fbpx Abdus Salam, il pakistano visionario | Science in the net

Abdus Salam, il pakistano visionario

Primary tabs

Read time: 22 mins

Il 21 novembre 1996, venti anni fa e poco più, si spegneva a Oxford il fisico pakistano Abdus Salam, il primo scienziato islamico a essere insignito del Premio Nobel (per la fisica, nel 1979, insieme a Sheldon Glashow e a Steven Weinberg, per l’elaborazione della teoria elettrodebole).

Abdus Salam è anche il fondatore, insieme a Paolo Budinich, dell’International Centre for Theoretical Physics (ICTP): il primo centro scientifico al mondo su cui, dal 1964 a Trieste, garrisce la bandiera delle Nazioni Unite, realizzato sulla base di un’idea forte che Abdus Salam esprimeva così: “Scientific thought and its creation is the common and shared heritage of mankind”: il pensiero scientifico e la sua creazione sono il patrimonio comune e condiviso dell’umanità.

Ed è per fare in modo che questo patrimonio comune e condiviso arrecasse benefici all’intera umanità, che Abdus Salam propose di allestire un centro dove formare alla fisica teorica i giovani più valenti dei paesi in via di sviluppo. Non solo per il valore culturale intrinseco di una simile iniziativa, ma anche perché la scienza è il motore dello sviluppo economico. E la scienza di base è il primum movens della scienza. In altri termini – questo era il pensiero di Abdus Salam, in controtendenza rispetto a molto analisti – i paesi in via di sviluppo non possono fare a meno di eccellere anche nelle scienze più astratte se vogliono recuperare il gap economico che li separa dai paesi più avanzati.

Abdus Salam è nato il 29 gennaio1926 a Jhang, in Pakistan, appunto, e si è laureato presso il Punjab University’s Government College di Lahore. Poi si è trasferito in Inghilterra per studiare matematica al St. John’s College dell’università di Cambridge. Nel 1951 consegue il dottorato in fisica presso il Cavendish Laboratory. Abdus Salam conferma tutte le potenzialità dimostrate fin da ragazzo e si dimostra fisico teorico di gran classe. Potrebbe restare in Inghilterra, ma decide di tornare a casa, per insegnare e fare ricerca nel suo paese. Una volta in Pakistan, si rende conto che puoi certamente insegnare, ma, anche se sei un fisico teorico, non hai modo di fare ricerca di frontiera. Non hai interlocutori. Le strutture sono poche e antiquate. Mancano persino le riviste. Insomma, Abdus Salam sente di essere isolato. E poiché la sua aspirazione è fare fisica teorica, ecco che, sia pure con la morte nel cuore, lascia di nuovo il Pakistan e ritorna in Gran Bretagna.

Per quanto dolorosa, la scelta si rivela pagante. Abdus Salam brucia tutte le tappe. E nel 1958, a soli 32 anni, diventa il primo professore di fisica teorica all’Imperial College di Londra, con l’aura di essere uno dei più creativi al mondo nella teoria fisica delle alte energie, più nota al grande pubblico come fisica delle particelle.

In quegli stessi anni il giovane Salam diventa un protagonista della science diplomacy: la scienza che si propone come strumento efficace di collaborazione tra le nazioni del pianeta. Abdus Salam diventa membro della delegazione pakistana presso l’International Atomic Energy Agency (IAEA), l’Agenzia delle Nazioni Unite che, a partire dal 1957, si occupa di energia atomica. Una posizione davvero strategica, quella del fisico pakistano, visto che l’IAEA ha sede a Vienna ed è nata sia per diffondere l’uso pacifico dell’energia nucleare sia per cercare di evitare, a livello militare, la proliferazione delle armi atomiche e promuovere invece il disarmo nucleare.

Abdus Salam non ha dimenticato i motivi che lo hanno indotto a lasciare il suo paese. Così pensa di usare la sua posizione diplomatica per cercare di rompere il sostanziale isolamento scientifico del Pakistan e di tutti i paesi in via di sviluppo. E così matura l’idea che, per raggiungere questo obiettivo, occorra fondare un centro di studio e di ricerca di valore assoluto, sotto l’egida delle Nazioni Unite, in cui i giovani più bravi provenienti dal Terzo Mondo possano ottenere la migliore formazione e poi tornare nei loro paesi d’origine.

La fisica per la pace

Quella di un centro internazionale di fisica sotto la bandiera delle Nazioni Unite ha il vantaggio di non essere un’idea del tutto nuova. L’avevano già proposta alcuni tra i più grandi fisici contemporanei: da Albert Einstein a Niels Bohr, all’americano Robert Oppenheimer, il direttore scientifico del Progetto Manhattan. Ed è sostanzialmente condivisa dalla gran parte dei fisici di tutto il mondo: la fisica può (deve) aiutare la costruzione della pace nel mondo.

Tuttavia Abdus Salam la interpreta in maniera originale: la fisica può (deve) aiutare a costruire la pace favorendo lo sviluppo tecnologico ed economico del Terzo Mondo.

L’idea inizia ad assumere una veste concreta tra il 22 e il 26 giugno 1960, quando Salam accetta di intervenire, quale ospite d’onore, al Symposium on Elementary Particle Interactions che Paolo Budinich ha organizzato presso il castello di Miramare a Trieste. Il pakistano resta evidentemente colpito non solo dai contenuti, ma anche dalle condizioni al contorno. Tanto che firma, insieme a David Feldman, un resoconto per la rivista Physics Today in cui annuncia che Paolo Budinich intende trasformare il simposio in un evento annuale.

Tuttavia ancora nulla lega l’idea di realizzare un centro di fisica sotto l’egida delle Nazioni Unite alla città di Trieste. Ma nel successivo mese di agosto Abdus Salam partecipa alla Rochester Conference, la più importante conferenza mondiale sulla fisica delle alte energie, organizzata a New York da Robert Marshak. È un evento mondiale, cui partecipano tutti i fisici più importanti del settore. Ma proprio nel 1960, con l’inasprirsi del clima da guerra fredda, i sovietici hanno deciso di disertarlo. Una rottura che molti vogliono risanare. Così, in quel mese di agosto del 1960, il relatore principale della conferenza, John McCone, presidente della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti, propone la creazione di un Joint International High Energy Physicist Institute, un istituto indipendente in cui possano partecipare in maniera paritaria scienziati dell’Est e dell’Ovest.

La proposta ispira Abdus Salam e la sera ne parla con Marshak e con altri influenti colleghi: Robert Sachs, Nicholas Kemmer, Victor Weisskopf e Hans Bethe. Tutti convengono: non fosse altro che per motivi economici, è bene che un simile centro sia un istituto di fisica teorica sotto l’egida dell’IAEA. E chi meglio di Abdus Salam può catalizzare le energie per la realizzazione dell’idea, visto che è sia un autorevole fisico teorico, capace di trovare ascolto presso tutti i colleghi, sia un diplomatico che può trovare ascolto tra le delegazioni dei paesi del Terzo Mondo rappresentati all’IAEA?

Detto, fatto. A settembre, a Vienna, alla Conferenza Generale dell’IAEA, su indicazione di Salam la delegazione pakistana presenta una risoluzione per la costituzione di un centro internazionale di fisica teorica sotto l’egida della Nazioni Unite.

Il ragionamento del giovane fisico pakistano è molto chiaro. Se il Sud del mondo è povero è perché non c’è stata quella rivoluzione tecnologica che nel XIX secolo si è consumata nel Nord del mondo, "saldamente basata su una padronanza scientifica delle leggi naturali". Ne consegue che se il Sud del mondo vuole sconfiggere la povertà e raggiungere il livello di sviluppo e di ricchezza del Nord, deve realizzare una rivoluzione tecnologica fondata sulla conoscenza scientifica.

Ma ciò può avvenire solo se il Terzo Mondo raggiunge lo stesso livello di eccellenza scientifica del Primo Mondo. Un’impresa difficile, ma non impossibile. Occorre, però, che la comunità scientifica internazionale se ne faccia carico.

La posa della prima pietra dell’ICTP ebbe luogo a Trieste in una piovosa giornata estiva il 18 giugno 1964. Fu un evento a cui parteciparono le autorità politiche e religiose del tempo e, naturalmente, gli scienziati. Ci vollero altri quattro anni perché l’edificio principale fosse completato (qui in una foto del 1968).

Nella relazione a sostegno della risoluzione presentata alla Conferenza dell’IAEA, scritta per politici e diplomatici, Abdus Salam spiega che esiste una correlazione lineare tra scienza, sviluppo tecnologico ed economia. Che uno sviluppo indipendente dell’economia dei paesi poveri può avvenire solo attraverso l’acquisizione di una loro indipendente capacità scientifica. E che, infine, la fisica teorica ha un ruolo primario nell’acquisizione di una capacità scientifica indipendente, soprattutto in campo nucleare. L’idea fondamentale che l’energia atomica possa essere impiegata a vantaggio dell’umanità non è forse figlia delle idee di due fisici teorici: Einstein e Bohr? E il primo reattore in cui è stata prodotta la prima reazione nucleare a catena controllata non è stato forse progettato e costruito da un altro fisico teorico (oltre che sperimentale): Enrico Fermi?

Dunque bisogna modificare la politica che l’IAEA ha adottato per la formazione dei giovani fisici nucleari del Terzo Mondo: quella di educarli nei grandi istituti scientifici dei paesi industrializzati. Perché questa politica favorisce inesorabilmente il flusso dei cervelli in un’unica direzione: dai paesi poveri verso i paesi ricchi. Occorre invece creare un centro internazionale di fisica teorica sotto la bandiera delle Nazioni Unite dove i giovani vengano seguiti in ogni fase di un ciclo che va dalla selezione dei migliori, alla loro formazione, al ritorno nei rispettivi paesi d’origine.

Per quanto originale, da taluni l’idea è ritenuta superata dalla creazione di centri, come il CERN di Ginevra, dove fisici teorici e sperimentali provenienti da ogni parte del mondo lavorano insieme. La proposta del pakistano si trasforma in una risoluzione presentata alla Conferenza Generale dell’IAEA e sottoscritta da Afghanistan, Repubblica Federale di Germania, Iran, Irak, Giappone, Filippine, Portogallo, Thailandia e Turchia, oltre che dal Pakistan.

La perorazione di Salam in assemblea è efficace. La risoluzione passa a grande maggioranza e con solo 11 astensioni, tra cui quelle di Canada e Regno Unito. Non solo Stati Uniti, Unione Sovietica, Giappone e Francia, ma anche l’India, paese leader del Terzo Mondo ma in rapporti niente affatto buoni col Pakistan, l’approva. Il Direttore Generale dell’IAEA nomina così una commissione per valutare se e come dare pratica attuazione alla proposta.

Incontri decisivi

Abdus Salam non si accontenta. E decide di scrivere ai due fisici che considera nella migliore posizione strategica per aiutarlo: l’americano Robert Oppenheimer e l’italiano Edoardo Amaldi.

Il primo non è più il leader del Progetto Manhattan. Ma dirige l’Institute for Advanced Study di Princeton. Salam gli chiede di intervenire presso John McCone, il nuovo presidente della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti, per convincerlo ad appoggiare l’iniziativa. Oppenheimer risponde che seguirà gli sviluppi della vicenda.

Poi, il 28 settembre 1960, Salam scrive una lettera a Edoardo Amaldi, che è il presidente dell’International Union of Pure and Applied Physics (IUPAP). L’italiano, che ha dato un contributo decisivo a fondare il CERN di Ginevra, risponde: appoggerò certamente l’iniziativa; ma non come presidente della IUPAP, perché il suo mandato è scaduto in giugno.

Il caso vuole che appena dopo aver ricevuto la lettera di Abdus Salam, Amaldi, che ha rappresentato l’Italia presso l’IAEA, si imbatta in Paolo Budinich a Roma, nelle stanze del Ministero della Pubblica Istruzione. Amaldi sa degli sforzi del triestino per sviluppare la fisica nella città giuliana. Così gli racconta del progetto di Abdus Salam e lo informa della risoluzione approvata in sede IAEA qualche settimana prima.

Budinich non perde tempo, capisce che per Trieste si apre una grande opportunità e scrive a Salam: perché non creare proprio nella mia città, che si trova in una posizione strategica, il nuovo istituto?

Agostino Origone, Rettore dell'Università degli Studi di Trieste, legge il testo della pergamena che sarà incapsulata nella prima pietra. Il testo dice: “Oggi, 18 giugno 1964, nel quarto centenario della nascita di Galileo, è stata posata la prima pietra di questo edificio universitario. Offerto da Trieste al Centro Internazionale di Fisica Teorica, istituito per decisione unanime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica per la cooperazione scientifica degli uomini”.

Salam risponde positivamente all’invito. E il 14 dicembre 1960 invia due lettere a Budinich. Una formale, in cui riconosce che Trieste gode “di una reputazione di città internazionale” ed esprime il “suo profondo interesse nel vedere l’Istituto ubicato in un posto così gradevole”. L’altra lettera è personale. Abdus Salam vi ricorda che l’atmosfera e il luogo del simposio di giugno gli sono piaciuti non poco, che è d’accordo con la proposta di candidare Trieste a sede dell’Istituto e chiude con le parole: “Forza e coraggio, lavoriamo insieme per mandare in porto il progetto”.

L’amicizia spontanea che si è creata nell’incontro informale di giugno è diventata il cemento con cui realizzare il progetto di Einstein e Bohr: un istituto internazionale di fisica con la bandiera delle Nazioni Unite. Con questa idea e con la lettera più formale di Salam, Budinich ottiene sia il mandato a procedere dall’università di Trieste, sia cento milioni dalla locale Cassa di Risparmio, sia un vasto terreno vicino al Castello di Miramare offerto dal principe Raimondo della Torre e Tasso.

In tempi brevissimi il progetto è approvato dalle autorità italiane, locali e nazionali: il 14 marzo 1961, meno di sei mesi dopo la risoluzione approvata a Vienna, Roma offre ufficialmente Trieste quale sede del nuovo centro. Ormai è fatta, pensano Budinich e Salam. Ma prima che “The Trieste Experiment”, come la stampa americana definisce l’iniziativa triestina, possa davvero essere avviata dovranno passare altri tre anni.

In campo, infatti, non c’è solo Trieste. Altre città si candidano: tra cui Lahore in Pakistan, Ankara in Turchia, Ragusa in Yugoslavia e Copenaghen in Danimarca. E poi occorre vincere la diffidenza delle grandi potenze: né gli USA né l’URSS vogliono creare un centro internazionale di fisica sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’argomento utilizzato è: nel mondo già esistono grandi centri dove si produce ottima fisica teorica, perché spendere soldi per crearne uno nuovo? Le grandi potenze possono farsi carico di finanziare borse di studio per i giovani del Terzo Mondo.

In realtà, in piena guerra fredda, le grandi potenze diffidano di iniziative che rompano lo schema dei due blocchi contrapposti, soprattutto in campi strategici, come la fisica. E poi i giovani valenti del Terzo Mondo vanno a studiare presso le università, i centri di ricerca e i laboratori di sviluppo industriale dei paesi del Nord del mondo. Perché interrompere questa gratuita acquisizione di cervelli?

Ma l’ostilità della grandi potenze non ferma la volontà di due lucidi visionari come Salam e Budinich. Che studiano una nuova strategia. I paesi del Terzo Mondo non vanno faticosamente cercando una terza via che li sottragga allo schema, asfissiante, dei due blocchi e consenta loro di tentare una strada autonoma verso lo sviluppo? Nel 1961, il presidente della Yugoslavia, Josip Broz Tito, non ha forse creato un’organizzazione di “paesi non allineati”, che presto raggiungerà un centinaio di membri, e di cui fanno parte anche nazioni importanti come l’India, il Brasile, l’Egitto e, sia pure a modo suo, la Cina? E allora, perché non far leva su queste forze? In breve, Abdus Salam prova, riuscendoci, a mobilitare un numero crescente di paesi in via di sviluppo in sede IAEA. L’idea del centro resta viva.

Non meno importante è l’azione diplomatica degli italiani. A coordinarla sono l’ambasciatore Egidio Ortona e lo stesso Paolo Budinich, che riesce a farsi nominare delegato presso l’IAEA.

Salam e Budinich danno prova della loro capacità di stringere alleanze. Ma, malgrado ciò, la partita è ancora aperta. Il 21 e 22 marzo 1961 è convocato a Vienna un gruppo di esperti per stabilire le modalità di costituzione del centro. Il gruppo è diretto da un fisico italiano, Carlo Solvetti, direttore della divisione Ricerca e Laboratori dell’IAEA. C’è Salam e c’è, anche se solo come osservatore, Paolo Budinich. Tutti i membri del gruppo sono fisici teorici. Tutti sono vicini a Salam o a Budinich o a entrambi.

Un dettaglio della pergamena, scritta in latino e in inglese, e firmata da dignitari locali, nazionali ed internazionali.

Il gruppo ribadisce all’unanimità l’opportunità politica e culturale di creare il centro e ne calcola il costo: almeno mezzo milione di dollari per anno nei primi due anni e almeno un milione di dollari per anno nei successivi. Il gruppo inoltre definisce i sei caratteri della sede ideale: una città vivibile, con un buon accesso, un’università con un buon dipartimento di fisica, collegato con altri centri importanti di fisica teorica e sperimentale e con buoni laboratori sperimentali con un facile accesso ai sistemi computazionali.

Trieste ce la fa

Trieste non ha tutte queste caratteristiche. Ma Salam e Budinich riescono a ottenere l’appoggio di Sigvard Eklund, il nuovo direttore dell’IAEA. L’opposizione di USA e URSS inizia a sfarinarsi. L’Agenzia di Vienna ora sostiene che il centro dovrà essere finanziato con risorse nuove e aggiuntive messe a disposizione dagli stati membri e non con risorse tratte dal normale budget IAEA. Intanto l’Italia mette sul piatto della bilancia tutto il corredo di infrastrutture, la libreria, un milione di dollari per l’avviamento e circa 250.000 dollari annuali per la gestione: Trieste resta candidata unica.

Salam riesce a mobilitare di nuovo i paesi non allineati, mentre Eklund aiuta la città italiana a organizzare una grande conferenza sulla fisica teorica, che si apre regolarmente il 16 luglio. E proprio al parco di Miramare dove Budinich e Salam si erano incontrati per la prima volta.

La conferenza è una nuova, grande opportunità colta da Salam e Budinich per mobilitare i colleghi. Alla chiusura, 53 fisici firmano un appello per la costituzione di un istituto internazionale di fisica teorica sotto l’egida delle Nazioni Unite. Insomma, sia in sede politica (IAEA) che nella comunità dei fisici l’idea passa.

Così il 26 settembre 1962 si apre l’Assemblea Generale dell’IAEA che deve prendere la decisione finale. Salam illustra ancora una volta il progetto e propone tre domande ai delegati: La ricerca in fisica teorica rientra nell’ambito degli obiettivi e delle attività dell’Agenzia? I fisici delle nazioni emergenti hanno bisogno del Centro e lo desiderano veramente? Se il Centro è auspicabile, è possibile crearlo e se sì l’Agenzia può permetterselo?

Le domande denotano una notevole abilità retorica. Le risposte non possono che essere positive. L’assemblea risponde con applausi scroscianti. E, soprattutto, con un voto largamente favorevole. Un successo netto.

Certo, la scelta definitiva della sede è ancora una volta rimandata e molti sono ancora i problemi da risolvere. Ma è chiaro a tutti che Abdus Salam coronerà il suo sogno: l’IAEA ha approvato in via definitiva la creazione dell’International Centre for Theoretical Physics.

Non manca qualche nuovo tentativo di mettere i bastoni tra le ruote. Il budget per l’ICTP è stimato in 420.000 dollari l’anno, di cui 150.000 a carico dell’IAEA e il resto, con le strutture logistiche, a carico del paese ospite. Ma gli Stati Uniti riescono a far passare una mozione che riduce la quota IAEA a soli 50.000 dollari l’anno. L’americano Isidor Rabi chiosa: “Avete voluto un centro per i paesi sottosviluppati e l’avrete: sarà un centro sottosviluppato”. Qualche anno dopo Rabi, dopo aver visitato l’ICTP a Trieste, scrive una lettera a Salam e a Budinich in cui si dichiara onorato di essere stato invitato e “molto addolorato per aver pronunciato quelle infelici e improprie parole”.

Ma la percezione immediata di Isidor Rabi, reiterata a freddo in una lettera a Oppenheimer, è che quella che è andata in scena a Vienna è una farsa fondata da un lato sulla capacità di Abdus Salam di manipolare l’ignoranza e l’ingenuità dei delegati dei paesi in via di sviluppo in fatto di scienza e tecnologia e dall’altro sul fatuo cedimento del Terzo Mondo – unica eccezione l’India, che non guarda di buon occhio il centro proposto da un pakistano – alla tentazione di battere i due blocchi egemoni dell’Est e dell’Ovest, insolitamente alleati. Insomma l’ICTP non sarebbe altro che una velleitaria fuga in avanti terzomondista.

Non si tratta solo di Rabi. La mozione americana dimostra che l’irritazione delle grandi potenze è reale. Ma non si può tornare indietro. Tuttavia, se l’Italia vuole avere il centro, deve accollarsi l’80% delle sue spese di gestione. E l’Italia non si tira indietro: pagherà tutto il conto. E, così, il 14 giugno 1963 la decisione finale è presa. Il Consiglio dei Governatori dell’IAEA decide l’istituzione dell’International Centre for Theoretical Physics, con sede, provvisoria ma in attesa di diventare definitiva, Trieste. Abdus Salam è il direttore. Paolo Budinich il vicedirettore.

Abdus Salam firma la pergamena. Per Salam, la posa della prima pietra rappresenta il culmine di anni di pianificazione e di azione diplomatica per creare un istituto di fisica teorica in cui gli scienziati del mondo in via di sviluppo siano particolarmente benvenuti.

L’11 ottobre 1963 Roma ratifica ufficialmente l’accordo. È fatta. Il 10 ottobre 1964 l’International Centre for Theoretical Physics viene ufficialmente inaugurato con una cerimonia solenne nella sua bella sede provvisoria di Piazza Oberdan. Come dirà il fisico Erio Tosatti: “Salam aveva un sogno e Budinich glielo ha realizzato”.

Eccellenze a Miramare

Il Centro di Miramare ha un immediato e grande successo. I fisici più famosi del mondo lo visitano e certificano la sua qualità. Migliaia di ragazzi dei paesi in via di sviluppo vengono a Trieste, si formano, e ritornano in patria.

L’autorevolezza del Centro cresce quando Abdus Salam riceve il Premio Nobel per la fisica nel 1979, per un lavoro teorico svolto in parte in Inghilterra ma in parte anche a Trieste. Il suo è, in qualche modo, un Nobel anche “italiano”. E l’ICTP guadagna una notorietà che va oltre i confini della fisica.

Dopo il 1979 l’obiettivo del Centro di Miramare resta il medesimo che Salam e Budinich gli anno dato all’atto della fondazione: fare ricerca di punta e trasferirla nei paesi in via di sviluppo. Tuttavia la struttura e l’organizzazione sono affatto diverse. In primo luogo sono molto più grandi. Dopo il 1979 e fino ai nostri giorni il centro di Miramare infatti cresce in maniera davvero notevole, se non spettacolare: aumenta lo staff, aumentano gli ambiti di interesse scientifico, aumenta la capacità di portare ogni anno a Trieste studenti e professori da tutti i paesi del mondo. Attratti dalla fisica teorica, ma anche da nuove attività che sono piuttosto tipiche della fisica sperimentale e della matematica applicata e che trovano sempre più spesso collocazione presso l’ICTP.

Oggi l’ICTP è organizzato in diversi settori: matematica; fisica della alte energie, cosmologie e fisica delle astroparticelle; fisica della materia condensata e fisica statistica; fisica terrestre; fisica applicata (alla fluidodinamica; alla fisica del plasma, ottica e laser; al sistema Terra, alle scienze quantitative della vita, alle energie rinnovabili); high performance computing.

Ciascun settore organizza corsi, workshop, conferenze e incontri durante l’intero arco dell’anno, preoccupandosi anche di promuovere la propria disciplina nei paesi in via di sviluppo.

In ogni settore lavorano professori di ruolo, consulenti, studenti di post-dottorato, associati e visitatori che collaborano per periodi più o meno lunghi su ricerche indipendenti e di gruppo e organizzano qualcosa come 50 tra scuole, conferenze e corsi cui partecipano ogni anno 6.000 studenti e giovani scienziati. Difficilmente oggi si sentirebbe Salam urlare nei corridoi di Miramare: “Tocca a me riempire questo dannato posto!”.

I soli membri permanenti dell’ICTP sono ormai 154: dei quali 34 scienziati e 126 amministrativi. Per non parlare dei Membri Associati, che sono alcune migliaia. Mentre i centri che si sono federati con l’ICTP sono oltre un centinaio, scelti tra un numero di candidati di un ordine di grandezza superiore.

Sono 1.328, inoltre, i giovani provenienti da 89 diversi paesi in via di sviluppo che, su indicazione dell’ICTP, hanno svolto attività di ricerca e formazione presso laboratori italiani sulla base del progetto Training in Italian Laboratories (TRIL). E circa 100 sono i docenti provenienti da 70 diversi paesi che, nell’ambito del medesimo programma avviato nel 1983, hanno lavorato presso 75 istituzioni scientifiche italiane.

Una risorsa sempre più importante dell’ICTP è la biblioteca, che ospita una delle più ampie collezioni europee di pubblicazioni di fisica e matematica. In un’area di mille metri quadrati, su circa 5.000 metri di scaffali, trovano posto 71.000 libri e 124 riviste. Dai computer della biblioteca è poi possibile collegarsi a 3.268 giornali elettronici e ai principali database scientifici.

In oltre cinquant’anni gli scienziati dell’ICTP hanno pubblicato più di 10.000 articoli. Tutti sono consultabili on line.

Paolo Budinich (a sinistra) e il principe Raimondo della Torre e Tasso, rispettivamente co-fondatore, con Salam, e grande sostenitore dell’ICTP.

Il Centro si è poi dotato di una “Science dissemination unit” che ha l’obiettivo di fornire un aiuto concreto per superare il digital divide tra Nord e Sud del mondo, fornendo ai paesi in via di sviluppo fonti di informazione e di tecnologie di comunicazione open source o comunque a basso costo.

Questa vastità e complessità di interessi e di attività – che qui abbiamo solo sommariamente riassunti – spiegano perché, dall’anno di fondazione, decine di migliaia di uomini di scienza (la metà proveniente dai paesi in via di sviluppo), di quasi tutti paesi del mondo, afferenti a decine di organizzazioni internazionali e centinaia di organizzazioni nazionali, sono arrivati a Trieste per studiare presso il Centro, assistere ai suoi convegni, partecipare ai suoi corsi. E registrano un successo dell’idea di Salam realizzata con il decisivo contributo di Budinich che, probabilmente, va oltre ogni loro realistica aspettativa. Non si tratta solo di strutture e di numeri. E neppure di attività scientifica di altissimo livello.

Il mondo si mescola all'ICPT

L’ICTP è un grande attrattore culturale globale: “Tutte queste persone – come ha scritto Katepalli R. Sreenivasan, uno dei direttori dell’ICTP che negli ultimi venti anni sono succeduti a Salam – vengono qui, lavorano insieme e in qualche modo mettono insieme i loro retroterra culturali, i loro valori, le loro attitudini”. È un ruolo decisivo questo di fungere da crogiolo di culture. “In fondo noi non siamo qui per produrre persone che sappiano pubblicare sul Physical Review Letters. Il nostro obiettivo è educare persone che, risolvendo problemi di fisica, imparino a pensare in modo rigoroso e pensare in modo rigoroso può risolvere molti problemi nei paesi in via di sviluppo”.

L’ICTP è un grande attrattore culturale, con antenne sociali sensibilissime, capaci di vedere oltre e prima degli altri, come rileva Domenico Romeo: “Ricordo una conferenza organizzata a Miramare sul Ruolo delle donne nello sviluppo della scienza e della tecnologia nel Terzo Mondo affollata di scienziate provenienti da ogni parte del pianeta, molto spesso con i costumi tradizionali del loro paese, compresi bellissimi turbanti e coloratissimi vestiti. Era il 1988 e ancora nessuno parlava di donne nella scienza o del tetto di cristallo che impedisce loro di fare carriera anche nei centri di ricerca. Men che meno si parlava di donne e scienza nel Terzo Mondo. La verità è che il centro ha anche questa capacità: anticipare temi che saranno presto sul tappeto”. Oggi il 24% dei giovani che frequentano l’ICTP sono donne, la gran parte delle quali proveniente dai paesi in via di sviluppo.

La verità è anche che, dopo il 1979, il piccolo centro si è trasformato in un grande centro: attraversando nuovi momenti esaltanti e nuove crisi di crescita. Ma sempre la crisi si è risolta con un nuovo assetto (dal 1996 la responsabilità amministrativa del Centro passa definitivamente dall’IAEA all’UNESCO) e una nuova espansione. Anche edilizia. Ormai l’ICTP è costituito da una costellazione di edifici immersi nella verde quiete del parco di Miramare e da una serie di centri associati sparsi per il mondo.

Il Centro ha superato anche la crisi più grave: la separazione da Abdus Salam. Una separazione precoce, più del previsto. All’inizio degli anni ’90, infatti, il fisico pakistano inizia a star male, tanto che nel 1994, dopo trent’anni, lascia la direzione pro tempore a Luciano Bertocchi. Nel 1995 viene nominato il nuovo direttore Miguel Virasoro, un fisico teorico argentino che lavora a Roma e gode di grande prestigio internazionale.

Salam resta a Trieste, nel suo centro. Ma l’anno dopo si consuma la separazione più grave, quella definitiva: il 21 novembre 1996 il fisico pakistano muore.

Il vuoto umano e culturale è incolmabile. Ma il centro, ribattezzato a partire dal 1997 “Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics”, continua la sua attività e, sotto l’abile guida di Miguel Virasoro, anche la sua crescita. Nel 2002 anche il fisico argentino lascia la direzione dell’ICTP, per raggiunti limiti di età. Dopo una breve direzione ad interim di Erio Tosatti, dal 2003 nuovo direttore del centro di Miramare diventa Katepalli R. Sreenivasan, indiano di nascita ma trasferito già dalla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, dove ha lavorato a lungo alla Yale University e alla University of Maryland. Dal 2009 il direttore è Fernando Quevedo, un fisico teorico del Guatemala.

Nel corso degli ultimi venti anni, dunque, il Centro di Miramare ha dovuto da un lato governare la sua stessa crescita e trasformazione e dall’altro elaborare il lutto conseguente alla morte del suo ideatore. Una fase molto delicata, da cui è uscito più forte di prima.

Intanto il mondo è cambiato. Molti tra quelli che una volta erano paesi del Terzo Mondo sono diventati paesi con un’economia dinamica e una capacità scientifica che ormai supera quella italiana ed eguaglia quella europea. A questa trasformazione – a questo sviluppo – l’ICTP di Abdus Salam ha dato un contributo importante. Questi cambiamenti potrebbero indurre alcuni a ritenere esaurito il compito dell’International Centre for Theoretical Physics di Trieste. Invece esso assolve a un compito, oltre quello strettamente scientifico e didattico, più che mai decisivo. È un luogo dove i giovani talenti di ogni parte del mondo continuano a incontrarsi, a dialogare e creare relazioni destinate a durare nel tempo, contribuendo a indirizzare il mondo verso la cooperazione e la pace. E a dare un contributo concreto al pensiero di Abdus Salam, sul pensiero scientifico come patrimonio dell'umanità.

 

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Discovered a New Carbon-Carbon Chemical Bond

A group of researchers from Hokkaido University has provided the first experimental evidence of the existence of a new type of chemical bond: the single-electron covalent bond, theorized by Linus Pauling in 1931 but never verified until now. Using derivatives of hexaarylethane (HPE), the scientists were able to stabilize this unusual bond between two carbon atoms and study it with spectroscopic techniques and X-ray diffraction. This discovery opens new perspectives in understanding bond chemistry and could lead to the development of new materials with innovative applications.

In the cover image: study of the sigma bond with X-ray diffraction. Credits: Yusuke Ishigaki

After nearly a year of review, on September 25, a study was published in Nature that has sparked a lot of discussion, especially among chemists. A group of researchers from Hokkaido University synthesized a molecule that experimentally demonstrated the existence of a new type of chemical bond, something that does not happen very often.