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Ricordando Primo Levi

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La ricorrenza del Giorno della Memoria (27 gennaio) è l’occasione per ricordare un aspetto di Primo Levi che forse i lettori di Se questo è un uomo e de La tregua non conoscono a sufficienza: quello dell’osservatore curioso e del divulgatore giocoso. Chi non vuole ignorare un tratto essenziale della poliedrica personalità di questo intellettuale, non deve perdere la mostra itinerante “I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza”, in corso fino al 19 febbraio 2017 al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano: la mostra è allestita dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino, con il sostegno di Material ConneXion Italia e la collaborazione dell’Associazione Figli della Shoah.

In una serie di articoli comparsi soprattutto sulla Stampa di Torino, la città dove era nato e che amava, Primo Levi si produce in estemporanee incursioni negli altrui mestieri di zoologo, di etologo, di antropologo o di biologo, dai quali riporta al lettore notizie spicciole di realtà fantasmagoriche, sulle cui tracce è giunto con il fiuto che solo uno scienziato possiede.

Natura meravigliosa

Così, egli tributa la sua ammirazione alla sagacia e alla perfezione dei disegni della natura, sempre svincolati da una dimensione morale, che di volta in volta ritrova nella capacità della pulce di saltare in alto di una misura 100 volte maggiore di quella del suo corpo, nella deposizione di una larva di un insetto all’interno di un altro insetto vivo per assicurarle il nutrimento, nella resina che sciami di microscopici parassiti secernono a propria difesa (e che l’uomo ha utilizzato chiamandola gommalacca), nei riti macabri nuziali dei ragni.

Primo Levi è un divulgatore entusiasta: nei suoi brevi scritti, partecipa il lettore delle meraviglie del mondo animale piccolo e minimo, con l’aria di dirgli: “Senti un po’ cosa sono venuto a sapere!”.

Tuttavia, a destare sempre la sua emozione più profonda è il campo del suo proprio mestiere, quello che ha scelto e che gli ha salvato la vita prima nel lager e poi negli anni del ritorno a un’impossibile normalità: la chimica e, in particolare, la chimica organica, con il comporsi e lo scomporsi degli elementi che danno luogo a sostanze prodigiosamente diverse tra loro.

Per contagiare il lettore sorprendendolo, Primo Levi gli fa sapere che il carbonio, fissato dai vegetali sfruttando l’anidride carbonica presente nell’aria, è 40 volte più abbondante del carbonio che nello stesso tempo viene estratto dalle miniere di carbon fossile, come si trova scritto nello “stupefacente” libro The odd book of data del suo collega olandese Houwink, studioso dei polimeri e dei paradossi, oppure che strofinando con un panno l’ambra (il cui nome greco è électron), si ricavano sfrigolii e scintille, come accade anche per attrito di liquidi con solidi.

Il linguaggio dei chimici

E poi, meraviglia delle meraviglie, Primo Levi racconta al lettore la storia del linguaggio dei chimici, quello che ha dato un nome al milione di molecole, sostanze e composti che essi, nel corso dei secoli, hanno isolato, riconosciuto o prodotto: “…adesso il mio mestiere è un altro, è un mestiere di parole, scelte, pesate, commesse a incastro con pazienza e cautela; così, per me, anche gli elementi tendono a diventare parole, invece della cosa mi interessa acutamente il suo nome e il perché del suo nome”.

Vengono passati in rassegna alcuni dei nomi dei novantadue elementi esistenti in natura, delineando “un mosaico pittoresco che si estende nel tempo dalla lontana preistoria a oggi e in cui affiorano forse tutte le lingue e le civiltà dell'Occidente: i nostri misteriosi padri indoeuropei, l'antico Egitto, il greco dei greci, il greco dei grecisti, l'arabo degli alchimisti, gli orgogli nazionalistici del secolo scorso, fino all'internazionalismo sospetto di questo dopoguerra”.

Si viene, così, a sapere che N e Na, i simboli di azoto e sodio (nitrogenium e natrium) nascono in epoca latina, per aggiunta delle vocali, mentre gli antichi egizi indicavano genericamente con le consonanti ntr tutte le efflorescenze saline sia quella dei muri (il salnitro, costituito da azoto, ossigeno e potassio) sia quelle di carbonato di sodio usato nella mummificazione. Azoto (che, in greco, vorrebbe dire “senza vita”) è il termine attribuito da un francese, ma esso viene chiamato nitrogen (“generato dal nitro”) dagli inglesi e in medicina si ritrovano entrambe le nomenclature.

I chimici non amavano particolarmente dare il loro nome agli elementi che scoprivano; fanno eccezione il finlandese Gadolin (che ha scoperto il gadolinio) e il francese Lecocq che ha latinizzato la sua scoperta in gallio. In epoca più recente, alcuni dei nuovissimi e instabili elementi ottenuti nei reattori nucleari e negli acceleratori di particelle sono stati dedicati, da altri, a Mendeleev, a Einstein, a Marie Curie, ad Alfred Nobel e a Enrico Fermi.

Di solito, gli elementi hanno nomi che ricordano le loro proprietà: il cloro, lo iodio, il cromo derivano il loro nome dal nome greco del colore dei loro sali o vapori (verde, viola, colorato); bario significa pesante e fosforo luminoso; bromo e osmio puzzano. Idrogeno significa generato dall'acqua e ossigeno generato dagli acidi; il disprosio è l'impervio, il lantanio è il nascosto e il tantalio è quello che ha fatto soffrire il supplizio di Tantalo al suo scopritore, prima di disvelarsi.

La benzina deve il suo nome italiano e tedesco a un tortuoso percorso che parte dal benzoino, una resina profumata importata fin dall’antichità dalla Thailandia e da Sumatra, dai mercanti e navigatori arabi, che la commerciavano chiamandola luban giaví. “Lu” è sembrato un articolo ai parlanti le lingue neolatine ed è rimasto bangiaví, pronunciato e scritto in vari modi, fino a diventare “benzoino”. Nel 1833 un chimico tedesco sottopose il benzoino alla distillazione secca, per separare la parte volatile, nobile, "essenziale" insomma, l’anima, dal residuo inerte che rimaneva in fondo alla storta: infatti, la benzina si chiama essence in francese e la parola "spirito" accomuna nel suo significato l’anima, l'alcool e gli altri liquidi che evaporano facilmente. L’essenza (l’anima) del benzoino venne chiamata benzina.

Come diceva Carl Gustav Jung, gli intellettuali non sono indifferenti alle coincidenze e Primo Levi sottolinea come si chiamasse Karl Benz (quello della Mercedes-Benz) l'uomo che nel 1885 costruì il primo motore a benzina efficiente. Fu, invece, francese il chimico che distillò lo spirito di legno dall’aroma simile a quello del vino, e lo chiamò methy hyle, perché in greco hyle è il legno, e methy indica i liquidi inebrianti (l'ametista si credeva combattesse l'ubriachezza). Methy hyle si mutò in alcool metilico e poi in metano, poiché i chimici si accordarono sul dare la desinenza -ano agli idrocarburi saturi (etano, protano, butano e poi pentano, esano, eptano secondo il numero dei rispettivi atomi di carbonio).

"Le parole scelte e pesate"

Alla fine, il linguaggio dei chimici, per diventare più significante, ha abbandonato i nomi di fantasia ed è regredito all'illustrazione, alla pittografia, pur continuando ad adottare i simboli degli elementi: le formule strutturali, così difficili da comporre per gli stampatori, raggiungono il massimo della comprensibilità e dell'internazionalità. Al posto della forma degli atomi, esse hanno il loro simbolo grafico e le forze che tengono insieme gli atomi sono rappresentate da trattini. Ora che le tecniche di rappresentazione della materia sono molto avanzate, è “stupefacente” (parole che ritorna nelle esplorazioni scientifiche di Primo Levi) scoprire che “ le molecole-parole, i disegnini ricavati dal ragionamento e dall'esperimento, sono proprio assai simili alle particelle ultime della materia che gli antichi atomisti avevano intuito vedendo i granelli di polvere che danzavano in un raggio di sole*”.1

Queste e altre cose che, aumentando la conoscenza del mondo, rendono la permanenza in esso degna di essere vissuta, racconta Primo Levi nei suoi libri, incantando il lettore con la sua prosa così scorrevole, proprio perché fatta di “parole scelte e pesate”; verrebbe da dire che sia una prosa limpida, se non fosse che è limpido ciò che lascia guardare il fondo, ma la prosa di Primo Levi non ha mai lasciato vedere il fondo della sua anima, in cui si annidava il groviglio inestricabile delle sofferenze, che ha avuto la meglio sulle meraviglie del mondo.

1 Da L’altrui mestiere. Einaudi: Torino, 1985.

 

 

 

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