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La scienza salva i fenomeni o conosce la realtà?

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Il 3 marzo 1616, alla presenza del papa, Paolo V, il cardinale Roberto Bellarmino annuncia al Sant’Uffizio di aver ammonito Galileo Galilei ad abbandonare la tesi che la Terra si muove e il Sole è al centro dell’universo. Perché la verità sul mondo non può essere attinta da un mathematico, il quale può e deve parlare solo ex supposizione e non assolutamente, per salvare i fenomeni e non per descrivere com’è effettivamente la realtà.

Lo storico americano Gerald Holton sostiene che ci sono alcuni concetti – lui ne ha enumerato un centinaio e li ha chiamati themata – che attraversano tutta la storia della fisica, ovvero tutti i tentativi di spiegare la realtà del mondo. Quanto le teorie della scienza ci dicono davvero la verità sul mondo e quanto, invece, sono modelli utili per salvare i fenomeni? Il concetto di realtà – o meglio di realismo delle teorie fisiche e matematiche – è certamente uno dei themata più pregnanti. E a esso, in buona sostanza, Lucio Russo dedica l’ultimo capitolo del suo nuovo libro: Stelle, atomi e velieri pubblicato da Mondadori Università. 

Il capitolo si intitola, per la verità, Breve storia dei concetti di matematica e di fisica. Ma, a ben vedere, avrebbe potuto intitolarsi Breve storia del realismo in matematica e in fisica. Si tratta di una ricostruzione molto compatta, ma molto chiara, che attraversa in poche pagine una vicenda lunga duemilacinquecento anni. Lucio Russo parte, infatti, dalla distinzione tra matematica e fisica che propone Aristotele nel IV secolo a.C.. Secondo la Stagirita la parola fisica equivale a natura e i fisici sono tutti coloro che studiano la natura. La matematica, invece, è piuttosto un metodo (rigoroso) di studio. Matematici e fisici possono studiare i medesimi oggetti, per esempio il Sole e i pianeti. Ma il punto di vista sarà irrimediabilmente diverso. I fisici indagano la natura del Sole e dei pianeti e le cause del loro moto. I matematici indagano la loro forma. La fisica è concreta, la matematica astratta.

In epoca ellenistica la distinzione di Aristotele viene meno. Matematica e fisica assumono uno statuto epistemologico omologo. Gli enti astratti così come la natura concreata vengo studiati con un metodo assiomatico deduttivo. Sulla base di pochi enunciati (gli assiomi) si deducono in maniera rigorosa (la dimostrazione attraverso teoremi), una serie di conseguenze. Lo fa Euclide sia con gli enti astratti della geometria negli Elementi sia con un oggetto naturale come la luce nell’Ottica. Lo fa Archimede nelle sue opere di idrostatica (Sui galleggiamenti) e di statica (Sull’equilibrio delle figure piane). Quando le teorie riguardano la descrizione del mondo fisico, esse hanno una regola precisa e inderogabile: l’aggancio ai fenomeni. 

Il progetto unitario degli ellenisti ha una conseguenza. Nella loro costruzione assiomatica le teorie scientifiche possono solo salvare i fenomeni, cioè trovare il modo più economico per spiegare le apparenze, ma – data una cera arbitrarietà dei postulati da cui tutto deriva – nulla possono assicurare circa la realtà. Per esempio, in astronomia il modello a epicicli di Tolomeo, che nel II secolo d.C. riprende quello di Aristotele, spiega in maniera (non troppo) economica i moti apparenti nel cielo, ma (come oggi peraltro sappiamo) non rappresenta la realtà dei fenomeni celesti.

Alquanto diversa è la definizione di fisica che propone Diogene Laerzio nel III  secolo d.C.. Egli la intende come parte della filosofia (insieme a etica e logica). Per lo storico greco la fisica è  filosofia naturale tesa a conoscere la sostanza delle cose e non a salvare le apparenze. La filosofia naturale ci dice dunque la verità, ancorché parziale, sul mondo. A differenza delle scienze matematiche (come l’astronomia) che invece si limitano a salvare i fenomeni

Il dibattito sul realismo – ovvero sulla capacità dell’uomo di conoscere la verità sul mondo – accompagna anche la tardiva scoperta della scienza da parte dell’Europa a partire del XIII secolo. Non c’è dubbio che, tra XVI e XVII secolo, Galileo ha un approccio á la Archimede: la sua è una fisica assiomatico deduttiva. Ma è anche vero che egli pensa che il libro della natura – «io dico l’universo» – è scritto in linguaggio matematico e che, dunque, attraverso la matematica è possibile scoprire la verità sul mondo. Ma non c’è dubbio, neppure, che lo stesso Bellarmino assume l’approccio ellenistico e considera le teorie dei modelli utili a salvare i fenomeni che nulla possono dire sulla realtà del mondo. Ai tempi dell’ammonizione esistevano tre diversi modelli in grado di salvare i fenomeni del cielo in maniera più o meno equivalente: quello aristotelico-tolemaico, quello di Tycho Brahe e quello di Copernico. Bellarmino consiglia – anzi, impone – di considerarli tali. I teologi gesuiti propendono per il modello di Brahe perché più compatibile con le Sacre Scritture.

Lucio Russo racconta poi della svolta a opera di Isaac Newton. «Hypotheses non fingo», non azzardo ipotesi, diceva l’inglese che ritorna a separare la fisica dalla matematica. La realtà concreta dallo studio degli oggetti astratti. E in fisica ciò che conta sono solo i fenomeni. È dai fenomeni che risalgo ai principi che regolano la realtà del mondo. 

L’approccio induttivo di Newton in verità convive a lungo con l’approccio assiomatico-deduttivo di impronta ellenistica. Mentre resta la distinzione netta tra fisica e matematica. Vengono, per esempio, create due diverse meccaniche: la meccanica senza aggettivi, che è una disciplina fisica, e la “meccanica razionale”, considerata parte della matematica. Ma queste divisioni vengono meno con la fisica del Novecento, in particolare con quella quantistica, che propone un rapporto, tuttora irrisolto, con la realtà. La tesi di Lucio Russo è molto significativa e richiama, in qualche modo, quella di Albert Einstein.

Prendiamo un elettrone, che sulla base dei modelli fisici si comporta sia da onda che da corpuscolo. In maniera, dunque, contraddittoria. I due comportamenti sono incompatibili. Ebbene, sostiene Lucio Russo, la gran parte dei fisici assume l’idea che i modelli quantistici (tipo “l’interpretazione di Copenaghen” della MQ) rappresentino la realtà e che, dunque, la natura è intrinsecamente contraddittoria. Mentre, suggerisce Lucio Russo, probabilmente i modelli si limitano a “salvare i fenomeni” in maniera molto precisa (la meccanica quantistica, riconosceva Einstein, è la più precisa tra le teorie elaborate dai fisici) e nulla dicono circa l’effettiva realtà del mondo. 

Non manca una rapida, ma tagliente incursione di Lucio Russo nel presente. In cui, sostiene, l’«identificazione ingenua tra realtà ed enti teorici» produce teorie che non hanno e non sentono il bisogno di «una relazione con i fatti osservati», di un “aggancio ai fenomeni”. Con due conseguenze difficili da accettare. Da un lato la proposta di teorie fortemente matematizzate – si pensi a quella degli “universi paralleli” – che, per i loro autori, non hanno bisogno di alcuna verifica sperimentale. Dall’altra la proposta di comunità di fisici – come, per certi versi, quelli che si occupano di stringhe – che ribaltano l’assunto di Diogene Laerzio e invece di cercare teorie che salvano i fenomeni, sono alla ricerca di fenomeni che salvino la teoria

E questo è solo l’ultimo dei 15 capitoli del libro di Lucio Russo. Ma tanta puntuale ricostruzione storica e acuta carica critica la si ritrova in tutti gli altri. Prendiamo, per esempio, il capitolo 10, dedicato all’atomismo. Lucio Russo sostiene la tesi che il concetto – il themata direbbe Holton – di atomo introdotto da Democrito e Leucippo non era meramente filosofico, ma in epoca ellenistica è stata una vera e propria teoria scientifica in grado di salvare i fenomeni, come quelli pneumatici relativi all’espansione di un gas riscaldato. 

Oppure prendiamo il capitolo 13, sulla relatività del moto. Una proposta contro intuitiva abbozzata già ai tempi di Aristotele, da Eraclide Pontico, e riproposta con maggiore rigore in seguito da Euclide e da Erofilo. Nasce dall’esigenza di salvare il fenomeno movimento della Terra in chi, già allora, pensava che il nostro pianeta si muove nello spazio. Se si muove, perché noi mentre stiamo seduti qui a scrivere non l’avvertiamo? Il motivo è che noi, pur muovendoci nello spazio a 1000 km/h rispetto, che so, al Sole, siamo fermi rispetto alla Terra. E, dunque, il moto dipende dal sistema di riferimento. Lucio Russo ricostruisce la riscoperta di quella che noi oggi chiamiamo “relatività galileiana” che avviene prima, a opera di Giordano Bruno (che dunque non è un “mero” filosofo ma ha anche i caratteri dello scienziato).

In definitiva, i percorsi di storia delle idee scientifiche che propone Lucio Russo ci propongono almeno due grandi prospettive niente affatto scontate: quella della continuità tra scienza ellenistica e scienza moderna (pur tra lunghe dimenticanze e improvvise accelerazioni) e quella del legame indissolubile tra teoria, anche le più astratte, problemi concreti e tecnologie. Insomma, tra scienza e società.  


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