fbpx Ecco come i virus battono il nostro sistema immunitario | Science in the net

Ecco come i virus battono il nostro sistema immunitario

Tempo di lettura: 4 mins

Come il sistema immunitario si è evoluto per combattere le infezioni, così gli agenti patogeni si sono evoluti per sfuggirlo. La forma e la struttura degli agenti patogeni e del sistema immunitario sono il prodotto di questa costante battaglia per la sopravvivenza. Durante questo processo di coevoluzione, sia gli agenti patogeni sia il sistema immunitario hanno sviluppato i propri punti di forza, ma anche le proprie debolezze. 

La risposta ancestrale e acquisita ai virus del nostro sistema immunitario 

Proprio in queste settimane uno studio pubblicato su Cell spiega come Homo sapiens abbia “preso in prestito” alcune varianti genetiche dai Neanderthal, e che proprio queste varianti siano fondamentali nei meccanismi di risposta a un’infezione virale.

Appena un virus entra nel vostro organismo, la parte innata del sistema immunitario si attiva. È un tipo di risposta che di solito non sconfigge però un’infezione. Il vero lavoro sporco per neutralizzare un’infezione spetta infatti alla parte acquisita del sistema immunitario, la parte con armi mirate del nostro sistema immunitario che continua a costruirsi e ad arricchirsi durante tutta la vostra vita. Nello specifico quando un virus entra nell’organismo, i linfociti B si attivano e producono anticorpi specifici, delle proteine a forma di Y, che si attaccano alla superficie del virus, disattivandolo o segnalandolo ad altre cellule del sistema immunitario, che possono così riconoscere il corpo estraneo ed eliminarlo.

Come alcuni virus bypassano le difese

Alcune malattie però possono intaccare i fini meccanismi che regolano il sistema immunitario. Un esempio è l’AIDS in cui il virus dell’HIV è in grado di abbassare drasticamente le difese immunitarie dell’individuo, rendendolo molto vulnerabile all’attacco di un qualsiasi altro patogeno. Come l’HIV anche i virus dell’Epatite B e dell’Epatite C riescono a evadere la risposta del sistema immunitario. Ma come fanno questi virus a bypassare le difese naturali dell’organismo, invadendolo e proliferando senza che il sistema immunitario sia in grado di fermarli? A questa domanda hanno trovato una risposta i  ricercatori dell'Irccs ospedale San Raffaele di Milano che  sono riusciti a spiegare per la prima volta la strategia adottata da questi microrganismi. Come descritto nello studio pubblicato su Science Immunology, gli scienziati oltre a mettere in luce questo processo sono riusciti anche a contrastarlo.

“Siamo andati a osservare cosa accade nei linfonodi, dove normalmente i linfociti B si attivano per produrre gli anticorpi. L’obiettivo era capire cosa va storto nel funzionamento della risposta immunitaria”, spiega Matteo Iannacone, a capo dell’Unità di ricerca in Dinamica delle Risposte Immunitarie nella Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive del San Raffaele. Per capire cosa non va nel sistema immunitario l’équipe di Iannacone ha utilizzato la rivoluzionaria tecnica della microscopia intravitale, che ha consentito di osservare dall'interno e in tempo reale come si comportano le cellule del sistema immunitario in azione.

Osservare le patologie in vivo con la microspia intravitale

Questa tecnica è stata sviluppata vent'anni fa nei laboratori di fisica e prestata alla biologia da ormai dieci anni per permettere ai ricercatori di vedere in modo dinamico - come in un film - le interazioni e gli spostamenti di alcune cellule caratterizzate dalla capacità di muoversi: si tratta di macrofagi, neutrofili, linfociti, cellule che compongono il sistema immunitario e che quindi devono potersi spostare per raggiungere il sito di infezione. La capacità di osservare direttamente ciò che succede in vivo è un cambio di paradigma molto rilevante per la ricerca biomedica, perché ci permette di studiare direttamente le patologie nel loro divenire invece di ricostruirle a posteriori. È un po’ come se un meccanico miniaturizzato fosse dentro il motore di una macchina per vedere esattamente dove si trova il guasto.

I monociti killer di linfociti B

Applicando la microscopia intravitale i ricercatori dell’Irccs hanno visto che i virus LCMV (un virus dei topi molto usato per mimare alcuni tipi di infezioni virali nell’uomo, quelle causate dai cosiddetti virus non-citopatici, come il virus dell’HIV, dell’epatite C o dell’epatite B) sono capaci di richiamare nei linfonodi una popolazione particolare di cellule del sistema immunitario – i monociti infiammatori – e di scatenarle contro i linfociti B, uccidendoli: questo blocca la produzione di anticorpi, che a sua volta permette la proliferazione del virus.

“Una volta identificato il meccanismo che i virus sfruttano per persistere nell’ospite”, spiega Iannacone, “abbiamo provato a intervenire direttamente sui monociti infiammatori che sembravano ostacolare la risposta immunitaria e abbiamo scoperto che eliminandoli, impedendone l’arrivo nei linfonodi o ancora disattivandone la funzione – si ripristina una corretta risposta immunitaria: i linfociti B riescono di nuovo a produrre anticorpi così da eliminare il virus” (guarda il video)

Il lavoro - finanziato da European Research Council (Erc), Fondazione Giovanni Armenise-Harvard, dell’Airc, European Molecular Biology Organization (Embo) e Ministero della Salute italiano - potrebbe avere applicazioni anche nella progettazione di nuovi vaccini.

Potremmo trovarci di fronte quindi a una svolta importante dato che l'infezione da HIV e le epatiti croniche virus correlate (HBV e HCV) rappresentano ancora oggi uno dei problemi più rilevanti per la salute pubblica. Ogni anno nel mondo vi sono 2 milioni di nuove infezioni da HIV, e in Italia circa 150.000 persone vivono con l'infezione da HIV/AIDS; di queste più della metà vengono identificate tardivamente.  "Capire come alcuni virus sono in grado di impedire la risposta immunitaria può aiutarci a disegnare vaccini migliori", confidano gli autori.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Discovered a New Carbon-Carbon Chemical Bond

A group of researchers from Hokkaido University has provided the first experimental evidence of the existence of a new type of chemical bond: the single-electron covalent bond, theorized by Linus Pauling in 1931 but never verified until now. Using derivatives of hexaarylethane (HPE), the scientists were able to stabilize this unusual bond between two carbon atoms and study it with spectroscopic techniques and X-ray diffraction. This discovery opens new perspectives in understanding bond chemistry and could lead to the development of new materials with innovative applications.

In the cover image: study of the sigma bond with X-ray diffraction. Credits: Yusuke Ishigaki

After nearly a year of review, on September 25, a study was published in Nature that has sparked a lot of discussion, especially among chemists. A group of researchers from Hokkaido University synthesized a molecule that experimentally demonstrated the existence of a new type of chemical bond, something that does not happen very often.