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Materia oscura sempre più sfuggente

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Sono stati diffusi i risultati dell’esperimento LUX e chi confidava di riuscire finalmente a stanare la materia oscura dovrà attendere ancora un po’. Dai rilevatori che, in una miniera abbandonata in Sud Dakota, tengono accuratamente sotto controllo 370 chili di xeno liquido non è infatti arrivata nessuna segnalazione. Ma la caccia continua…

Il primo sospetto che del mondo che ci circonda ci sfuggisse qualcosa venne negli Anni ’30 all’astronomo di origine svizzera Fritz Zwicky. Dopo avere studiato le velocità delle galassie che compongono l’ammasso della Chioma, suggerì che, per rendere ragione di quelle velocità, si doveva mettere in conto la presenza di altra materia, invisibile a ogni rilevazione allora ipotizzabile, dunque oscura. Alla fine degli Anni ’60, il sospetto di Zwicky venne rilanciato da Vera Rubin che, in collaborazione con Kent Ford, aveva studiato la dinamica di una sessantina di galassie a spirale. L’analisi degli spettri dei sistemi stellari aveva permesso ai due astronomi di determinare le velocità in gioco e i loro calcoli indicavano che il moto stellare richiedeva molta più massa di quella che si riusciva a osservare.

All’inizio del nuovo Millennio, la ricerca condotta dal team internazionale coordinato da Yannick Mellier ha fornito la prima prova a più ampio campo di questa oscura presenza. Utilizzando le riprese ad alta risoluzione del Canada-France-Hawaii Telescope, gli astronomi hanno infatti ricostruito le minuscole distorsioni nella luce proveniente da 200 mila galassie imputabili all’azione gravitazionale della materia oscura, il cosiddetto gravitational lensing.

Suggeriti e sostenuti dalla Relatività Generale e da osservazioni astronomiche in epoche sempre più remote, i modelli cosmologici proposti per descrivere l’Universo hanno nella materia oscura un ingrediente fondamentale. Il modello Lambda-CDM, noto anche come Modello cosmologico standard, oltre alla componente di materia ordinaria, cioè la materia di cui siamo fatti noi, i pianeti e le stelle e che indaghiamo con le osservazioni astrofisiche, prevede infatti la presenza della cosiddetta materia oscura fredda (Cold Dark Matter) e quella, ancor più significativa, dell’energia oscura, indicata con la costante cosmologica Lambda e responsabile dell’espansione accelerata dell’Universo. Grazie soprattutto alle osservazioni dell’osservatorio spaziale Planck, da qualche anno conosciamo con precisione anche le dosi con le quali queste tre componenti partecipano alla ricetta dell’Universo. Una ricetta in cui il contributo della materia ordinaria non raggiunge neppure il 5%, quello della materia oscura ammonta a quasi il 27% e il rimanente 68% è riconducibile all’energia oscura. Questo significa che la stragrande maggioranza dell’Universo è costituita da qualcosa la cui natura ci è completamente ignota.

Una caccia complicata

Per quanto riguarda i possibili componenti della materia oscura, si sono generalmente considerati due ambiti di indagine. Il primo, battuto soprattutto negli anni Novanta, era indirizzato verso i cosiddetti MACHO (acronimo per MAssive Compact Halo Object), oggetti astronomici compatti e non luminosi presenti nell’alone galattico. Oggetti composti da materia ordinaria, dunque. Le analisi teoriche, però, hanno dimostrato che tali oggetti non potrebbero rendere ragione se non di una minima parte della materia oscura esistente. Non si esclude, insomma, la loro esistenza, ma per giustificare una quantità di materia oscura quasi 5 volte e mezza più abbondante della materia ordinaria ci vuole ben altro. Questo ambito di ricerca, dunque, ha lasciato campo libero all’altra ipotesi, quella che prevede l’esistenza di particelle non contemplate dal Modello standard e chiamate WIMP, acronimo per Weakly Interacting Massive Particles. Secondo gran parte dei ricercatori, i più accreditati costituenti della materia oscura potrebbero dunque essere proprio queste ipotetiche particelle massicce e debolmente interagenti. Il grosso guaio nel dimostrare la loro esistenza è la natura incredibilmente sfuggente delle WIMP: la loro interazione con la materia ordinaria è talmente rara da rendere la rilevazione di tali interazioni una sfida estrema.

Stando alle considerazioni teoriche che descrivono la natura di queste elusive particelle, però, oltre a interagire con la materia ordinaria con i ben noti effetti gravitazionali, le WIMP potrebbero interagire in modo ancor più significativo: occasionalmente, infatti, potrebbero colpire un nucleo pesante e tale evento rilascerebbe un lampo di luce. Purtroppo, la rilevazione di questa traccia è resa complicata da numerosi fattori. Al di là della sensibilità della strumentazione e dell’accurata scelta del materiale da impiegare quale bersaglio, bisogna infatti mettere in conto sia l’estrema rarità dell’evento, come pure il disturbo arrecato dalla presenza di eventi molto meno rari e appetibili innescati da altri fenomeni, quale per esempio il passaggio di un raggio cosmico.

Nonostante le evidenti difficoltà, sono numerose le collaborazioni internazionali che stanno battendo questo campo di ricerca. Tra di esse figura l’esperimento LUX (Large Underground Xenon), condotto in Sud Dakota presso le strutture della SURF (Sanford Underground Research Facility) ricavate nelle profondità di una miniera d’oro abbandonata. Come dice il nome stesso dell’esperimento, i nuclei con i quali dovrebbero interagire le WIMP sono atomi di Xeno: nella versione più recente dell’esperimento si tratta di una massa di 350 chilogrammi di Xeno liquido racchiusa in un contenitore che la mantiene a una temperatura di 100 gradi sotto zero. Il compito di catturare il debole impulso luminoso che emerge dall’interazione della materia oscura con il gas è affidato a 122 rilevatori. Per garantire un’efficace schermatura dall’azione di raggi cosmici, radiazione gamma e neutroni, il contenitore con lo Xeno è immerso in un cilindro del diametro di 8 metri e alto 6 metri riempito d’acqua. Un’ulteriore fondamentale schermatura è stata poi ottenuta scegliendo di collocare l’esperimento ai 1500 metri di profondità della vecchia miniera di Homestake.

Risultati deludenti?

Dopo una prima sessione di rilevazioni durata circa tre mesi e conclusasi tre anni fa, LUX è stato portato all’attuale configurazione e nel settembre 2014 è iniziato il nuovo periodo osservativo che si è protratto per 332 giorni. Lo scorso luglio, nel corso della Conferenza Internazionale IDM2016 (Identification of Dark Matter 2016) tenutasi a Sheffield, i ricercatori di LUX hanno presentato i risultati della sessione concludendo che dall’analisi dei dati raccolti nel corso dell’esperimento non emergeva nessuna evidenza osservativa dell’interazione delle WIMP con gli atomi di Xeno. La lunga caccia di LUX, insomma, si chiudeva con un nulla di fatto.

Nel gioco del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, la prima inevitabile sensazione è ovviamente la delusione di non essere riusciti, nonostante gli sforzi profusi, a imbrigliare la materia oscura. Dalle dichiarazioni di Rick Gaitskell, docente della Brown University e portavoce dell’esperimento, emerge anche dell’altro: “Fin dalla sua prima sessione del 2013, LUX ha mostrato di essere il meglio al mondo in quanto a sensibilità. Ebbene, con quest’ultima sessione i ricercatori di LUX hanno spinto la sensibilità dello strumento ancora oltre, raggiungendo un livello 4 volte superiore a quanto previsto in origine. Certo, se questa sensibilità ci avesse consegnato anche un chiaro segnale della materia oscura sarebbe stato meraviglioso, ma quanto abbiamo osservato è in linea con il fondo naturale.”

Proprio la nuova sensibilità raggiunta dagli strumenti impiegati in questa caccia all’elusiva materia oscura possono costituire il punto di forza dell’esperimento appena concluso. I nuovi limiti di rilevamento, infatti, potranno essere utilizzati dai teorici per eliminare alcune tra le potenziali particelle suggerite dai vari modelli che provano a inquadrare cosa componga la materia oscura, offrendo dunque nuove linee guida per chi le sta dando la caccia. Il nulla di fatto di LUX, insomma, apre immediatamente la strada a progetti ancora più ambizioni e raffinati.

Nuovi esperimenti in preparazione

Tra questi esperimenti di prossima generazione vi sarà, per esempio, LUX-Zeplin (LZ), che sostituirà LUX al Sanford Underground Research Facility. Con un serbatoio di 7 tonnellate di Xeno, venti volte quello impiegato da LUX, il nuovo esperimento utilizzerà 488 fotomoltiplicatori e dovrebbe avere una sensibilità 70 volte quella di LUX.

La caccia alle WIMP, però, non si svolge solamente nella miniera di Homestake. Tra gli esperimenti in preparazione merita una menzione particolare Xenon 1T, un progetto scientifico internazionale che coinvolge quasi 130 ricercatori appartenenti a 21 differenti istituzioni di ricerca - l’Italia è rappresentata dall’INFN e dalle Università di Bologna e Torino - e che ha la sua base operativa nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. L’esca predisposta per le WIMP è, anche qui, un thermos di acciaio con una tonnellata di Xeno, opportunamente mascherata dalle influenze esterne dal serbatoio di 700 metri cubi di acqua ultrapura in cui è immerso il thermos e dai 1400 metri di roccia del Gran Sasso. Anche in questo caso si tratta del notevole potenziamento di un esperimento precedente, denominato XENON, per il cui rilevatore erano stati impiegati solo 62 chili di Xeno.

Ancora non sappiamo se e quando questa caccia alle WIMP potrà portare il risultato tanto atteso. A tal proposito sono davvero significative le parole di Elena Aprile, docente alla Columbia University di New York e coordinatrice del progetto Xenon 1T, in una intervista rilasciata il giugno scorso: “Siamo in un momento critico. Se le WIMP esistono davvero e sono come pensiamo, nel giro di due o tre anni abbiamo grandi possibilità di scoprirle. E comunque, intanto, cresceremo ancora di sensibilità, spingendoci fino al limite tecnico e teorico dei nostri rivelatori. Entro la fine di questo decennio, o poco oltre, saremo in grado di capire se dobbiamo cercare altro”.

Insomma, sempre pronti, se dovesse rivelarsi necessario, anche a cambiare radicalmente strada.


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