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Addio, fantastica Cassini

In questo fotogramma del film di animazione Cassini's Grand Finale la distruzione della sonda dopo l'ingresso nell'atmosfera di Saturno. La fine della missione è prevista per il 15 settembre 2017. Credit: NASA/JPL-Caltech.

Tempo di lettura: 9 mins

Ormai manca davvero poco. Ancora un’orbita, spingendosi di nuovo con audacia tra Saturno e il suo anello più interno, poi il tuffo finale durante il quale, per un paio di minuti, la sonda riuscirà a violare l’atmosfera di Saturno prima d’essere distrutta. Occhio al calendario, dunque: il prossimo 9 settembre la sonda Cassini compirà l’ultimo sorvolo del pianeta, passando a poco meno di 1.700 chilometri dalla sommità delle sue nubi, mentre il 15 settembre sarà il giorno dell’addio. Il tuffo della sonda nell’atmosfera di Saturno, previsto per le 13:53 italiane, metterà la parola fine ai 13 fantastici anni della sua esplorazione del sistema di Saturno. Una scelta sofferta ma inevitabile, dettata dalla necessità di preservare da ogni possibile contaminazione due preziosi potenziali habitat per la vita. Secondo i responsabili della missione, infatti, il combustibile su cui avrebbe potuto contare Cassini non sarebbe stato sufficiente a garantire ancora a lungo il completo controllo delle sue evoluzioni tra le lune e gli anelli di Saturno e pertanto non sarebbe più stato possibile escludere il rischio di un disastroso impatto della sonda sulla superficie di Encelado o su quella di Titano. Curiosamente, sono state proprio le osservazioni della Cassini a indicare che questi due satelliti di Saturno possiedono tutte le carte in regola per favorire lo sviluppo o addirittura già ospitare primitive forme di vita. Indispensabile, dunque, evitare di contaminarli.

Un lungo viaggio

L’avventura spaziale della missione Cassini-Huygens iniziò il 15 ottobre 1997, a coronamento di quasi quindici anni di valutazioni, studi preparatori, scelta e sviluppo definitivo degli strumenti delle due sonde. Una missione complessa, nata principalmente dalla stretta collaborazione di NASA, ESA e ASI, l’Agenzia spaziale italiana. Il costo complessivo della missione è stato stimato dalla NASA in 3,27 miliardi di dollari, ai quali l’ESA ha contribuito con 500 milioni e la nostra Agenzia spaziale con 160 milioni. Il notevole contributo italiano si è concretizzato nella progettazione e realizzazione del sistema di comunicazione della sonda Cassini (l'antenna ad alto guadagno con incorporata un'antenna a basso guadagno), dello spettrometro VIMS, del sottosistema di radioscienza RSIS, del radar e anche dello strumento HASI a bordo del modulo Huygens destinato a scendere su Titano.

Il momento del liftoff del Titan IVB/Centaur incaricato di mettere in orbita la sonda Cassini e il modulo Huygens. Il lancio avvenne alle 4:43 (ora locale) del 15 ottobre 1997 dal Complesso di lancio 40 di Cape Canaveral in Florida. (Crediti: NASA)

Per raggiungere la sua destinazione Cassini sfruttò due volte (il 26 aprile 1998 e il 24 giugno 1999) la spinta gravitazionale di Venere e una volta (il 17 agosto 1999) quella della Terra. Qualcuno ricorderà che, per la presenza a bordo della sonda di dispositivi che producevano l’energia necessaria sfruttando il decadimento radioattivo del plutonio (si tratta di 3 Radioisotope Thermoelectric Generator o RTG e di 117 Radioisotope Heater Unit o RHU), i rischi del lancio e di questo flyby con la Terra suscitarono in America un vivace movimento di protesta, fortunatamente senza ricadute sulla missione. D’altra parte, per una sonda destinata a operare così lontano dal Sole, era assolutamente impraticabile (per ingombro, peso ed efficienza) l’impiego di pannelli solari.

Lungo il cammino verso la sua meta, pur transitando a 10 milioni di chilometri da Giove, la sonda Cassini trovò il modo di dedicarsi anche allo studio del pianeta gigante acquisendo ben 26 mila immagini della sua atmosfera, del suo sistema di lune e dei suoi anelli. La rincorsa di Saturno si concluse con la corretta immissione in orbita il 30 giugno 2004, dunque dopo quasi sette anni di volo interplanetario. Finalmente, dopo quel lungo viaggio, la Cassini poteva dare il via a 13 anni di intenso e dettagliato studio di Saturno, dei suoi anelli e del suo variegato sistema di satelliti, spesso obbligandoci a riscrivere ciò che fino ad allora pensavamo di sapere di quei mondi. Una cavalcata emozionante e spettacolare fin dall’inizio. Neppure sei mesi dopo l’arrivo a Saturno, mentre la Cassini già cominciava ad adocchiare le insolite eruzioni di Encelado, anche il modulo Huygens entrò in azione. Staccatosi dalla sonda madre alla Vigilia di Natale, il 14 gennaio 2005 discese con successo su Titano regalandoci le uniche immagini ravvicinate della sua superficie che possediamo.

Un anno fa, festeggiando il dodicesimo anno di attività della Cassini, la NASA diffuse un poster che, con alcuni dati numerici, provava a riassumere l’incredibile lavoro svolto e propiziato da questa straordinaria sonda: 243 orbite completate e 157 flyby di satelliti effettuati, 599 Gigabyte di dati raccolti e circa 380mila immagini acquisite, 10 nuovi satelliti scoperti e oltre 3.600 studi pubblicati. Numeri che andranno ovviamente aggiornati dopo l’ultimo anno di frenetica attività.

Azzardando un bilancio provvisorio

Assolutamente impossibile per il momento fare il bilancio di questa fondamentale missione planetaria. I dati raccolti dagli strumenti della Cassini forniranno ancora per anni materiale decisivo per gli studi riguardanti Saturno, i suoi anelli e il suo complesso sistema di lune. Ci limitiamo a segnalare solo alcune tra le scoperte più significative propiziate dalla missione.

Non si intende certo stilare una classifica, credo però che l’apertura spetti di diritto alla scoperta dei misteriosi geyser di acqua ghiacciata che caratterizzano le regioni del Polo Sud di Encelado. Individuate alla fine del 2004, queste eruzioni di vapore d’acqua misto a microscopiche particelle di ghiaccio sono state accuratamente tenute sotto controllo nonostante le difficoltà osservative. Sono oltre 100 i geyser osservati e associati a quattro importanti fratture superficiali soprannominate tiger stripes (strisce di tigre). Il materiale espulso da queste eruzioni, unito alle polveri asportate dal bombardamento meteorico della superficie, contribuisce a mantenere in vita l’anello E, il più esteso degli anelli di Saturno. Le caratteristiche di queste eruzioni non solo hanno suggerito la presenza di uno strato di acqua salata al di sotto della crosta ghiacciata di Encelado, ma anche l’esistenza di un’efficace sorgente di calore interno. Due ingredienti che, uniti all’individuazione di composti organici tra i materiali espulsi, hanno fatto balzare alle stelle le quotazioni di Encelado quale potenziale culla di primitive forme di vita extraterrestre.

Collage di due immagini di Cassini con gli imponenti geyser che caratterizzano il Polo Sud di Encelado. Gli sbuffi di acqua e ghiaccio emergono da quattro grandi solchi superficiali lunghi circa 130 chilometri, larghi 2 e profondi 500 metri. A queste quattro strutture, chiamate tiger stripes, sono stati attribuiti i nomi di Alexandria, Cairo, Baghdad e Damascus. (Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI)

Altrettanto importanti sono le scoperte riguardanti Titano, il più grande dei satelliti del sistema di Saturno. Obiettivo diretto del modulo Huygens, Titano è stato più volte oggetto di sorvoli dedicati della sonda Cassini, l’ultimo dei quali è avvenuto lo scorso aprile. La presenza di una densa atmosfera a base di azoto e di numerosi bacini liquidi sulla sua superficie potrebbe anche farlo somigliare alla Terra; peccato che l’opaca atmosfera di Titano sia quasi completamente composta di azoto (circa 95%) e metano (circa 5%), le trascurabili tracce di ossigeno provengano in realtà da Encelado e i mari e i laghi siano distese di metano allo stato liquido. Il radar della sonda Cassini, penetrando la densa atmosfera di Titano e riuscendo a mappare quasi la metà della sua superficie, non solo ha permesso di scoprire la vera natura di quei bacini, ma ha anche mostrato le piccole variazioni nella loro morfologia dovute a effetti stagionali. Le rilevazioni radar compiute nel 2013 hanno permesso persino di valutare quanto fosse profondo Ligeia Mare, uno tra i bacini più estesi di Titano, e indicato la sorprendente profondità di 160 metri.

Mappa dell’emisfero settentrionale di Titano ottenuta combinando immagini e rilevazioni radar: sono evidenti i numerosi bacini di idrocarburi liquidi che ne costellano la superficie. Il maggiore, chiamato Kraken Mare, ha una superficie di circa 400 mila chilometri quadrati, dunque ha più o meno le dimensioni del Mar Caspio. (Crediti: NASA/JPL/ASI/USGS/FU Berlin)

Accomuniamo in una sola segnalazione le sorprendenti scoperte riguardanti altri satelliti, le loro morfologie e la stretta interazione tra alcune piccole lune e le strutture degli anelli. I numerosi sorvoli ravvicinati di Giapeto, per esempio, ci hanno svelato una superficie a due tonalità, con la faccia avanzante lungo l’orbita che si presenta molto scura e quasi rossastra, mentre l’altra è decisamente più brillante. Fin dal primo sorvolo, il 31 dicembre 2004, la Cassini ci ha anche mostrato la sua curiosa cresta equatoriale, alta in media 13 chilometri ma con picchi anche di 20, traccia eloquente di un tormentato passato.

Già si sapeva dell’esistenza di satelliti spazzini (responsabili delle lacune negli anelli) e di satelliti pastore (responsabili del confinamento dell’anello F), ma la Cassini ci ha dato incredibilmente di più. Non solo ci ha permesso di vederli all’opera, registrando le loro intense interazioni con il materiale che delimita la lacuna o costituisce l’anello loro affidato, ma ci ha anche svelato insolite e talvolta curiose morfologie.

Difficile non rimanere stupefatti dinanzi all’aspetto spugnoso di Iperione, la cui superficie ghiacciata è deturpata da un vasto cratere e da un gran numero di crateri minori molto profondi e scoscesi, il cui fondo arrossato richiama molto da vicino il colore della superficie di Giapeto.

La lunga durata della missione, infine, ci ha permesso di osservare cambiamenti nel complesso sistema degli anelli di Saturno, segno concreto che ci troviamo in presenza di una struttura complessa e dinamicamente attiva. Cassini ci ha mostrato piccole lune (fino ad allora sconosciute) immerse negli anelli, insegnandoci che quelle magnifiche strutture sono un turbolento calderone in cui si susseguono senza sosta aggregazioni di materiale ghiacciato e repentine distruzioni.

Mosaico di 60 immagini della Cassini raccolte durante il flyby del 10 settembre 2007 che mostra la radicale differenza tra i due emisferi di Giapeto. In realtà, se potessimo osservarlo direttamente con i nostri occhi, vedremmo che l’emisfero più scuro ha un colore meno marcato. Molto interessanti per i planetologi la complessa regione di transizione tra i due emisferi e il grande cratere in basso a sinistra. Si tratta di un bacino da impatto largo 450 chilometri, una delle numerose strutture (almeno nove) che campeggiano su Giapeto. (Crediti: NASA/JPL/Space Science Institute)

Immagine di Iperione catturata da Cassini durante il flyby del 26 settembre 2005. La fitta presenza di profondi e scoscesi crateri è responsabile dell’aspetto quasi spugnoso di questa strana luna di Saturno. L’immagine è stata ottenuta componendo riprese ottenute con tre speciali filtri (infrarosso, verde e ultravioletto). Al momento delle riprese Cassini si trovava a 62 mila chilometri da Iperione. (Crediti: NASA/JPL/Space Science Institute)

Strutture verticali osservate dalla Cassini al bordo esterno dell’anello B grazie alla luce solare radente. L’analisi delle ombre proiettate sul piano dell’anello ha permesso di scoprire che queste strutture si innalzano anche per 2,5 chilometri al di sopra del piano degli anelli. Altezze considerevoli, dato che lo spessore degli anelli A, B e C si aggira generalmente intorno alla decina di metri. Quando Cassini, il 26 luglio 2009, ha catturato questa immagine si trovava a 336 mila chilometri dal pianeta. (Crediti: NASA/JPL/Space Science Institute)

Panorami mozzafiato

Alle cruciali scoperte scientifiche propiziate dalla missione Cassini, però, dobbiamo assolutamente affiancare un aspetto altrettanto importante. Mi riferisco alle intense emozioni suscitate dalle stupende immagini raccolte dalla sonda. Panorami mozzafiato, impossibili da catturare con gli strumenti da Terra e con le ottiche di Hubble, autentiche delizie per gli occhi anche per chi mastica poco di astronomia. Non ci vuole molto, sfogliando il diario delle immagini più significative raccolte nel corso dell’intera missione Cassini, per rendersi conto dell’incredibile lavoro svolto dalla sonda e dalle sue fantastiche apparecchiature.

Tredici anni di emozionante bellezza: il lascito più struggente di questa meravigliosa missione planetaria.

È stato definito il più grande ritratto di Saturno mai ottenuto: la fantastica immagine, infatti, misura la bellezza di 8888 pixel per 4544. In realtà si tratta di un accurato mosaico ottenuto da 126 immagini del pianeta raccolte il 6 ottobre 2004 dalla Cassini nel corso di due ore. Nell’elaborazione si è posta particolare attenzione ai colori, curando di riprodurre con la massima fedeltà i colori naturali del pianeta e degli anelli. L’immagine alla massima risoluzione, in cui si possono identificare anche i due satelliti Mimas e Janus, si può scaricare a questo link: http://ciclops.org/view_media/4283/The-Greatest-Saturn-PortraitYet (Crediti: NASA/JPL/Space Science Institute)

Per approfondire:
Studio sui geyser di Encelado.
Speciale di Coelum sulla missione Cassini.
Le ultime orbite di Cassini

 


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