fbpx Un’impensabile ingombrante presenza | Science in the net

Un’impensabile ingombrante presenza

Tempo di lettura: 6 mins

Ormai la scoperta che nel cuore di una galassia si nasconda un buco nero supermassiccio non fa quasi più notizia. Anche la nostra Via Lattea, la galassia di cui fa parte il Sole, ne ospita uno. Il suo nome è Sgr A* e la sua massa ammonta a oltre quattro milioni di masse solari, valore determinato in modo molto accurato studiando il moto delle stelle che gli orbitano intorno. Limitandoci ai paraggi della Via Lattea, il titolo di buco nero più massiccio spetta all’oggetto ospitato nel cuore di M 87, una gigantesca galassia ellittica posta a 54 milioni di anni luce da noi in direzione della costellazione della Vergine. Caratterizzato da una massa equivalente a oltre 6 miliardi di masse solari, il buco nero di M 87 è salito alla ribalta della comunità astronomica sia perché la sua posizione appare un po’ decentrata rispetto al nucleo della galassia, sia perché si è scoperto che il disco di materia che circonda il buco nero, il cosiddetto disco di accrescimento, genera un potentissimo getto di materia, espulsa a velocità relativistiche.

Il record assoluto, almeno per quanto ne sappiamo finora, spetta però al buco nero che si nasconde nel nucleo di NGC 4889, un’altra gigantesca galassia ellittica distante 336 milioni di anni luce in direzione della costellazione della Chioma di Berenice. La sua massa, determinata anche in questo caso studiando i moti stellari circostanti, ammonta a 21 miliardi di masse solari, risultando dunque oltre cinquemila volte più massiccio di quello della Via Lattea.

Galassie massicce nel mirino

Lo studio di regioni dell’Universo sempre più distanti nello spazio e nel tempo ha messo in luce l’esistenza di buchi neri supermassicci incredibilmente attivi – i cosiddetti quasar – la cui crescita era favorita, in quelle epoche remote, dalla grande disponibilità di gas. Osservando le regioni più prossime a noi, però, non solo le galassie non mostrano più quell’abbondanza di gas, ormai condensato a formare le stelle che le popolano, ma non v’è la minima traccia di quasar.

Logico, dunque, provare a indagare sulle galassie più massicce nei paraggi della Via Lattea per scoprire se anch’esse, in epoca remota, potessero aver attraversato la fase evolutiva che li vedeva quasar brillanti e superattivi. La situazione è davvero molto verosimile, per esempio, nel caso di NGC 4889 e di NGC 3842 e dei mastodontici buchi neri che ospitano, ora fortunatamente dormienti. Il dubbio riguarda quanto possano essere diffuse tali situazioni.

Proprio per provare a ricostruire le possibili tappe evolutive delle galassie è stato messo in cantiere il programma MASSIVE. Finanziata dalla National Science Foundation e attiva dal 2014, questa accurata campagna osservativa è volta a ottenere stime di massa per le stelle, la materia oscura e i buchi neri centrali appartenenti a 100 galassie massicce e vicine. Nel mirino dei ricercatori, insomma, vi sono le galassie con massa superiore a 300 miliardi di masse solari che si trovano a distanze inferiori a 350 milioni di anni luce dalla Terra. Primo responsabile del programma è Chung-Pei Ma, cosmologa e astrofisica nonché docente di astronomia a Berkeley.

Quasi ovvio che le prime conferme di buchi neri supermassicci nascosti nelle galassie ellittiche di grande massa abbiano riguardato sistemi stellari appartenenti a popolosi ammassi di galassie. La già citata NGC 4889, per esempio, appartiene all’ammasso della Chioma, costituito da un migliaio di galassie di grossa taglia e altre migliaia di galassie meno massicce. Non così affollato, ma comunque significativo, l’ammasso di galassie del Leone che ospita NGC 3842: un centinaio di galassie delle quali NGC 3842 è il membro più importante.

Poiché si ritiene che la via preferenziale per la crescita dei buchi neri supermassicci sia quella dei meccanismi di merging galattico, cioè fusione e inglobamento di galassie più piccole da parte di galassie più massicce, non è poi così inaspettato incontrare buchi neri di grandissima stazza nelle regioni con maggiore affollamento di galassie. Ha dunque suscitato enorme sorpresa la scoperta di un buco nero estremamente massiccio in una galassia appartenente a un ammasso decisamente meno popoloso. La ricerca, coordinata da Jens Thomas (Max Planck-Institute for Extraterrestrial Physics) e che vede tra i ricercatori la stessa Chung-Pei Ma, è stata recentemente pubblicata su Nature e ha riguardato una galassia distante 210 milioni di anni luce in direzione della costellazione dell’Eridano.

Il curioso caso di NGC 1600

Questo sistema stellare è di gran lunga il membro più significativo dello sparuto gruppo di galassie, una ventina in tutto, al quale appartiene. Probabilmente, senza la spinta del progetto MASSIVE, a nessuno sarebbe venuto in mente di andarvi a cercare un buco nero supermassiccio. Grazie all’Hubble Space Telescope e ai telescopi terrestri del Gemini Observatory (Hawaii) e del McDonald Observatory (Texas), i ricercatori hanno potuto determinare le velocità delle stelle orbitanti a ridosso del buco nero nascosto nella regione centrale di NGC 1600 e, attraverso l’applicazione di modelli matematici, calcolare la massa del buco nero. Il risultato ha lasciato di stucco gli astronomi: la massa del buco nero di NGC 1600, infatti, ammonterebbe a 17 miliardi di masse solari. In quella galassia che si potrebbe definire solitaria, insomma, si nasconderebbe uno dei più massicci buchi neri scoperti finora.

«Benché già avessimo il sospetto che la galassia potesse ospitare nel suo centro un oggetto con caratteristiche estreme – ha commentato Jens Thomas – siamo rimasti sorpresi che il buco nero in NGC 1600 fosse dieci volte più massiccio di quanto previsto considerando la massa della galassia. Sembra che la prevista correlazione tra la massa del buco nero e quella del bulge galattico (il rigonfiamento centrale) non funzioni così bene quando abbiamo a che fare con buchi neri estremamente massicci.»

La scoperta suggerisce anche un’altra considerazione. Vista la povertà di elementi che caratterizza l’ammasso di NGC 1600, viene infatti spontaneo domandarsi se si tratti di un caso isolato ed eccezionale oppure possa essere la punta di un iceberg. Significativa la sottolineatura di Chung-Pei Ma: «Stimiamo che i piccoli gruppi di galassie come questo siano una cinquantina di volte più abbondanti degli ammassi più densi e affollati. Questo ci induce a considerare la possibilità che là fuori ci possa essere una gran quantità di questi mostruosi buchi neri.»

Un’ultima interessante osservazione ci viene suggerita dal moto delle stelle intorno al buco nero di NGC 1600. Le loro orbite, infatti, sembrerebbero indicare non un singolo buco nero, bensì un sistema di due buchi neri in orbita reciproca. Da chiarire se l’impronta lasciata nelle orbite stellari sia il residuo di un’epoca remota in cui i due buchi neri erano separati, oppure se rispecchi una situazione ancora attuale. Una situazione che potrebbe essere piuttosto comune nelle grandi galassie: se la loro crescita, infatti, è dovuta a meccanismi di fusione con galassie più piccole, ciascuna delle quali caratterizzata da un buco nero centrale, non è affatto da escludere la possibilità che i buchi neri non si siano ancora uniti tra loro. Questa possibilità, insomma, renderebbe NGC 1600 un potenziale sorvegliato speciale per la neonata astronomia delle onde gravitazionali, pronto a emettere un potente flusso di queste elusive perturbazioni dello spazio-tempo allorché i due buchi neri concluderanno la danza e si fonderanno in un unico oggetto.

 

Per approfondire:
Il paper di Jens Thomas et al. (Nature)


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

The Indi Gregory case: some questions for reflection

"The 'Indi Gregory Case' encompasses various levels of reflection (medical, ethical, legal, and political) that are interconnected but often confused in media debates. The philosopher of science and bioethicist Giovanni Boniolo analyzes them through a series of questions, the answers to which may also help us in similar cases that may arise in the future. Image: Twilight, by Dilma Freddi.

There has been, and continues to be, much talk about the "Indi Gregory Case." Indi was an eight-month-old baby suffering from a severe, and so far fatal, rare disease. More specifically, Indi was affected by D,L-2-hydroxyglutaric aciduria: a genetic disease with autosomal recessive inheritance caused by defects in the SLC25A1 gene.