è la sede di almeno il 70% della ricerca di base, è qui che dobbiamo prevalentemente intervenire per rilanciare la ricerca nel nostro Paese. Di questo è perfettamente consapevole la stessa industria italiana, che ha incrementato la sua attività di scouting nei confronti dell'Accademia alla ricerca di nuovi progetti e scoperte da sviluppare in partnership (per iniziative recenti, si veda come esempio http://www.holostem.com/Home.html). Dunque, la ricerca universitaria come motore dello sviluppo tecnologico per il  Paese. Tuttavia, proprio per la sua non immediata applicabilità, la ricerca universitaria dipende da fondi statali piuttosto che privati, ed è in crisi soprattutto a causa della progressiva riduzione dei finanziamenti statali stanziati dal MIUR, l’organo istituzionalmente deputato ad alimentarla.

I fondi MIUR sono fondamentalmente di due tipi, a seconda che siano attribuiti attraverso bandi competitivi o vengano versati direttamente alle università per sostenere le sue due attività istituzionali, la didattica e la ricerca. 

I finanziamenti competitivi si concretizzano attraverso due bandi, PRIN (Progetti di ricerca di interesse nazionale) e FIRB (Fondo investimento ricerca di base). Il fondo PRIN era intorno ai 120-140 milioni di euro tra il 2000 e il 2004 ma a partire dal 2005 si è ridotto fino a 40 milioni nel 2012, per essere sospeso nel 2013 e 2014, e rifinanziato nel 2015 con soli 93 milioni. Per comprendere la disparità rispetto agli altri Paesi europei, basti pensare che ogni anno il fondo corrispondente al PRIN Italiano stanziato dall'Agenzia francese per la ricerca scientifica ammonta a circa un miliardo di euro (si veda anche articolo precedente). Il finanziamento annuale derivante dal PRIN per ogni gruppo finanziato non supera i 25000 euro l’anno, cifra assolutamente inadeguata a coprire spese di ricerche costose come, ad esempio, quelle nel campo della biomedicina.  I progetti FIRB, partiti nel 2004 con 155 milioni di euro, sono andati estinguendosi progressivamente fino a cessare dal 2013 in poi.

La situazione è, se possibile, ancora più grave per quanto riguarda il finanziamento attraverso  il cosiddetto FFO (Fondo di funzionamento ordinario) che dovrebbe coprire la spesa per gli stipendi del personale docente e amministrativo, per la ricerca e per la manutenzione delle strutture. Fino al 2008, una quota, per quanto esigua, dell’FFO serviva a finanziare la ricerca. Nel 2008 è calata sull’FFO la scure dei tagli programmati della legge 133 (Tremonti), a causa dei quali, tra il 2008 e il 2014, l’FFO si è ridotto di circa il 22%. L’effetto di questi tagli sull'utilizzazione dell’FFO è stata inevitabilmente quella di aumentare la quota utilizzata per gli stipendi, che ormai ha raggiunto il limite massimo del 90%, riducendo così la quota utilizzabile per la ricerca, che attualmente si stima di circa 350 milioni di euro suddivisi tra tutte le 97 università italiane.

Il finanziamento della ricerca universitaria in Italia è ben diverso da quella del resto dell’Europa (si veda: Una ricerca da tre soldi). Tutte le nazioni europee hanno fondi di finanziamento governativi ad hoc. Nel Regno Unito (UK), che ha il sistema di finanziamento statale della ricerca accademica più simile strutturalmente a quello italiano, l’università ha ricevuto nel 2012 fondi ordinari per 2,3 miliardi di euro dai quattro Educational Councils e fondi a bando per 1,85 miliardi di euro dai 12 Research Councils, per un totale di oltre 4 miliardi di euro.

La condizione di assoluta indigenza della ricerca universitaria richiede un intervento strutturale. L’Università italiana è un sistema organico distribuito su tutto il Paese e le università giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo culturale e socio-economico del territorio dove sono localizzate. Inoltre, nel sistema accademico italiano, le eccellenze della ricerca sono distribuite a macchia di leopardo. Per questo motivo, vanno evitati interventi spot, limitati nel tempo e nello spazio e utili solo ad attrarre consensi per il politico di turno.

Sulla base di questa analisi, Gruppo 2003 ritiene prioritario riformare il finanziamento dell’Università, innanzitutto restituendo sotto forma di finanziamento della ricerca quei fondi che sono stati tagliati dall’FFO attraverso la legge Tremonti del 2008. Questo Fondo di Finanziamento della ricerca (FFR), quantificato in 680 milioni di euro l’anno, ha la funzione di fornire un consistente e stabile finanziamento dei Gruppi di ricerca. I Gruppi migliori, distribuiti sul territorio nazionale (suddiviso in tre macroregioni), saranno selezionati sulla base della loro produttività scientifica e sulla base di visite in loco, in maniera analoga a quanto già avviene negli altri Paesi europei. Il metodo attualmente utilizzato da ANVUR, l’Agenzia Nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca, basato sull’analisi di solo 2 prodotti della ricerca per ogni ricercatore, non possiede il potere di risoluzione sufficiente. Per determinare adeguatamente la produttività del Gruppo di ricerca nel tempo è necessario valutare la sua effettiva produzione scientifica degli ultimi 10 anni, con revisione quinquennale e finanziamento adeguato alla valutazione ottenuta. 

In una seconda fase, intorno ai Gruppi di ricerca migliori e per specifiche tipologie di ricerca, si potranno creare Centri di Ricerca su progetti di ampio respiro e attraverso consistenti investimenti di personale e attrezzature.

I Gruppi di Ricerca ed i Centri di Ricerca potranno utilizzare una quota del finanziamento della ricerca per attivare concorsi per ricercatori a tempo determinato destinati a diventare professori associati (tenure track) indipendentemente dal turnover dei docenti, attualmente stabilito sulla base di indici esclusivamente economici  (spesa per il personale, indebitamento e indice di sostenibilità economico-finanziaria, ISEF). 

La mancanza di finanziamenti non è l’unico problema che affligge la ricerca universitaria. Tra gli impedimenti da rimuovere, la mancanza di mobilità dei docenti e la tendenza a reclutare docenti interni a ciascun ateneo. Il finanziamento dei Gruppi e la creazione dei Centri di ricerca costituiranno un potente incentivo alla mobilità dei docenti e al reclutamento basato su criteri di utilità alla ricerca. Un’ultima considerazione riguarda la necessità di eliminare i lacci e lacciuoli di natura burocratica legati al fatto che l’università è soggetta alle regole della pubblica amministrazione. La ricerca ha bisogno di tempi brevi e certi, e proprio per questo, una semplificazione burocratica è assolutamente necessaria.

Gaetano Di Chiara e Maria Pia Abbracchio

I due articoli sono stati pubblicati in versione integrale da Sole 24 Ore sanità 1-7 marzo 2016

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