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Le parole corrette del cambiamento climatico

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Smettetela di chiamarlo cambiamento climatico! Ha intimato l’amministrazione Trump ai dipendenti del Ministero dell’Agricoltura Usa. Meglio “maltempo estremo”. Di conseguenza, invece di “adattamento al cambiamento climatico”, si parli di “resilienza al maltempo estremo”. E ancora, al posto di “ridurre l’emissione dei gas serra” si consiglia caldamente l’utilizzo della formula “preparare un suolo organico e accrescere l’efficienza nella coltivazione della terra”.

The Guardian pubblica in questi giorni la notizia ripercorrendo il rimpallo di comunicazioni tra Jimmy Bramblett, Vice capo dei programmi del Servizio per la conservazione delle risorse naturali del Ministero, e i Responsabili dei programmi operativi delle diverse Divisioni del Servizio. A cascata questi sollecitano i membri del proprio staff affinché tengano conto della nuova policy terminologica (negazionista). Subito si scatenano dubbi e resistenze tra i dipendenti del Servizio e in un attimo il carteggio approda sulle scrivanie del Guardian.

Le parole sono importanti

Come definire allora la nostra capacità di adattamento alle alte temperature percepite? Ma la “temperatura percepita” non esiste. Esiste un “indice di disagio fisiologico” percepito dall’individuo e causato dal caldo-umido che viene erroneamente definito temperatura percepita. E questa non è una policy lessicale. È scienza.

È ormai assodata la relazione tra sviluppo o peggioramento delle più comuni patologie del mondo moderno e la variazione di alcuni parametri metereologici (temperatura, vento, umidità). Basti pensare alle fluttuazioni dei tassi di mortalità per problemi respiratori o cardiovascolari associati alle ondate di calore.

Gli indici di disagio sono una formidabile arma per identificare tempestivamente condizioni meteoclimatiche che possono compromettere la salute della popolazione. Se ne occupa la biometeorologia, una scienza interdisciplinare che osserva le interazioni tra processi atmosferici e organismi viventi. Non è quindi un caso che scienziati e ricercatori di svariate discipline (meteorologia, fisica, statistica, fisiologia, matematica) abbiano sviluppato e raffinato nel tempo numerosi indici biometeorologici per identificare e codificare il grado di malessere di individui sottoposti a stress termico. Indice di calore (Heat Index), Humidex, Wind Chill, indice di Scharlau, indice di Summer Simmer, per indicarne alcuni.

L’indice di Thom

Tra questi spicca l’indice di Thom (discomfort index – DI), semplice da calcolare e ben descritto da Arpae Emilia-Romagna e dai ricercatori di METEOING, il sito meteo della Scuola di ingegneria e architettura dell’Università di Bologna.

L’indice di Thom è il risultato della combinazione di più valori: temperatura, umidità e movimento dell’aria.

Per combinare questi valori serve un igrometro elettronico oppure il più preciso psicrometro, uno strumento costituito da due termometri, uno asciutto e l’altro immerso in una garza bagnata. Si fa girare vorticosamente lo psicrometro e quando si ferma si prende nota della temperatura dei due termometri. Poi servono la formula DI = 0,4 (Ta + Tw) + 4,8 e una tabella psicrometrica. Ed ecco l'indice di disagio climatico. (DI).

Psicrometro Asmann a circolazione forzata – Credits: Luigi Chiesa.

Psicrometro a fionda – Credits: CambridgeBayWather.

Come calcolare l’indice di Thom

DI = 0,4 (Ta + Tw) + 4,8

Ta temperatura a bulbo asciutto
Tw temperatura a bulbo bagnato

 

Descrizione del tipo di disagio

Indice di Thom (DI)

Benessere

DI < 21

Meno del 50% della popolazione prova un leggero disagio

21 ≤ DI ≤ 24

Oltre il 50% della popolazione prova crescente disagio

24 ≤ DI ≤ 27

Gran parte della popolazione prova disagio e un significativo deterioramento delle condizioni psicofisiche

 

27 ≤ DI ≤ 29

Tutti provano forte disagio

29 ≤ DI ≤ 32

Stato di emergenza medica, il disagio è molto forte; elevato rischio di colpi di calore

DI ≥ 32

Le soglie 24 e 32 dell’indice di Thom offrono informazioni sul grado di disagio cui è soggetta la popolazione. Al di sotto di 24 il disagio è leggero e sfuma rapidamente in uno stato di benessere non appena tocca soglia 21.

Al di sopra di 28 il malessere è significativo e le condizioni psicofisiche della popolazione tendono a deteriorarsi.

Lo stato di emergenza medica scatta a quota 32.

Le variabili del disagio bioclimatico

Ma lo stesso termine “popolazione” forse è improprio. Il disagio è una condizione prevalentemente soggettiva: dato lo stesso DI non tutti provano la stessa qualità e quantità di malessere, dipende dallo stato di salute dell’individuo, dall’età, ecc. I termorecettori di un sistema termoregolatore alterato dall’avanzare dell’età, dalle fasi della vita (pubertà, menopausa, andropausa, gravidanza…) o compromesso da una patologia, risponderanno allo stress termico in modo diverso.

Tuttavia, che il malessere sia collettivo o individuale, l’indice di disagio bioclimatico di Thom resta un alleato prezioso per prevedere e affrontare al meglio le emergenze sanitarie. In verità tutti gli indici biometeorologici sono utili allo scopo, l’unico bias è dato dal fatto che ciascun indice è espressione delle condizioni climatiche dell’area geografica in cui è stato studiato e sviluppato.

La sfida consiste allora nel ritararli per renderli coerenti con le diverse realtà bioclimatiche in cui vengono utilizzati. Arpae Emilia-Romagna, per esempio, ha modificato la procedura di calcolo originaria dell’indice di Thom (metodi di elaborazione dati) per meglio osservare come – nelle diverse aree della regione – il disagio varia nel tempo e come i valori cumulati nel tempo variano sul territorio.

Per approfondire:
Glossario Biometeorologia.

 


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