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Buone e cattive notizie sull'AIDS

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E’ da pochi giorni disponibile il rapporto di UNAIDS (Joint United Nations Programme on HIV/AIDS) sulla situazione globale dell’infezione da HIV e sull’AIDS che ne è la conseguenza in assenza di terapia antiretrovirale di combinazione (cART). Una buona notizia, seppur parzialmente, è il fatto che oltre 18 milioni di persone nel mondo (tra cui 910.000 bambini) stanno attualmente ricevendo la cART, un numero mai raggiunto prima e che fa ben sperare di giungere al traguardo di 30 milioni di persone in cura entro il 2020.

Questa buona notizia non deve indurre la falsa impressione che l’epidemia sia sotto controllo: solo nell’ultimo anno, oltre 2 milioni di persone (tra cui 150.000 bambini) si sono infettati e più di un milione di persone sono morte di AIDS  (Tabella). In Africa la situazione è particolarmente critica per le giovani donne che vengono infettate prevalentemente da maschi in età adulta.

Vi sono quasi 6 milioni di persone HIV-1 in vita (altro numero senza precedenti nella storia di questa malattia) grazie alla cART; tuttavia, le persone sieropositive dimostrano un rischio di sviluppare complicazioni croniche 5 volte superiori alle persone sieronegative della stessa età, comportando anche un aumento significativo dei costi sanitari relativi. Inoltre, sempre nel 2015, quasi la metà dei decessi da AIDS sono stati causati dalla concomitante tubercolosi, quasi a ricordarci che le malattie infettive “viaggiano insieme”.

Dei 150.000 casi pediatrici, la metà è causata dall’allattamento al seno; la buona notizia è che la somministrazione della cART alla madre previene l’infezione al bambino e permette di continuare questa forma di nutrizione, spesso senza alternativa nelle zone più povere del mondo.

Tra le cattive notizie di UNAIDS, il fatto che le cosiddette “popolazioni chiave” per l’epidemia non dimostrino una diminuzione del numero di nuove infezioni (persone transgender e “sex workers”), e siano anzi in aumento tra i tossicodipendenti e gli omosessuali maschi.

La situazione globale è quindi a luci e ombre, ridimensionando l’ottimismo di chi vuol vedere la luce in fondo al tunnel, ovvero di poter ipotizzare la fine dell’AIDS per il 2030, anno in cui UNAIDS aveva previsto (nel 2014) di poter estendere la cART a tutte le persone infettate del pianeta.

Le difficoltà di realizzazione di quest’ambizioso obiettivo sono molteplici: finanziarie, mancata evidenza di un calo delle nuove infezioni (vedi sopra) e il fatto che le persone che dovrebbero iniziare la terapia non necessariamente lo fanno (come succede soprattutto tra le categorie più svantaggiate) (1). Al riguardo, UNAIDS ha corretto il tiro, fissando l’obiettivo fondamentale noto come “90-90-90” (90% delle persone sieropositive a conoscenza del fatto di esserlo, 90% di loro in terapia, e 90% di coloro che sono in terapia con una completa soppressione della replicazione virale). Al riguardo, negli USA solo il 30% delle persone in terapia dimostrano un azzeramento della viremia plasmatica (1).

E il vaccino?

Tra le buone notizie, almeno in potenza, vi è che lo sforzo internazionale per identificare un vaccino preventivo finalmente efficace non è cessato. E’ sempre di questi giorni l’annuncio dell’inizio dello studio clinico HVTN 702, sponsorizzato dai governi USA e Sud-Africano con 130 milioni di dollari e che avrà l’obiettivo di verificare ed espandere il risultato dell’unico trial vaccinale che abbia dimostrato una pur modesta capacità preventiva (31% in tre anni), ovvero il trial RV144 del 2009 (2) in Thailandia. Lo studio riguarderà 5.400 persone non infettate e sarà controllato con un placebo. Non mancano i dubbi e coloro che ritengono che questi soldi potrebbero essere meglio utilizzati, ma almeno sapremo se lo studio RV144 è stato il risultato di una serie di eventi irripetibili o ha una dimostrabilità scientifica eventualmente scalabile per giungere ad un vaccino efficace (3).

Oltre al trial vaccinale, un’altra importante notizia di oggi (primo dicembre 2016) è la pubblicazione contemporanea di due studi condotti in Africa in cui si è testata la potenziale efficacia di un anello vaginale medicato con il farmaco antiretrovirale davirapina (inibitore della retrotrascrittasi virale). L’efficacia complessiva è stata modesta (27-31%), ma si è rivelata maggiore nelle donne con 21 o più anni (37-56%) rispetto alle più giovani che non sono risultate significativamente protette, probabilmente a causa della scarsa aderenza terapeutica (4).

L’Italia indietro in ricerca ed educazione

E l'Italia? Il nostro paese ha riconquistato la dignità che le compete rifinanziando il Global Fund per la lotta alle tre (principali) malattie della povertà (AIDS, Malaria e Tubercolosi) con 130 milioni di € per tre anni a partire dal 2017, e ciò è sicuramente una notizia molto positiva. Per contro, da diversi anni i governi che si sono succeduti non hanno più rifinanziato il Programma Nazionale di Ricerca su HIV/AIDS che con meno di 10 milioni di € spalmati su 2-3 anni permetteva alla ricerca del nostro Paese di partecipare e competere con successo alla lotta a questa malattia su scala internazionale formando le nuove generazioni di ricercatori in grado non solo di studiare il virus dell’AIDS, ma spesso anche di affrontare le emergenze virali quali oggi quella rappresentata dal virus Zika.

Possiamo sperare in un’inversione di rotta e in un rinnovato interesse del nostro Governo all’educazione sessuale dei più giovani (e non) nonché in un’iniezione di fiducia nella nostra comunità scientifica che, nonostante tutte le difficoltà, continua ostinatamente a investire nello studio di questa malattia virale e delle complesse patologie ad essa correlati? Buon primo dicembre a tutti!

Referenze bibliografiche
1) Cohen J. INFECTIOUS DISEASE. Obstacles loom along path to the end of AIDS. Science. 2016 Jul 29; 353 (6298): 432-3.
2) S. Rerks-Ngarm et al., Vaccination with ALVAC and AIDSVAX to Prevent HIV-1 Infection in Thailand. NEJM N Engl J Med 2009; 361: 2209-2220
3) Cohen J. Controversial HIV vaccine strategy gets a second chance. Science. 2016 Nov 4; 354(6312): 535.
4) A.A. Adimora. Preventing HIV among women – a step forward, but much farther to go. NEJM 375: 2195-2196, 2016. 


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